Tra i tormentoni inventati da Silvio Berlusconi che ho ricordato nell’articolo su Domani del 18 giugno ne manca uno che il nostro tirò fuori nella campagna elettorale del 2001 e ripetette, come sempre, fino allo sfinimento. Era quello delle “tre i”, iniziali di internet, inglese, impresa, le parole che avrebbero dovuto indicare la rotta di una scuola rinnovata. Benché sfruttato senza risparmio, il motto non generò nulla, se non la sciagurata “alternanza scuola-lavoro”, inventata da Letizia Moratti nel 2003 ma messa in moto nel 2015 nel criticatissimo decreto detto “La Buona Scuola” di Renzi & Giannini.

Se ricordo questo fatto, è anche per dire che tra quelle vocali ne mancava non a caso una, la “u” di università. Quell’assenza si spiega perfettamente. Nella storia dell’Italia repubblicana, infatti, l’università non ha mai ha patito tante sofferenze, deprivazioni e mortificazioni come nell’era Berlusconi.

A infiggergliele furono sia le ministre addette sia, dall’esterno, Giulio Tremonti all’economia. Sebbene anche lui universitario (sia pure della speciale categoria dei professori-professionisti), Tremonti, che aveva manifestato in più occasioni una sua ruggine verso il mondo universitario, giustificò le decurtazioni con l’esigenza di far quadrare conti pubblici traballanti e perfino di mettere Alitalia al riparo da compratori stranieri. Furono tagliati i posti per i dottorati di ricerca (nati da poco e in via di assestamento), ridotte le risorse per nuove assunzioni e turn-over. La “fuga dei cervelli” verso l’estero cominciò allora.

Università

A Tremonti dobbiamo anche la creazione dell’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia), partorito dal suo ministero motu proprio e in modo del tutto irrituale (con un allegato della finanziaria 2003), tenendone all’oscuro il mondo universitario e della ricerca. Prima ancora che nascesse, all’IIT era stato assicurato un finanziamento mai visto: 50 milioni per il primo anno e 100 milioni all’anno per i successivi nove.

Tutta l’operazione fu fatta alla chetichella: la CRUI (Conferenza dei Rettori), risentita per non esserne stata informata e per il mancato finanziamento della rete universitaria “normale”, non poté fare altro che denunciare il “disprezzo per la ricerca e l’università” che la creazione dell’IIT costituiva. Le numerose voci contrarie, tra cui quella di Carlo Rubbia e altri scienziati di rango, furono ignorate. Non pago, con un’altra operazione irrituale, il ministero varò la Scuola IMT (istituzioni, mercati, tecnologie), con sede in Lucca, città piuttosto fuori mano, ma collegio elettorale di Marcello Pera. Costosa e poco frequentata (anche in ragione delle sue singolari aree di interesse), l’IMT dispensa solo diplomi dottorali.

Nel 2003, Letizia Moratti, ministra dell’istruzione e dell’università, inventò le università telematiche, ancora una volta con un decreto emanato all’insaputa del mondo universitario e della CRUI. Dinanzi alle rimostranze, la ministra si limitò a istituire una commissione di esperti per esaminare le proposte, una delle quali però fu autorizzata a tamburo battente dal ministero … contro il parere della commissione.

La povera CRUI, frastornata, con l’ennesimo documento espresse “la sua più piena contrarietà” all’iniziativa e al metodo con cui era stata condotta, e segnalò che in quell’ateneo così sveltamente autorizzato non era chiara “l’esistenza di un corpo docente che, per numero e qualificazione, garantisca i criteri indispensabili per l’attivazione dei corsi di laurea previsti”.

La CRUI avvertiva anche che, a forza di creare università private, si costituiva un “canale parallelo” a quelle pubbliche, col rischio di una “proliferazione dei soggetti mossi da prevalenti interessi economico-commerciali”. Ebbene, oggi su novantasette università esistenti in Italia, le private sono trentasei, e di queste undici sono le telematiche. Un’idea di come funzionino (non tutte, certo) si è avuta da un’inquietante puntata di Report di qualche settimana fa (5 giugno).

