Preoccupa e stupisce l’affermazione di Josep Borrell, l’Alto rappresentante europeo per la politica estera uscente, secondo la quale «è ridicolo pensare che l’uso delle armi europee in territorio russo ci farebbe entrare in guerra con la Russia». Innanzitutto perché si tratta di un funzionario uscente ed è buona prassi trattenersi da posizioni tanto estreme quando si sta per lasciare.

Purtroppo Borrell sta invece facendo nomine e prendendo iniziative come se dovesse rimanere a Bruxelles per sempre, rendendo più complicato il lavoro di chi gli succederà. In secondo luogo, sono affermazioni che smentiscono ciò che era stato deciso e promesso in ambito Ue: armi solo per difendere l’Ucraina e mai per attaccare la Russia.

Borrell fa finta di niente e si contraddice, anzi fa contraddire tutta la Ue, con irresponsabile leggerezza. Se è così facile fare giri di valzer, chi crederà più a ciò che viene detto in Consiglio europeo? Ma la cosa più grave è il ragionamento: secondo Borrell, «il diritto internazionale non impedisce di colpire obiettivi militari all’interno del paese aggressore».

Qui proprio non ci siamo: da quando in qua le guerre seguono la logica del diritto internazionale? Men che meno questa che inizia proprio con la sua violazione. Non sa forse Borrell che non dal diritto internazionale dipende l’escalation, ma solo da ciò che sta nelle menti del Cremlino? Da loro – e soltanto da loro – discenderà la decisione se Mosca si “sente” attaccata dall’Europa oppure no. E in un quadro fosco denso di provocazioni, propaganda e fake news, è facile immaginare che le minacce più volte proferite dai russi divengano realtà.

Borrell gioca con il fuoco in maniera sconsiderata: lui stesso ci ha dipinto per anni i russi come una forza malvagia, guidata da impulsi soltanto aggressivi. E ora pensa forse che costoro si farebbero frenare dal diritto internazionale? Ha ragione Antonio Tajani quando gli consiglia di calmarsi e di rammentare che se ne sta andando. In queste ultime settimane l’Italia ha preso una posizione intermedia tra l’Ungheria filoputiniana e le posizioni più belliciste di altri, come Francia o Germania.

La posizione di Roma è realista: nessuno vince questa guerra, tanto meno l’Ucraina che è distrutta. D’altronde la retorica della vittoria sta scemando e rimane solo una postura promozionale per contenere quella (ugualmente falsata) di Mosca. Purtroppo il conflitto ha trasportato l’Europa dentro l’ingranaggio russo e ci si sfida a colpi di dichiarazioni ingannatrici. Come scrive Massimo Nava: «Il bilancio è altamente negativo: enormi costi umani ed economici» per entrambi.

Vladimir Putin potrà accontentarsi del Donbass ma ha regalato il resto dell’Ucraina in pianta stabile all’Occidente, aumentando i propri nemici. Per la Russia il nazionalismo si rivela un pessimo affare. Chi ne esce meglio sono da una parte la Cina, da cui Mosca ormai dipende in tutto e per tutto; dall’altra gli Stati Uniti che hanno reciso la connessione energetica Russia-Europa che tanto avevano in odio da anni, e stanno per ottenere un risultato simile sul piano del commercio con Pechino.

La Germania soffre per le sue esportazioni e l’Italia rischia, essendo legata a doppio filo con l’industria tedesca. Per questo la rabbia di Borrell è cieca: dovrebbe occuparsi del futuro dell’Europa e di ciò che stiamo perdendo piuttosto che fare retorica. Ma come al solito a Bruxelles si usa il doppio binario: agenda multilaterale bellica in pubblico e unilaterale utilitaristica in privato, legata agli affari che ancora si pensa di fare, sia che si tratti di posizionarsi sulla ricostruzione o vendere armi, come la Francia sta facendo con la Serbia.

Non è ancora chiaro se la decisione di Ursula Von der Leyen di nominare un commissario Ue alla difesa vada intesa in un senso o nell’altro.

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