L’autonomia differenziata è ormai uscita dal cono d’ombra in cui era rimasta per il tempo di quattro governi: Gentiloni (per i pre-accordi con Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna), Conte I, Conte II, e Draghi. Sempre qualificata come priorità, mai ufficializzata per un dibattito nelle sedi istituzionali e presso la pubblica opinione. Dibattito che invece avrebbe dovuto aprirsi sin dal primo giorno.

Calderoli ha presentato nella conferenza delle regioni una bozza di legge di attuazione, che – secondo notizie di stampa – aveva già fatto conoscere alle tre regioni capofila. Nella conferenza sono volati gli stracci, e questo può aver segnato un punto di svolta. La stampa, secondo i diversi orientamenti, ha parlato di retromarcia di Calderoli, di stallo, o di Calderoli che tira diritto. In ogni caso, è esplicito e dichiarato il contrasto di un nascente fronte meridionale, che ha visto le sue punte di diamante in Campania e Puglia, ma ha comunque raccolto perplessità anche dai presidenti di destra, come Basilicata o Calabria. Una così forte turbolenza non si potrà riassorbire senza lasciare tracce. 

Le opposizioni

Un segnale c’era già stato prima della conferenza con la presa di posizione del Pd, che per valutare il progetto Calderoli aveva riunito gli uffici di presidenza dei gruppi parlamentari con Emiliano, vice presidente della conferenza. Fin qui, il Pd aveva mantenuto un fragoroso silenzio, probabilmente dovuto all’imbarazzo dato dalla presenza tra i fan dell’autonomia differenziata di Bonaccini a braccetto con i governatori leghisti Zaia e Fontana. Ma le intemperanze pirotecniche di De Luca in Campania, e le perplessità manifestare da Emiliano in Puglia, pur se da leggere anche in chiave pre-congressuale Pd, rendevano ormai impossibile rimanere nell’ambiguità.

È dunque venuta una presa di posizione netta sulla necessità di adottare una legge-quadro sul procedimento, di stabilire previamente i livelli essenziali di prestazione e i costi standard su sanità, scuola, trasporti, assistenza, e di coinvolgere pienamente il parlamento nel procedimento decisionale. Eguaglianza, solidarietà, coesione sociale e territoriale vanno salvaguardate. E  si respinge con chiarezza l’ipotesi di regionalizzare la scuola.

Un patto privatistico

Con le posizioni già manifestate da altri, il fronte delle opposizioni è a questo punto compattamente contrario sui punti più significativi del progetto Calderoli: trattativa di stampo privatistico tra ministro e regione; estensione a tutte le materie astrattamente consentite; pressoché totale emarginazione del parlamento; risorse finanziarie, umane e organizzative decise in commissione paritetica stato-regione; partenza con la spesa storica; lep e costi standard rinviati a un futuro lontano e incerto. Il tutto per intese potenzialmente irreversibili, suscettibili di modifica o cessazione solo se la regione è d’accordo. Il che apre a scenari preoccupanti di una o più regioni che stipulano con un governo amico e vedono approvato da una maggioranza compiacente un regime di indebito vantaggio, che possono poi difendere anche quando cambino ministri, governi, maggioranze, condizioni economiche e sociali.

Nel vertice di maggioranza il turbo-ministro ha dovuto rallentare. Ha detto che la bozza è ancora da scrivere. Difficile da credere, di fronte a un testo che è una versione in prosa della canzone lombardo-veneta, musica di Zaia e Fontana. È altresì debole il mantra che l’autonomia differenziata è in Costituzione, e dunque va attuata. È vero che c’è. Ma non ogni attuazione dell’autonomia differenziata è coerente con la complessiva architettura costituzionale, e certo non quella che traduce le «forme e condizioni particolari di autonomia» citate nell’articolo 116.3 in un federalismo a richiesta che stravolge l’assetto dei rapporti stato-regione disegnato nell’articolo 117.

È una lettura inaccettabile dell’autonomia quella che dà a ogni regione italiana la possibilità di patteggiare su uno spettro amplissimo di materie un proprio regime speciale, per di più tendenzialmente irreversibile. È lo scenario di un paese arlecchino in cui non c’è unità che tenga. Se fosse questa la lettura, allora sarebbe urgente la modifica degli articoli 116.3 e 117, per ristabilire la preminenza del principio di unità della Repubblica sancito dall’articolo 5 della Costituzione. Ed è esattamente quello che si propone con la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per la modifica degli articoli 116.3 e 117, sulla quale è in corso la raccolta delle firme.

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