Il privato

Nella lunga era Moratti (2001-2006) prese corpo anche la dottrina secondo la quale le università dovevano aprirsi ai privati. Circolarono documenti prodotti da think tanks di varia credibilità che ridisegnavano il sistema della governance. Alcune proposte prevedevano che il rettore potesse anche non essere un professore e che il governo degli atenei dovesse essere controllato dagli “azionisti” del sistema. Ad applicare questa dottrina pensò Maria Stella Gelmini, ministra dal 2008 al 2011, con alcuni gesti ancora più percussivi.

Anzitutto creò l’ANVUR, l’agenzia di valutazione dell’università e della ricerca a cui questo giornale ha dedicato più volte attenzione. Macchina burocratica pachidermica e costosa, dal prestigio non sempre adamantino e dai poteri vastissimi, è senza dubbio, per dirla in sintesi, uno degli oggetti più odiati dagli universitari di tutt’Italia. A Gelmini però si deve soprattutto una generale riforma dell’università (2008) che disarticolò l’assetto del sistema al punto che ancora oggi, a quindici anni di distanza, non si è ripreso.

Va ricordato che in quel torno di tempo il mondo dell’università soffriva di un trauma recente: nell’intervallo tra il Berlusconi III e il IV, un governo di centro-sinistra con Luigi Berlinguer all’università aveva introdotto il sistema didattico noto come “3 + 2”, imposto dall’UE benché avversato da quasi tutto il mondo accademico. Sin dalle prime applicazioni, il 3 + 2 aveva prodotto dissesti (non ancora risolti) nell’organizzazione didattica. La riforma Gelmini intervenne quindi, non senza cinismo, su un terreno instabile.

Tendeva a pochi obiettivi, tutti duri a digerirsi: limitare la libertà di assumere personale da parte degli atenei, portare i privati nei consigli di amministrazione, risparmiare sul personale amministrativo e docente, concentrare il potere interno (cariche, commissioni di concorso ecc.) nelle mani dei soli ordinari.

La ristrutturazione ebbe disastrosi effetti generali: per risparmiare su pochi segretari amministrativi, i dipartimenti (che, a trent’anni dall’istituzione, avevano trovato un assetto relativamente stabile e riconoscibile) furono costretti ad “accorparsi”, creando estemporanee associazioni di discipline incongrue e generando irresolubili tensioni interne. Inoltre, aumentò il potere, non solo degli ordinari, ma anche della potente corporazione dei direttori amministrativi, che la riforma promosse direttori generali, permettendogli di godere di contratti di diritto privato e compensandoli con un virtuale raddoppio degli emolumenti.

Effetti scientifici

Per completare l’opera, la riforma introdusse il malefico criterio dei “punti organico”, che da allora si usa per la ripartizione del personale, docente e no. In parole povere, ogni università riceve dal ministero un certo numero di punti organico (come fiches in un gioco), che può usare come vuole: un ordinario vale un punto, un associato tre quarti e un ricercatore mezzo punto.

Per il personale tecnico e amministrativo vale lo stesso principio. Non è difficile immaginare le conseguenze: tutti cercano di accaparrarsi punti organico, si prestano quote, se ne chiedono in prestito per costruire posti o completare posti incompleti. Gli effetti non furono solo amministrativi, ma anche scientifico-culturali. Supponiamo che in un’università si sia creata una tradizione di qualità in un dato ambito.

Una volta pensionato il titolare, quel che lascia non è più “la cattedra” di un tempo (che gli atenei seri tenevano a coprire con la stessa disciplina e magari con persone legate a una tradizione), ma … un punto organico. Il quale, come tale, può essere speso per qualunque cosa: cancellare la disciplina diventata gloriosa per sostituirla con qualcos’altro, finanziare posti di ricercatore, prestare il mezzo punto mancante per creare un associato e così via.

La bagarre scatenata allora non si è mai arrestata. Intanto, la “fuga dei cervelli” continua. Tutto questo, e altro ancora (come la cosiddetta ASN – Abilitazione Scientifica Nazionale, di cui forse parlerò un’altra volta), è ciò che il nostro sistema universitario deve ai trent’anni del berlusconismo e ai suoi epigoni.
 

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