Il “cambio di casacca” sembra essere uno sport nazionale in Italia, e non solo per il numero record di parlamentari che, eletti in un certo partito, “transumano” verso altri gruppi politici nel corso della legislatura. Ci si riferisce, questa volta, al fenomeno delle revolving door ovvero alle “porte girevoli” che consentono al titolare di un incarico pubblico di assumere ruoli in società private senza alcun periodo di “riposo cautelare” (gli americani lo chiamano “cooling off”).

A onor del vero si tratta di uno “sport” particolarmente diffuso anche in altri paesi dove, tuttavia, esiste una precisa regolamentazione.

Negli Stati Uniti d’America, ad esempio, l’Ethics Government Act 1978, approvato dopo lo scandalo Watergate, e l’Ethics Reform Act 1989, vietano agli ex funzionari pubblici di “ritornare” nelle amministrazioni o nelle aziende di provenienza in veste di dirigenti, e agli ex parlamentari e ai componenti dei loro staff di rappresentare interessi per conto di qualsiasi azienda nell’anno subito successivo alla scadenza dell’incarico o del mandato.

Ugualmente a livello di Unione Europea, la Commissione ha reso più stringenti le previgenti norme sulle revolving door, estendendo il periodo di “cooling-off” da 18 mesi a 2 anni per gli ex commissari e da 18 mesi a 3 anni per gli ex presidenti della Commissione.

La decisione di rivedere le regole è la conseguenza dello “scandalo Barroso”, l’ex presidente della Commissione europea che, dopo aver presieduto la Commissione per dieci anni e aver cessato il mandato nell’ottobre 2014, a giugno 2016 è stato nominato Chairman di Goldam Sachs, che spende oltre 1 milione di dollari all’anno in lobbying a Bruxelles.

In Italia, invece, il “cambio di casacca” è regolato esattamente come il lobbying, ovvero in modo strisciante, disorganico e schizofrenico.

La zona grigia

Nell’assenza di una normativa specifica, vi sono numerose disposizioni di legge per contrastare o limitare le “revolving door”. Ad esempio il decreto legislativo 8 aprile 2013 n. 39 ha previsto, tra l’altro, un periodo di due anni di “cooling off” per coloro che hanno ricoperto incarichi politici, anche a livello locale, disponendo, il divieto di assumere incarichi in aziende sanitarie o nell’amministrazione in cui si ha svolto l’incarico politico o in enti da questa controllati. Una legge precedente, la numero 481 del 1995, ha, invece, introdotto un simile periodo di “raffreddamento” per i componenti delle autorità amministrative indipendenti obbligandoli a “restare fermi” e non accettare incarichi professionali nei due anni successivi alla cessazione del mandato.

O ancora si pensi alla decisione assunta l’8 febbraio 2017 dall’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati con cui si dispone che gli ex deputati e gli ex membri del governo non possano iscriversi nel registro dei lobbisti – istituito presso la medesima Camera - nei dodici mesi successivi alla conclusione del loro incarico.

Più o meno nello stesso periodo la regione Puglia, con la legge 24 luglio 2017, n. 30, ha previsto l’incompatibilità a svolgere attività di lobbying nei successivi due anni dalla cessazione dell’incarico o del mandato per i decisori pubblici, i consulenti dell’ente regionale o di altre pubbliche amministrazioni.

Una pluralità di norme che strisciano all’interno dell’ordinamento esattamente come un serpente sulla sabbia del deserto, spesso senza neanche farsi notare, con un andamento schizofrenico visto che, il più delle volte, non hanno sanzioni né giudici chiamati a controllarne la corretta applicazione.

Questo stato di cose pone un evidente problema sia in termini generali sulla qualità della democrazia sia in termini più specifici sulla capacità dei decisori pubblici di rappresentare effettivamente l’interesse generale.

Le disposizioni introdotte in Italia, infatti, non solo lasciano scoperti numerosi casi come quelli relativi a ministri o capi di gabinetto che diventano lobbisti (e viceversa) ma, consentendo senza remore tali cambi di casacca, incentivano la cosiddetta “cattura del regolatore” da parte degli interessi privati, quasi fosse una nuova forma di corruzione legale.

Resta, poi, anche alla luce dei casi di Lapo Pistelli (passato dal governo Letta all’Eni) e Marco Minniti (assunto, da deputato Pd, da Leonardo) per citarne solo due tra i più eclatanti, una questione di fondo relativa al ruolo delle multinazionali di Stato: Eni, Enel, Snam, Cdp o le altre società a partecipazione statale tutelano interessi pubblici o perseguono fini incompatibili con l’interesse generale? Nel primo caso, il “cambio di casacca” non appare essere poi tale ed anzi sembra quasi un virtuoso scambio di professionalità; nel secondo caso, vale ovviamente l’opposto.

Per capire quindi come intervenire in materia, prima si dovrebbe risolvere questo nodo che appare essere, ben oltre l’argomento trattato, una questione prioritaria.

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