La notizia della pesante sanzione che ha colpito il direttore del pronto soccorso di Bari per aver lavorato troppo nel periodo del Covid è stata riportata da molte testate, ma troppo poco analizzata, al di là di un condivisibile, ma un po’ superficiale «Li chiamavano angeli o eroi e adesso li multano per averci salvati».

Per la cronaca, il dottor Vito Procacci ha ricevuto dall’Ispettorato del Lavoro una sanzione di 27.100 euro per non aver rispettato, né fatto rispettare ai medici del suo reparto, i turni di riposo previsti dal contratto nazionale di lavoro. Per sospendere il provvedimento è stato necessario l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Procacci si era rivolto segnalando lo «sgomento, l’amarezza e la delusione» per il trattamento ricevuto dallo Stato. Il procedimento è quindi stato sospeso, per decisione dell’Ispettorato del Lavoro, dopo un colloquio tra Mattarella e la ministra del Lavoro, Elvira Calderone.

L’episodio, però, si presta ad alcune considerazioni. La prima riguarda la contrapposizione, apparentemente insanabile in Italia, tra le regole e la realtà, tra l’affermazione formale di quello che dovrebbe essere e l’arte di arrangiarsi cui sono costretti vasti settori dell’economia e della funzione pubblica. Nel nostro caso, la sanzione fa riferimento al contratto di lavoro del comparto sanità che, in sintesi estrema, prevede un massimo di dodici ore consecutive per turno e un riposo obbligatorio di almeno undici ore tra un turno e quello successivo. È evidente che si tratta di una norma scritta a tutela dei lavoratori e allo stesso tempo dei loro pazienti, considerando che nessuno desidererebbe essere accudito da un medico o da un infermiere in grave debito di sonno o stressato da turni di lavoro insostenibili. Inutile sottolineare come tutto questo cozzi contro una realtà dove il pronto soccorso è l’estremo baluardo di un Servizio sanitario nazionale che sconta enormi carenze tanto della medicina territoriale quanto di quella ospedaliera e che riesce a farlo solo al costo di un impegno orario straordinario di chi ci lavora. Ma allora è lecito chiedersi chi traccia il confine tra il rispetto degli orari di lavoro e l’abbandono di incapace o l’interruzione di pubblico servizio. Chi decide che il pronto soccorso dovrà funzionare con un medico al posto di due o due al posto di quattro e pazienza se qualcuno morirà attendendo per ore il proprio turno? Non l’ Ispettorato del lavoro si dirà. Ma di nuovo, chi?

Emergenza infinita

La seconda considerazione riguarda il periodo relativamente al quale sono scattate le sanzioni. Secondo le agenzie di stampa si tratterebbe dei mesi tra giugno 2021 e giugno 2022. Ancora periodo di Covid, certamente, ma della quarta ondata, con milioni di italiani già vaccinati e gli ospedali meno travolti dall’epidemia di quanto fossero stati durante le ondate precedenti. Dunque qualcuno ha esitato di fronte all’idea di sanzionare i medici per il periodo della prima ondata, quando molti di loro dormivano addirittura in ospedale per essere pronti a rituffarsi appena possibile nella mischia. Se così è stato, non possiamo che felicitarcene, ma allora chi ha stabilito quale sia stata la data in cui l’emergenza poteva considerarsi terminata e le regole della normalità ripristinate? Chi ha deciso che il giugno 2021 è stato il momento in cui l’attività dei pronto soccorso poteva considerarsi normalizzata, a onta delle migliaia di professionisti mancanti all’appello e della crescente fuga dei medici che costringono i reparti di emergenza a vivere loro stessi, costantemente, in situazioni emergenziali? Sempre che le sanzioni relative ai periodi precedenti non siano già nella posta.

La terza considerazione riguarda l’ipocrisia di guardare all’orario di lavoro dal punto di vista di un contratto che, per definizione, si limita a normare gli orari di lavoro di medici e infermieri solo per quanto riguarda il loro rapporto di dipendenza pubblica. Di nuovo, la realtà ci presenta un mondo diverso, dove i professionisti della salute spesso affiancano il loro lavoro ospedaliero con decine di ore di attività libero professionale. Ho già avuto occasione di discutere come questo sia almeno in parte l’inevitabile contraltare di retribuzioni tra le più basse in Europa, ma resta il fatto che sono una minoranza i medici che dedicano le loro ore di riposo solo al sonno, agli svaghi e alla famiglia.

Se dunque a un medico è concesso di lavorare più a lungo, se lo sceglie e lo desidera, perché il primario del pronto soccorso di Bari e i suoi colleghi devono essere sanzionati per aver deciso di dedicare più ore al servizio (anziché all’attività libero professionale) a tutela del buon funzionamento del proprio reparto oltre che della propria dignità di medico dedicato innanzitutto alla cura di chi ne ha bisogno?

Fuga dalle responsabilità

L’ultimo tema che emerge da questa triste vicenda, ma forse il più importante, è quello della responsabilità delle scelte all’interno dell’Amministrazione pubblica. Si è molto discusso di una paralisi decisionale dovuta al timore di incorrere in sanzioni prendendo decisioni che, anche se volte al bene collettivo, potrebbero trovarsi in contrasto con leggi e regolamenti che rendono rischiosa ogni iniziativa personale. La messa a terra del Pnrr ne soffre, così come migliaia di iniziative pubbliche e private che si arenano in attesa di permessi che non arrivano mai da parte di uffici e dipartimenti della pubblica amministrazione mal collegati tra di loro e poco votati all’efficienza.

Il risultato più frequente è quello che non si decida, o si decida male, applicando pedantemente, come in questo caso, regole che tutelano un mondo immaginario che molte volte non ha più nulla a che fare con la realtà. E ancora peggio applicando le leggi a macchia di leopardo perché, a voler essere coerenti, tutti i pronto soccorso e gli ospedali d’Italia dovrebbero essere sanzionati. Il Policlinico di Bari si è appellato contro la decisione dell‘Ispettorato del lavoro, i sindacati dei medici hanno lanciato una colletta per pagare la sanzione inflitta al loro collega che a sua volta ha deciso di scrivere direttamente al presidente della Repubblica. Mattarella si è preso a cuore il caso, ma è una follia che per una gestione ragionevole dell’ordinaria amministrazione sia necessario l’intervento del Quirinale.

© Riproduzione riservata