A proposito della pubblica esternazione di Paolo Savona che, rispondendo alle critiche di inattività sulla vicenda Generali da parte della Consob, accusava l’organizzazione che presiede di tenerlo in ostaggio, Giovanna Faggionato si domandava su queste colonne: «Davvero il mercato italiano si merita un presidente di un’autorità così incapace di gestire il suo ruolo?».  Temo che la risposta sia affermativa.

Perché i presidenti e i commissari della Consob li nomina il governo e le forze politiche che lo sostengono, e che sono presumibilmente lo specchio della volontà popolare. E tutti – governo, forze politiche, elettori - hanno così tanto a cuore il buon funzionamento dei mercati finanziari che ogni presidente della Consob riesce a far rimpiangere il proprio predecessore.

Perché il nostro è un mercato dove le relazioni contano ancora molto, a volte più dei capitali; e dove gli imprenditori preferiscono non quotarsi, o farlo altrove; e se lo fanno preferibilmente è per approfittare dell’irrazionale euforia che periodicamente colpisce le Borse, salvo poi procedere al delisting quando le quotazioni scendono; per poi tornare a quotarsi a un multiplo maggiore quando l’euforia ritorna, e passare all’incasso.

Perché fondi e investitori istituzionali da noi in gran parte dipendono da – o sono clienti di – banche e assicurazioni, in un sistema banco centrico nel quale il silenzio è d’oro.

E perché la politica, tutta, considera il capitale straniero, che pure rappresenta la maggioranza a Piazza Affari e nel private equity, un barbaro alla conquista dell’Italia.

Ce lo meritiamo

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Sì, ci meritiamo questa Consob e il suo presidente. Ma si tranquillizzi Giovanna Faggionato. Dopo Autostrade, la fusione Sia-Nexi e la nuova società della rete con la scissione di Tim, lo Stato sarà in controllo di società che, escludendo il settore finanziario, rappresentano quasi la metà della capitalizzazione Piazza Affari; e con lo Stato in controllo la Consob è silente. Per le banche quotate la Consob non serve perché tanto decide tutto la Bce.

Le grandi imprese (come Ferrero o Barilla) che non sono quotate, continueranno ad evitare la nostra Borsa; molte di quelle che l’hanno fatto, l’hanno fatto altrove (Prada, Ermenegildo Zegna, Stevenato); e per quelle che a seguito di una fusione, o per altre ragioni, hanno spostato la propria sede all’estero (Stellantis ex Fca, Essilux ex Luxottica, Mfe ex Mediaset, Igt ex Lottomatica) la quotazione a Piazza Affari (a sua volta già parte della multinazionale Euronext) diventerà inevitabilmente una quotazione secondaria.

Quanto al tormentone Del Vecchio-Caltagirone-Generali-Medibanca, se non altro per una questione anagrafica, arriverà presto all’ultima puntata.

A quel punto la Borsa italiana diventerà ancora più irrilevante e il problema della Consob e del suo Presidente si sarà risolto da solo.

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