La più grande novità di questi dieci anni di papato di Francesco è stata la presenza sulla scena di due pontefici. Non mi riferisco però, come si potrebbe pensare, al papa emerito e a quello in carica, ma solo a quest’ultimo, che ha incarnato alla perfezione due personaggi molto diversi tra di loro, due leader: il primo di opposizione, il secondo di governo.

Il primo Francesco è stato indubbiamente un leader di lotta, un uomo “contro”. Ha denunciato gli eccessi del capitalismo globale, parlato di «cultura dello scarto» e invocato una «nuova economia» più umana e meno orientata al profitto.

Ha esaltato lo stile di vita e la visione del mondo dei poveri di tutto il pianeta. Ha difeso in tutti i modi la dignità dei popoli del Terzo e del Quarto mondo. Ha altrettanto strenuamente tutelato i diritti dei migranti a lasciare il proprio paese e a cercare fortuna in Europa.

Si è opposto a tutti i conflitti bellici e anche su quello ucraino, soprattutto all’inizio, si è mostrato molto sensibile alle istanze del neutralismo e del pacifismo radicale, ricordando che la Nato ha “abbaiato” per anni in direzione della Russia.

Ha mostrato poca simpatia per un leader di estrema destra versione Donald Trump e ha incrociato, con l’enciclica Laudato Sì, il tema politicamente emergente a tutte le latitudini dell’ecologia e della preservazione del pianeta.  

Come leader di opposizione Francesco ha intercettato gli umori di quei ceti sociali colpiti dalle diverse crisi di questi anni ed è diventato, praticamente dal primo giorno del suo pontificato, il campione di una sinistra che di leader ne ha in circolazione ormai pochini e la bestia nera della destra più estrema che lo ritiene un arruffapopolo e un pericoloso sovversivo.

La popolarità della rottura

Pope Francis delivers his blessing as he recites the Angelus noon prayer from the window of his studio overlooking St. Peter's Square, at the Vatican, Sunday, Feb. 26, 2023. (AP Photo/Andrew Medichini) Associated Press/LaPresse Only Italy and Spain

Ai discorsi e agli scritti di opposizione ha affiancato anche molti gesti “rivoluzionari” che hanno fatto pensare a tante persone che la sua opzione preferenziale per i poveri non fosse solo uno slogan: potendo indossare delle calzature da duemila euro al paio ha girato a lungo con dei vecchi mocassini usati e con una borsa consumata dal tempo; soprattutto ha scelto di vivere a Santa Marta, cioè in un appartamento “normale” e non nelle lussuose stanze papali occupate dai suoi predecessori.

Per questa via il pontefice argentino ha raggiunto livelli di popolarità notevoli: ad esempio, secondo i dati raccolti nel 2021 dal Pew Reserch Center, negli Stati Uniti, un paese nel quale buona parte dell’episcopato gli è ostile, due terzi della cittadinanza adulta (di tutte le religioni) lo vede con favore e meno del 10 per cento gli è contrario (gli altri non si esprimono).

All’interno della popolazione cattolica, i consensi volano tra i democratici (siamo al 90 per cento), ma non sono bassi nemmeno tra i repubblicani (73 per cento). Tra i non affiliati a qualunque religione raggiungono un ragguardevole 61 per cento.  

Il terzomondismo politico di papa Bergoglio, l’impegno a favore di poveri e migranti, scaturisce in parte anche da ragioni diciamo geopolitiche: mentre infatti in Europa la secolarizzazione fa passi da gigante, molti paesi del Sud del mondo vanno in direzione esattamente opposta.

Nella diocesi di Yaoundé in Camerun un anno dopo l’elezione di Bergoglio al soglio di Pietro, nel 2014, i cattolici erano circa due milioni e seicentomila e i sacerdoti diocesani trecentosessanta sei.

In soli sei anni, nel 2020, il numero dei cattolici ha superato in quelle lande i tre milioni di anime e i preti diocesani sono saliti a quattrocentotrentuno.

Nello stesso intervallo di tempo, nella diocesi di Monaco e Frisinga in Germania, i cattolici sono divenuti ventimila in meno e i preti sono passati da ottocento sei a seicento ottantadue.

Insomma, mentre il Nord del mondo si svuota di fedeli e sacerdoti, il Sud si riempie di entrambi. Le scelte politiche del papa hanno rispecchiato in buona misura questa tendenza.

