Il risultato uscito dalle urne ha comprensibilmente aperto un dibattito articolato, dentro e attorno il Partito democratico. Il segretario del Pd Enrico Letta ha indicato un percorso, che sarà oggetto di confronto e discussione nella direzione nazionale convocata il prossimo 6 ottobre.

Nel frattempo molti osservatori e dirigenti si stanno esercitando in analisi e ricette sul futuro del Pd, suggerendo strade che vanno dalla rifondazione allo scioglimento.

Tra tutte mi ha molto colpito l’articolo pubblicato su questo giornale da Ferdinando Cotugno, nel quale, dando voce a una parte del mondo ecologista, si identifica il Pd come un ostacolo per i movimenti ambientalisti, un tappo al cambiamento, e per questo se ne auspica la scomparsa definitiva.

Pur dissentendo in modo totale da questa rappresentazione, penso che possa aiutarci a mettere a fuoco uno dei limiti maggiori della nostra proposta politica.

Partendo proprio da questo tema, che è quello di cui più mi sono più occupata in questi anni e facendomi quindi carico in prima persona della responsabilità di questa situazione. 
I temi ambientali sono diventati patrimonio largamente condiviso nel Partito democratico, rispetto alla condizione assolutamente minoritaria con cui erano trattati solo qualche anno fa.

In campagna elettorale

Foto Guido Calamosca/LaPresse 23-09-2022 Bologna, Italia - Cronaca piazza Verdi, Corteo Fridays for future per l’ambiente september 23, 2022 Bologna Italy - News piazza Verdi, Fridays for future parade for the environment

In questa campagna elettorale abbiamo dichiarato di voler essere il più grande partito ambientalista europeo, abbiamo costruito un pilastro del nostro programma sulla transizione ecologica e la lotta alla crisi climatica, il segretario ne ha parlato spesso e con convinzione, siamo risultati la forza politica e la coalizione più credibili riguardo alle proposte in materia di clima e ambiente secondo l’analisi di esperti qualificati e super partes. E tuttavia non siamo riusciti a intercettare il consenso di un elettorato, soprattutto giovane, sensibile a queste tematiche.

La mia convinzione è che l’esperienza del governo Draghi su questi temi ci abbia fatto pagare un prezzo altissimo.

Non so se esiste o sia mai esistita un’agenda Draghi ma certamente sui temi ambientali e climatici questa presunta agenda era molto lontana da quella di un partito ambientalista e progressista. In troppe occasioni la nostra lealtà all’azione di un governo di unità nazionale ci ha impedito di essere obiettivi e coerenti con le nostre posizioni.

Nel dire ad esempio che l’esperienza del ministero della Transizione ecologica è stata in larga parte un fallimento, che i temi fondamentali della difesa della biodiversità e dell’adattamento al cambiamento climatico sono colpevolmente scomparsi dall’agenda di governo, che sulla transizione ecologica e energetica è prevalsa una logica conservativa soprattutto da parte di quel ministero che al contrario avrebbe dovuto esserne il motore trainante.

Nessuno nega la necessità di affrontare e governare la sfida della transizione ecologica facendosi carico della sostenibilità sociale e economica di un cambiamento così dirompente, ma è evidente che anche al nostro interno la crisi climatica non è percepita nella sua reale dimensione, cioè come un dato di realtà che condiziona pesantemente ogni altro aspetto della vita delle persone e quindi ogni scelta che siamo chiamati a compiere.

Se il congresso costituente che ci apprestiamo a intraprendere vuole essere davvero il momento per sciogliere alcuni nodi nella nostra identità e della ragione d’essere del nostro Partito, io credo che anche su questi temi sia necessario arrivare finalmente a un punto di chiarezza.

Perché il modo in cui interpretiamo la crisi climatica e le sue conseguenze ha molto a che fare con il modo in cui intendiamo essere in questo tempo un partito di sinistra. Consideriamo la crisi climatica una delle tante questioni o la condizione strutturale in cui inquadrare tutte le altre?

Lavoro, produzione, formazione, fisco, salute, giustizia sociale, lotta alle disuguaglianze, distribuzione della ricchezza, governo locale.

Le domande ineludibili

14/09/2019 Cortona, assemblea annuale di Area Dem, nella foto Chiara Braga

Pensiamo che l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sia un grazioso simbolo da apporre ai documenti di programmazione del governo o uno strumento di orientamento e valutazione di tutte le nostre scelte? Crediamo che sia necessario affrontare la crisi climatica, sì ma con calma perché non possiamo mettere in discussione il nostro modello economico, o siamo convinti che non ci sarà nessuna crescita e benessere economico possibile in un pianeta sconvolto da disastri naturali e calamità sempre più imprevedibili e devastanti?

Ciascuna di queste domande, che scontano certamente un eccesso di semplificazione, ha a che fare con la nostra identità.

Sono convinta che il compito che oggi spetta a una forza di sinistra sia quello di agire perché di fronte alla minaccia più grande che investe l’umanità, quella climatica, a pagare non siano le persone più deboli, quelle che hanno meno possibilità economiche e meno disponibilità di conoscenze, e le generazioni future, che rischiano di trovarsi sulle spalle un’eredità così pesante da compromettere ogni opportunità di realizzazione e progresso.
Il congresso che ci serve è quello che ci obbliga a confrontarci, discutere e dire chiaramente cosa pensiamo, anche o soprattutto, su questo tema.

Senza pretendere di avere ricette facili in tasca ma con l’obiettivo di cancellare quell’ambiguità di fondo che continua a renderci “appannati” e scarsamente credibili per le persone.
Un’ultima considerazione: questo tema, forse più di altri, investe anche il dato generazionale e la natura degli attuali gruppi dirigenti.

Non penso affatto che il problema del Pd siano gli “ex” di qualcosa, ho enorme rispetto per le culture politiche che hanno dato vita al Partito democratico e anche una certa invidia per chi ha avuto modo di formarsi dentro quelle culture, ma è un dato di fatto che, salvo rarissime eccezioni, la questione ambientale, nella sua accezione più complessa, non sta nel Dna dei nostri più autorevoli e riconosciuti dirigenti. 

Questo prossimo congresso non può essere una faccenda di nomi e simboli; è sulle questioni ambientali e climatiche che dobbiamo definire un pezzo fondamentale della nostra identità e la credibilità di chi avrà il compito di guidare una comunità politica che sia davvero all’altezza delle sfide del nostro tempo.


Risponde Ferdinando Cotugno: 

Le parole di Chiara Braga sono significative, soprattutto quando sottolinea che l'agenda Draghi, sostenuta dal Pd fino alle elezioni, è stata carente dal punto di vista ambientale, e quando afferma che l'esperienza del ministero della Transizione ecologica, mai davvero messo in discussione dal Pd, è stata «in larga parte un fallimento».

Sarebbe stato utile ascoltare parole così chiare anche prima del voto.

C'è speranza che dal Congresso possa uscire un Pd all'altezza della missione di essere «il più grande partito ambientalista d'Europa».

Fino al voto del 25 settembre, il partito ha però fallito quella missione, ed è questo il sentimento condiviso tra i movimenti per il clima italiani.

Era d'altra parte impossibile costruire una credibilità ambientalista in due mesi, dopo aver viaggiato nella direzione opposta per anni.

A questo punto della storia è al Pd che spetta l'onere della prova di poterlo davvero diventare, e il congresso è già oltre l'ultima chiamata.

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