Farebbe bene alla sinistra analizzare e discutere seriamente il rapporto Draghi su ‘Il futuro della competitività europea’, e anche quello di Enrico Letta uscito in precedenza. Se ne possono infatti trarre numerosi spunti e suggerimenti per la costruzione di un progetto credibile di alternativa al governo di destra che ancora manca. Un progetto all’altezza di una sinistra moderna, capace di uscire dalla morsa tra un massimalismo poco responsabile e un governismo privo di autonomia culturale e di ambizioni.

L’analisi di Draghi parte da una domanda. Come conciliare l’obiettivo della crescita economica in un’economia di mercato e quello della inclusione sociale, cioè della riduzione delle disuguaglianze, che sono molto cresciute? Come difendere quindi il modello sociale europeo? Queste domande sono le stesse che una sinistra all’altezza della sua storica ‘ragione sociale’ – la lotta alle disuguaglianze e l’impegno per la giustizia sociale -dovrebbe porsi.

La risposta che Draghi propone si fonda su due pilastri. Anzitutto, occorre promuovere la competitività delle industrie europee che negli ultimi decenni ha perso terreno nei riguardi degli Stati Uniti in parte della Cina. L’Europa non è più all’avanguardia dell’innovazione tecnologica, come mostrano i dati sulla collocazione delle imprese. Ha però grandi potenzialità di competenze (capitale umano, strutture di ricerca) e anche di risorse finanziarie (elevato risparmio delle famiglie) che dovrebbero essere meglio utilizzate.

Ma non lo sono e questo determina anche perdita di imprese innovative, di capitale umano e di flussi finanziari, che invece di favorire l’innovazione e la competitività dell’Europa si indirizzano altrove, in particolare verso gli Stati Uniti.

Beni pubblici

Come si può invertire questa tendenza? Qui viene in evidenza il secondo pilastro dell’analisi di Draghi: è necessario un maggior coordinamento e una migliore integrazione delle politiche e degli interventi a livello europeo. Le risorse finanziarie necessarie per promuovere l’innovazione sono ingentissime e non sono più alla portata dei singoli stati, così come non lo sono gli interventi regolativi più appropriati per essere efficaci. I singoli paesi sono ormai troppo piccoli per produrre dei beni pubblici che sostengano l’innovazione e che necessitano di una dimensione più ampia.

In altre parole, ci vogliono dei beni pubblici europei che richiedono a loro volta investimenti comuni e quindi una maggiore integrazione delle politiche di bilancio. Ma se gli stati nazionali sono ormai troppo piccoli per sostenere il grande sforzo necessario all’innovazione, essi restano però ancora sufficientemente forti da non cedere le quote necessarie di sovranità alla Ue. Da qui l’impasse dell’Europa che constatiamo sempre più di fronte all’urgenza di intervenire, ma da qui anche una serie di spunti per un progetto adeguato della sinistra.

Anzitutto, è evidente che se si vogliono contrastare le disuguaglianze è necessario promuovere l’innovazione. Il rischio, chiaramente evocato da Draghi, è che senza un’adeguata innovazione e una crescita della competitività non sarà possibile mantenere e migliorare uno sviluppo inclusivo e finanziare il welfare. Di questo nesso la sinistra dovrebbe mostrarsi più consapevole nel suo progetto sia a livello nazionale che europeo.

Salari e risorse

A livello nazionale sarebbe dunque necessario legare meglio i giusti obiettivi redistributivi (scuola, sanità, ecc.) e la rivendicazione di salari più elevati al problema del reperimento delle risorse. E questo, da un lato, chiama in causa la necessità di una politica dell’innovazione adeguata, capace di raccordarsi agli sforzi verso la realizzazione di politiche più integrate a livello europeo.

Dall’altro, richiede un intervento profondo e incisivo sulla giungla del nostro sistema fiscale, senza adagiarsi su promesse opportunistiche di riduzione delle tasse, chiaramente in contrasto con gli obiettivi redistributivi volti a contrastare le disuguaglianze.

Ma c’è un ulteriore aspetto, presente soprattutto nel rapporto Letta, che vale la pena di sottolineare. Si tratta dell’opportunità di rinforzare nella piattaforma programmatica della sinistra e nella sua azione il ‘dialogo sociale’ a livello europeo, la concertazione tra la Commissione e le grandi forze sociali. Le organizzazioni del lavoro e delle imprese sarebbero potenzialmente in grado di internalizzare i benefici dell’innovazione per i loro rappresentati più dei partiti attuali, condizionati da interessi elettorali a breve.

Insomma, un progetto della sinistra non solo più consapevole delle interdipendenze tra politiche redistributive e politiche per l’innovazione, ma consapevole anche che tali interdipendenze oggi non si giocano più soltanto a livello nazionale, ma sempre più a livello europeo.

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