I cardini dell’azione del papa oppositore sono stati in conclusione due sopra tutti gli altri: quello di non violare mai l’ortodossia e cioè di non superare mai i confini della dottrina sociale della Chiesa e insieme quello di occuparsi di problemi di competenza altrui, ovvero di affari del tutto esterni all’istituzione che ha diretto, di campi della vita sociale nei quali nessuno ha potuto nemmeno immaginare che il papa avesse una qualche responsabilità diretta.

Francesco di governo

Pope Francis arrives for an audience with members of Roman Universities and Pontifical Institutions, in the Pope Paul VI hall at the Vatican, Saturday, Feb. 25, 2023. (AP Photo/Andrew Medichini) Associated Press/LaPresse EDITORIAL USE ONLY/ONLY ITALY AND SPAIN

Accanto al papa oppositore in questi dieci anni abbiamo potuto osservare l’attività anche di un altro papa Francesco, quello di governo.

Si è trattato di un Bergoglio completamente diverso, di un conservatore a tutto tondo, preoccupato soprattutto di garantire la continuità istituzionale, di mutare il meno possibile l’equilibrio faticosamente costruito nei secoli sul quale si basa la vita istituzionale della Chiesa.

Per questo, il Francesco di governo ha, almeno in prima battuta (perchè ora una seconda commissione è all'opera), stoppato l'eventualità non solo del sacerdozio ma persino del diaconato femminile, ha scongiurato qualsiasi modifica dell’istituto del celibato obbligatorio, impedito che in Amazzonia venissero ordinati sacerdoti degli uomini sposati e di recente bollato come pericolosamente “elitarie” le istanze riformatrici emerse nel sinodo tedesco.

La riforma della curia sulla quale si concentravano tante delle speranze dei riformatori si è rivelata poco più di una riorganizzazione interna, di una ristrutturazione di funzioni e uffici. Il potere delle conferenze episcopali è rimasto quello di sempre così come immutati sono i rapporti di forza interni tra il centro romano e le periferie mondiali.

Nulla della struttura regale della Chiesa è stato modificato in questi anni. A essere rafforzati sono stati semmai, proprio in conseguenza della popolarità in altri contesti del papa oppositore, il ruolo e le prerogative del monarca, sempre più capo assoluto, vertice intangibile di tutto l’edificio ecclesiale.

L’innovazione più significativa su questo terreno è stata probabilmente quella che riguarda la libertà di parola che Francesco ha garantito e promosso più dei suoi predecessori.

Voci diverse hanno potuto emergere e confrontarsi, ma quando infine la parola l’ha presa lui per decidere e indicare una direzione univoca all’intero corpo ecclesiale da Francesco abbiamo sempre udito provenire parole di conservazione e di continuità.

Mai una rottura, mai una vera innovazione. Il clima interno è diventato meno repressivo e più aperto al pluralismo, ma la forma e i contenuti dell’azione di governo sui grandi nodi di fondo non si sono distanziati da quelli di Benedetto e Giovanni Paolo.

Anche in questo caso vi sono delle buonissime ragioni che spiegano l’immobilismo. 

La principale consiste nel fatto che la Chiesa opera nel mondo in contesti sociali e culturali così diversi che qualsiasi riforma produrrebbe il rischio di un profondo malcontento, in qualche caso addirittura di una lacerazione.

A ogni modo, i due pontefici, i due Francesco, hanno convissuto molto pacificamente in questi dieci anni.

Talvolta anche alludendo l’uno all’esistenza dell’altro, come è capitato di recente quando il Francesco oppositore ha dichiarato che l’omosessualità, pur rimanendo un peccato come sostiene il Francesco di governo, non deve essere perseguita penalmente.

La  convivenza dei due Francesco è stata garantita soprattutto dal sistema dell’informazione che non ha mai chiesto un confronto all’americana, che cioè non ha mai preteso che fossero posti l’uno dinanzi all’altro.

Il motivo di questo atteggiamento è molto semplice: il Francesco oppositore è talmente affascinante e originale che ha oscurato totalmente il Francesco di governo scialbo e prudentissimo conservatore.

Tanto più che la possibilità di una riforma della Chiesa interessa sul serio pochissime persone nei luoghi secolarizzati più ricchi del pianeta, laddove si forma l’opinione pubblica mondiale.

Per quest'ultima le mirabolanti parole profetiche di uno dei pochi sovrani rimasti in circolazione sono molto più interessanti.

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