Per ora le crisi bancarie che ci spaventano sono avvenute fuori dalla nostra eurozona, negli Usa e in Svizzera. Che implicazioni e raccomandazioni ci sono per noi? Ovviamente molte. Scegliamone alcune.

Contagio

La prima ha a che fare col pericolo di “contagio”, come si dice quando la crisi di una banca si trasmette ad altre, anche in paesi diversi e distanti.

Il contagio può derivare da un rapporto diretto fra l’istituzione contagiante e quelle contagiate.

Esempio importante è stata, nella grande crisi del 2008, la diffusione anche in molte banche europee, dei titoli velenosi costruiti in Usa sulla base dei crediti subprime rivelatisi inesigibili.

Il contagio può però essere anche molto indiretto e basato sul panico ingiustificato di chi ritira i depositi di banche sane perché teme siano in pericolo come quelle rivelatesi malate o fallite.

E’ un tipo di contagio pericoloso quando non c’è adeguata messa in comune di informazioni fra le autorità di diversi Paesi, così che non si ha una buona mappa dei pericoli effettivi e si temono guai anche là dove non ci sono.

Infine, il contagio può essere dovuto all’esistenza di una causa comune di debolezza di banche e intermediari di diversi tipi e Paesi: un problema, una debolezza comune che emerge quando alcune di esse per prime entrano in difficoltà.

Ed ecco la prima implicazione della crisi in corso fuori dall’eurozona. In parte essa è dovuta a una causa comune: la fragilità dei sistemi finanziari di quasi tutto il mondo per politiche monetarie troppo espansive per troppo tempo.

I tassi bassi e la liquidità sovrabbondante hanno distratto una finanza rigonfia – quella delle banche ma anche di altri intermediari finanziari, delle imprese loro clienti e dei governi molto indebitati – dal valutare e gestire con prudenza i rischi, sia di liquidità che di insolvenza.

Questo problema c’è anche nell’eurozona e occorrerà riflettere, almeno in prospettiva, su che cosa fare per evitare che in futuro le politiche monetarie ripetano per lunghi periodi strategie così anomale e pericolose.

Strategie che sono anche fra le cause dell’inflazione, che ora i rialzi improvvisi e violenti dei tassi cercano di domare, mettendo però in crisi la finanza rigonfia da tanti anni di denaro a buon mercato e titoli generosamente acquistati dalla Bce col quantitative easing.

Regolamentazione e vigilanza

Un secondo genere di implicazione che la crisi per ora svizzero-statunitense può avere per l’eurozona riguarda la regolamentazione e la vigilanza sulle banche e il resto del sistema finanziario.

Su questo fronte, come tutti osservano, siamo messi meglio degli Usa e, almeno sotto certi aspetti, della Svizzera.

Abbiamo regole severe e vigilanza talmente attenta da apparire fin troppo intrusiva.

Ciononostante, ci sono diversi aspetti su cui converrebbe approfondire le riflessioni e mostrare più coraggio e unità nel provvedere a livello comunitario, guidando nelle sedi opportune anche l’evoluzione delle regole globali.

C’è un problema di fondo nel guardare troppo al rapporto fra il patrimonio di una banca e il valore del suo attivo calcolato pesando le diverse attività secondo la loro rischiosità presunta.

Sicché, ad esempio, i titoli di Stato che le banche detengono in abbondanza, essendo considerati privi di rischio, sono conteggiati senza ridurne il valore.

Essi dunque ingrossano il denominatore del rapporto e lo fanno apparire più rassicurante di quanto sarebbe se si riconoscesse, fra l’altro, che proprio i rischi di forti variazioni nei prezzi dei titoli pubblici, dopo aver esasperato le crisi dell’eurozona del 2010-12, hanno travolto la banca della Silicon Valley e complicato anche la crisi di Credit Suisse.

Oltretutto, il calcolo degli sconti per il rischio da applicare alle varie attività delle banche è fatto in parte dalle stesse banche.

Esse hanno interesse a far apparire alto il loro coefficiente patrimoniale, e quindi basso il suo denominatore che è il totale dell’attivo ponderato per il rischio.

Converrebbe far crescere gradualmente, nel regolamentare le banche, l’importanza del rapporto non ponderato fra attivo e patrimonio, e fare in modo che ciò avvenga anche nelle regole globali.

Il problema dei titoli di Stato è di per sé di gran rilievo perché la loro abbondanza negli attivi bancari li fa traballare sia quando variano i tassi e quindi i loro prezzi, sia quando cresce molto il rischio-paese, cioè l’affanno della finanza pubblica troppo indebitata, come è successo nel 2010-12 a ben sei Paesi dell’eurozona, compresa l’Italia.

Gestione delle crisi bancarie

APN

Il terzo tipo di implicazione riguarda la gestione delle crisi bancarie, quando capitano nonostante le regole e la vigilanza. Abbiamo visto all’opera, in modi rapidi e pragmatici, le autorità americane e svizzere.

Nel caso Usa ha colpito soprattutto la garanzia completa dei depositi, anche quelli grandi e non assicurati.

Nel caso svizzero ci sono aspetti che si chiariranno prossimamente, compreso il fatto che pare siano state colpite certe categorie di obbligazionisti prima di espropriare del tutto gli azionisti, fra i quali si voleva forse avere un occhio di riguardo per quelli medio-orientali. Ciò non sarebbe permesso nell’eurozona dalle regole per la gestione delle crisi che ci siamo dati dopo il 2014.

Purtroppo però il gran lavoro fatto per generare e approvare quelle regole europee non ha per ora trovato adeguata applicazione. In sostanza è successo che i paesi membri dell’eurozona, quando son capitate delle difficoltà nelle loro banche, hanno preferito forzare le regole europee ottenendo di gestire le crisi a livello nazionale, per garantirsi la possibilità di trattare sia le banche che i loro clienti secondo convenienze spesso di natura strettamente politica.

Ciò ha finito per prolungare troppo gli stati di crisi bancaria di varia gravità e ha consentito di gestirle in modi diversi.

Sicché non siamo dove volevamo arrivare, cioè alla situazione dove un euro depositato in qualunque banca dell’eurozona corre gli stessi rischi e verrebbe trattato in caso di crisi esattamente nello stesso modo. Questo spezza l’unità dell’eurozona e la infragilisce.

Manca inoltre un sistema centralizzato europeo di assicurazione dei depositi.

A questo proposito non si può non insistere nell’augurarsi che l’Italia si affretti a ratificare la riforma del Mes, la cui principale conseguenza sarebbe il fatto che esso garantirebbe con la sua grande dimensione gli impegni che, in caso di crisi bancarie, graverebbero sui sistemi di assicurazione dei depositi nazionali e sull’insufficiente fondo speciale comunitario di intervento che le banche dell’eurozona nutrono condividendo parte dei loro rischi.

In generale, l’eurozona, pur avendo tratto utili insegnamenti dalla gravissima crisi che stava per distruggerla nel 2010-2, non ha ancora deciso di completare quella che si chiama la sua “unione bancaria”, tralasciando gli interessi speciali dei singoli paesi membri per costruire un mercato veramente unitario dei servizi bancari.

Solo questa unità potrà, nell’interesse comune di tutti, fronteggiare adeguatamente i tanti incidenti che giungeranno da una finanza mondiale sempre più interconnessa e spesso pericolosa. 

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