La Coppa d’Africa si sta rivelando una scheggia tagliente che ha già fatto diverse vittime eccellenti nella fase a gironi. Algeria e Ghana hanno fatto le valigie e detto addio ai sogni di gloria. I padroni di casa della Costa d’Avorio, invece, sono stati ripescati come una delle migliori terze classificate.

La Coppa d’Africa non è più terreno fertile per nazionali blasonate ma improvvisate. Ha smesso di coccolare le individualità e sta dando fiducia ai collettivi ben preparati. «Se la vita seguisse sempre lo stesso schema saremmo tutti frustrati e annoiati», ha dichiarato il ct della Nigeria José Peseiro alla vigilia della gara contro il Camerun. Djamel Belmadi, il selezionatore dell’Algeria prossimo alle dimissioni, non è esattamente d’accordo.

Per lungo tempo ha insistito sul medesimo modulo di gioco interpretato dai soliti calciatori, ritardando un ricambio generazionale che si era reso necessario dopo il fallimento della scorsa Coppa d’Africa e la mancata qualificazione ai Mondiali 2022.

Inoltre, l’infortunio di Ismaël Bennacer dopo la prima gara e l’inconsistenza delle prestazioni di Riyad Mahrez non hanno aiutato. La seconda eliminazione consecutiva ai gironi ha contribuito a incendiare un clima già teso intorno a Belmadi, che ha rischiato di essere aggredito da alcuni tifosi inferociti che hanno tentato di entrare nell’hotel della squadra dopo la sconfitta fatale contro la Mauritania. Stessa sorte è toccata al ct del Ghana, Chris Hughton, attaccato da un tifoso all’interno dell’alloggio della nazionale dopo il disastroso debutto contro Capo Verde. I rocamboleschi pareggi contro Egitto e Mozambico hanno poi significato la seconda uscita di fila ai gironi anche per le Black Stars. Un risultato non totalmente inaspettato considerando l’inefficiente gestione amministrativa e la scarsa visione tecnica che hanno caratterizzato l’ultimo decennio della federazione ghanese. Hughton ha cambiato undici calciatori rispetto alla rosa che ha partecipato agli ultimi Mondiali e ben diciotto rispetto al Ghana sceso in campo nella Coppa d’Africa precedente.

Anche in questo caso gli acciacchi fisici del miglior giocatore, Mohamed Kudus, hanno indebolito la ricerca di un’identità per cui sarebbe servita molto più di una sola settimana di preparazione. Talvolta, però, non è il tempo l’unico fattore decisivo.

A Jean-Louis Gasset, ormai ex tecnico della Costa d’Avorio, non sono bastati due anni per dare un volto riconoscibile agli Elefanti, che dopo un esordio positivo contro la Guinea-Bissau sono stati sconfitti dalla Nigeria e umiliati dalla Guinea Equatoriale per 4 a 0. La nazionale del paese ospitante è sembrata incapace di reggere la pressione delle aspettative. Era imperativo non ripetere la catastrofe della Costa d’Avorio che venne eliminata nella fase a gironi nell’edizione del 1984 che si tenne tra Abidjan e Bouake.

La vittoria del Marocco sullo Zambia ha evitato la disfatta e permesso a Franck Kessie e compagni di acciuffare un’insperata qualificazione come quarta tra le migliori terze. Il passaggio del turno è stato festeggiato come un trionfo. Centinaia di ivoriani si sono riversati per le strade delle principali città della Costa d’Avorio correndo all’impazzata verso destinazioni imprecisate. A San Pedro, sede della partita del Marocco, i tifosi nordafricani sono stati portati in trionfo e celebrati come salvatori.

La gioia, però, è durata il tempo di una notte. L’alba del giorno dopo ha riportato in superficie i problemi attuali, accentuati dalla cacciata di Gasset. Ora la Costa d’Avorio si ritrova con Emerson Fae, alla prima esperienza in panchina, come capo allenatore e Guy Demel, fino a pochi giorni fa opinionista televisivo, come aiutante. I due, ex nazionali ivoriani, rappresentano una scelta di ripiego. C’è stato un tentativo di prendere in prestito dalla federazione francese Hervé Renard, il ct che condusse la Costa d’Avorio al titolo nel 2015 ora allenatore della nazionale femminile transalpina. Il colpo a effetto non è riuscito e gli Elefanti si avvicinano all’ottavo di finale contro il Senegal campione in carica con il timore di aver solo ritardato un’uscita fragorosa dalla competizione.

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