Il Parlamento europeo ha cancellato lo stupro dalla bozza di Direttiva sulla violenza contro le donne, in contraddizione con la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, che per la prima volta definisce la violenza sessuale come penetrazione non consensuale, o altri atti sessuali commessi su una persona senza il suo consenso. La norma conferisce dunque un’importanza decisiva alla volontà della donna, che può sempre dire no, in qualsiasi momento e nel contesto di qualsiasi relazione.

C’è stupro anche in assenza di violenza, e senza che la donna debba provare – come ancora accade in molti tribunali dei Paesi dell’UE - di avere resistito fino a correre il rischio di farsi uccidere o di subire lesioni fisiche ancora più gravi. Cancellare la norma che fonda lo stupro sulla mancanza di consenso esplicito della donna rende la Direttiva non solo monca, ma anche simbolicamente regressiva, poiché finisce coll’ignorare i passi avanti decisivi compiuti dalla Convenzione di Istanbul.

Si tratta di un vero e proprio ritorno indietro nell’accidentato percorso vero l’omogeneizzazione della nozione di stupro e delle relative esperienze giudiziarie. Il che significa che le donne continueranno ad avere livelli diversi e spesso del tutto inefficaci di protezione dei loro diritti umani all’interno della stessa UE.

L’eliminazione dello stupro dalla bozza di Direttiva dipende dalla posizione assunta da alcuni governi nel Consiglio europeo (del quale è necessario l’accordo), i quali hanno sostenuto che l’Ue non avrebbe competenza legislativa in questa materia. Vale la pena tuttavia ricordare che alcuni governi si erano già strenuamente opposti all’adesione della Ue alla Convenzione di Istanbul, a causa di una latente ostilità rispetto al suo contenuto avanzato.

La base giuridica

In questo caso è stato utilizzato l’argomento della mancanza di base giuridica, fondato su una lettura restrittiva dell’articolo 83 del Trattato. Quest’ultima norma comprende, tra i reati di competenza dell’Unione, lo sfruttamento sessuale. Dunque – si sostiene – sulla diversa fattispecie della violenza sessuale l’Ue non sarebbe legittimata a legiferare.

Orbene, l’assunto è smentito dalle posizioni assunte dallo stesso Parlamento europeo nell’accordo politico raggiunto qualche giorno fa sulla revisione della Direttiva sulla tratta. In quest’ultimo testo, tra gli scopi di sfruttamento perseguiti dai trafficanti, sono stati aggiunti, fra l’altro, i matrimoni forzati e le adozioni illegali.

La tendenza degli organi europei è verso un allargamento della nozione di sfruttamento, che non è più inteso solo come vantaggio ingiusto (di carattere economico o di altro genere) derivante da una prestazione altrui, sessuale o lavorativa o di altro tipo, ma finisce col comprendere qualunque uso strumentale di un’altra persona, realizzato allo scopo di perseguire una finalità propria di chi commette la strumentalizzazione, ed estranea alla volontà della vittima.

Infatti il matrimonio forzato rientra tra gli scopi di sfruttamento anche se – in ipotesi – da ciò non discendesse alcun vantaggio. In ogni caso, gli eventuali vantaggi non necessitano di essere provati in tribunale, bastando la circostanza della coartazione della volontà della donna.

Evitare lo sfregio

Le stesse considerazioni valgono anche per le adozioni illegali, che in quanto tali rientrano nello scopo di sfruttamento, al di là di ogni altra indagine sugli esiti dell’adozione.

Tali inclusioni – per quanto discutibili e di fatto discusse – indicano senza alcun dubbio che l’articolo 83 del Trattato, con riferimento alla nozione di sfruttamento sessuale, è stato già interpretato in modo da includere fattispecie diverse da quelle fin qui considerate attinenti, tipicamente lo sfruttamento della prostituzione altrui.

Ora, se il matrimonio forzato, che è fondato sulla mancanza di consenso della donna al matrimonio, rientra nella base giuridica del Trattato, non si vede perché non debba rientrarvi lo stupro, che implica la mancanza di consenso della donna all’atto sessuale.

Credo che l’Italia debba fare tutto il possibile per evitare lo “sfregio” della Direttiva e dell’ottimo lavoro che aveva svolto la nostra Pina Picierno.

A questo punto sarebbe assai meglio rinviare l’accordo, e affidare al prossimo Parlamento un supplemento di studio e di discussione da parte dei governi, che si spera possa dare un risultato meno approssimativo e abborracciato rispetto a quello risultante dall’attuale testo malamente “mutilato”.

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