Viene da chiedersi se ci sia da stupirsi che il 34 per cento degli italiani consideri eccessivo l’allarme sul cambiamento climatico. In fondo è un’opinione ripetuta di frequente in molti salotti televisivi e persino un ministro della Repubblica ha affermato di recente che l’arretramento dei ghiacciai fa parte di regolari cicli naturali.

E non è il dato più eclatante del rapporto del Censis su “Disinformazione e fake news in Italia”, pubblicato la scorsa settimana: quasi un Italiano su sei è convinto che il fenomeno del riscaldamento globale non esista affatto e non saranno i dati sulla temperatura media del pianeta, i fenomeni meteorologi estremi o le voci dell’intera comunità scientifica a persuaderli del contrario.

L’ecoansia

Fare dell’ironia nei confronti di chi preferisce “scappare” da una realtà incandescente riparandosi dietro certezze inscalfibili non aiuta tuttavia alla riduzione dei gas serra. Così come non è sufficiente commuoversi di fronte ai giovani paralizzati dall’ecoansia che gridano tra lacrime e proteste la loro legittima paura di non avere un futuro davanti a sé.

Nemmeno gli eco-attivisti più estremi sembrano saper portare soluzioni praticabili, rimanendo di fatto spettatori accalorati di scelte altrui: le contestazioni sono vitali al fine di orientare l’attenzione verso il problema, ma c’è differenza tra sollecitare decisioni e prenderle.

È più utile, forse, considerare l’ansia, il rifiuto della realtà e persino la rabbia nei confronti di essa come risposte che condividono la medesima difficoltà di confrontarsi con il cambiamento: quell’intollerabile inquietudine di fronte a sconvolgimenti profondi e irrefrenabili che da sempre punteggiano la storia.

Collasso

Fa male realizzare che il mondo che conoscevamo è già oggi in rapida e radicale trasformazione, ma ignorare questo mutamento è molto più pericoloso che affrontarlo.

Già 12 anni fa il biologo statunitense Jared Diamond in Collasso - Come le società scelgono di morire o vivere si domandava se la nostra civiltà non avrebbe fatto la fine degli abitanti dell’Isola di Pasqua o di altre comunità: sorprese e annichilite da stravolgimenti impensabili che a ben vedere non erano altro che parte integrante del loro stesso sviluppo.

Diamond constatava che le civiltà meglio capaci di sopravvivere sono state quelle maggiormente in grado di adattarsi a cambiamenti radicali nel loro stile di vita: culturalmente e politicamente ancor prima che tecnicamente. Ad esempio, creando relazioni con realtà nuove e lontane in grado di ampliare i loro orizzonti.

Il nostro sforzo dovrebbe andare in questa direzione in quanto oggi la maggioranza dei problemi richiede non solo di individuare soluzioni a livello globale, ma anche di connettere tra loro parti opposte e molto diverse della società.

La politica, piuttosto che cercare di compiacere od escludere a fasi alterne negazionisti e giovani in lacrime, ha il dovere di comprendere che essi sono tutti soggetti mossi dalla stessa forza: l'emotività. Un’energia tanto ignorata quanto fondamentale per uscire da qualsiasi crisi.

Le razionalità attraverso cui promuoviamo leggi e politiche in favore della sostenibilità è più che mai necessaria, ma deve accompagnarsi a livelli di comprensione più profondi per evitare di farci fuggire o rimanere paralizzati di fronte a ciò che avverrà.

Un’umanità spaventata

Per riuscirvi la politica è chiamata ad operare una sintesi tra questi approcci all'apparenza antitetici, ma dovrà farlo agendo con delicatezza su frontiere culturali, valoriali e psicologiche che oppongono resistenza nel costruire un domani diverso. Non tutti questi confini possono essere valicati in un unico colpo se non vogliamo che la perdita di identità che essi demarcano diventi un problema in più.

La vera sfida al cambiamento climatico sarà riuscire a vederci reciprocamente negli occhi riconoscendoci per ciò che siamo: un’umanità spaventata. Allora sarà più facile il passo successivo: alzare ancora un po’ lo sguardo per vedere insieme il futuro che sta davanti a noi.

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