Nel referendum che è stato il primo turno di domenica scorsa c'è un sicuro perdente, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, e una quasi vincente, la leader del Rassemblement National Marine Le Pen. La aspetta un secondo referendum, il 7 luglio, dove il “quasi” o si toglie o le diventa fatale.

A dispetto delle dichiarazioni trionfali dovute all'ubriacatura di voti nulla è ancora deciso. Se la politica fosse una competizione leale, leggendo i dati con lenti neutrali e non drogate dalla partigianeria, l'estrema destra non raggiungerebbe al secondo turno la maggioranza assoluta e non potrebbe portare il suo giovane virgulto Jordan Bardella a palazzo Matignon, la sede del primo ministro. Il Rassemblement National ha infatti già dragato tutti i consensi possibili attorno a sé, ha fagocitato i transfughi traditori del presidente dei Républicains Eric Ciotti, ridotto a percentuale da prefisso telefonico gli altri estremisti di Eric Zemmour, non ha altri bacini a cui attingere, semmai un rivolo di altri fuggiaschi della destra moderata attirati dal carro con il vento in poppa. Dunque poco da aggiungere al 33,1 per cento già conquistato.

Né in una settimana si possono cambiare atteggiamenti, posizioni, programmi in modo tale da convincere altri indecisi. Il Rassemblement, già Front National, è quello che è. Un partito sicuramente razzista, con l'idea di dividere in francesi in due categorie, gli autoctoni e gli immigrati o figli di con meno diritti; da sempre euroscettico; ondivago sul conflitto tra Russia e Ucraina per l'antica vicinanza a Vladimir Putin e qualche debole pronunciamento a favore di Kiev della ventireesima ora; una nostalgia fascista venata anche di antisemitismo che sta nelle sue radici (tra i fondatori anche reduci di Vichy) e la riprova è la fiamma che arde a imitazione di quella missina, ora graziosamente stilizzata per renderla meno aggressiva; una politica economica di larghe spese che la Francia non può permettersi ora che ha un debito pubblico degno degli altri Paesi cicale del Mediterraneo. In definitiva decisamente isolazionista in una situazione internazionale per cui nessuno se lo può permettere tanto meno una potenza nucleare, l'unica rimasta all'Europa dopo la Brexit.

Al 33,1 per cento dei francesi va bene così, va bene rinnegare le tradizioni di accoglienza, asilo, diritti, in nome di una chiusura tribale e super-sciovinista da ponte levatoio. Bon. Ma ne resta un altro 66,9 che, fosse coeso, non avrebbe difficoltà a fermare Le Pen alle soglie dei palazzi del potere. E qui cominciano i guai.

Emmanuel Macron ha evocato domenica sera, a urne ancora aperte un “rassemblement chiaramente democratico e repubblicano per il secondo turno”. Sembrava la chiara disponibilità dei centristi a un'alleanza con il Fronte popolare per formare una solida diga contro la destra estrema.

Se non fosse che, nel breve volgere di poche ore, ci si è messa la filologia, accompagnata dai convincimenti personali. E sono cominciati a serpeggiare i malumori dei moderati “né-né”, non con Le Pen ma nemmeno con Jean-Luc Mélenchon, il leader de “la France Insoumise, partito promotore del Fronte, non considerato “chiaramente democratico e repubblicano” e già bersaglio nella breve campagna elettorale degli strali più acuminati lanciati da Macron, quando ancora credeva di formare attorno al centro il baluardo più fortificato contro l'estrema destra. Proprio quel Mélenchon che, per una volta, si è mostrato ragionevole annunciando per primo la disponibilità a ritirare i suoi candidati arrivati terzi e oltre al primo turno per agevolare la desistenza necessaria a battere Le Pen.

La sconfessione di alcuni dei suoi è la cartina di tornasole del prestigio definitivamente perduto dal presidente della Repubblica. Invocano la coscienza ma a pensare male nascondono ragioni di poltrona. Senza rendersi conto che i francesi hanno chiaramente bocciato il centro. E, con il nemico alle porte, sono superflui distinguo e sottigliezze. Se è un referendum, come è, si sta di qua o di là. Per la resipiscenza c'è tempo fino a stasera, martedì, alle 18, ora limite per presentarsi o meno candidati al secondo turno. La Francia val bene un passo indietro, in nome del bene comune.

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