L’11 novembre e il 17 novembre abbiamo visto due piazze ma un solo popolo. Nella prima piazza, quella organizzata dal Pd, abbiamo visto il risveglio del popolo di sinistra che nel passato aveva supinamente atteso che maturasse un cambio dell’equilibrio politico di governo. Nella seconda c’è stata la presa di coscienza della funzione importante del sindacato, un recupero di orgoglio: il sindacato in Italia ha una grande tradizione di sindacalismo generale, cioè di sindacalismo politico capace di affrontare le questioni sociali delle categorie in chiave di integrazione, solidarietà e avanzamento complessivo del mondo del lavoro e degli ineguali che cercano eguaglianza, libertà e realizzazione dello stato democratico e repubblicano.

Non è stato casuale, né retorico, il richiamo che Landini ha fatto alle radici del sindacalismo e le ha trovate negli scioperi contro il governo fascista della primavera del 1943. E non è casuale che la piazza della ritrovata vitalità della sinistra colga le sue fonti nella guerra di Resistenza che fu guerra contro il fascismo rigenerato in Salò e consegnato ad un’alleanza subalterna al nazismo. Questa ricerca delle origini ha portato a conclusioni convergenti da parte delle due piazze, e della loro direzione politica: c’è una radicale contrapposizione tra l’Italia democratica e l’Italia che ci governa, che è una minoranza della società italiana.

Quando si conclude che è in pericolo l’assetto democratico, si è già nell’irreversibile contrapposizione fra democrazia e autoritarismo. Da parte di Elly Schlein è arrivato anche un giudizio sulla contrapposizione ormai radicale fra un’opposizione repubblicana, democratica e di massa rispetto a chi ci governa, che ci porta verso un rovesciamento di sistema, presentato come una necessità. L’alternativa non è solo di governo ma è a un regime che già utilizza la gestione del potere per modificare di fatto l’equilibrio costituzionale dei poteri democratici e repubblicani.

L’alternativa repubblicana

Se questa è l’analisi, è chiaro che le manifestazioni non sono state messe in piedi per contrastare solo una legge di bilancio. Furbescamente Giorgia Meloni dice «hanno organizzato lo sciopero generale contro la legge di bilancio quando non l’avevamo ancora pensata». Ma sappiamo bene che la manovra non l’avevano pensata, non l’hanno pensata e non la penseranno, perché il compito che si danno è rovesciare il sistema. Come ha detto Schlein, il loro compito non è «governare», ma «comandare»: stanno sperimentando come si può comandare al di sopra del governo democratico del paese.

Se questa dunque è l’analisi che ha spinto un popolo solo nelle due distinte manifestazioni, vuol dire che ora bisogna integrare le istanze, le iniziative, le azioni di un popolo unico, che non può essere diviso nella lotta per impedire il disegno subdolo di uno stato di fatto in cui viene reso irreversibile un regime autoritario, presentato come una necessità.

Ora manca un solo passaggio, ma decisivo: il passaggio della terza piazza, la piazza per il congiungimento del popolo maggioritario democratico del paese con il popolo democratico europeo. Manca la piazza europea. Perché il pericolo che l’esportazione del virus di un fascismo, noi l’abbiamo già sperimentato e fatto subire all’Europa: il fascismo nacque in Italia, si esportò in Europa, in Germania diventò nazismo, con tutto il corollario delle azioni perverse, e con il suo frutto più velenoso che è l’antisemitismo. Bisogna impedire in Europa la rinascita di tentazioni che in alcuni casi per dimenticanza, in altre per vendetta, le minoranze giustamente emarginate dai processi democratici vogliono mettere in atto.

La piazza europea

Sarà un processo difficile, trovare i legami per costruire un’assemblea del popolo democratico europeo. Cominciamo con tentativi. A questa piazza di popolo comune che ha così lucidamente affrontato il tema della deriva autoritaria del governo, suggerirei che la riunione dei partiti socialisti europei che si terrà in Italia in preparazione delle elezioni, sia sostenuta con una grande manifestazione di sostegno della direzione dell’Unione da parte dei socialisti europei.

Solo la costruzione di una grande forza democratica dell'Europa può affrontare il tema dell’integrazione per la ripresa economica e sociale. Ma anche quello della pace: intesa nel senso pragmatico di spegnimento del fuoco sulla frontiera est in Ucraina e quella del Mediterraneo, con una forte iniziativa europea perché la politica «due popoli due stati» non sia solo assegnata ai contendenti del Medio Oriente ma all’Europa tutta. Fa ben sperare l’iniziativa, per ora flebile, dell’incontro fra Cina ed Usa, perché le due grandi potenze hanno detto che i conflitti non sono regolatori dell’ordine globale, e che il disordine globale non diventerà spontaneamente ordine.

Ognuno faccia la sua parte in casa sua. Il compito che ha oggi la sinistra democratica e quel popolo comune, partecipe e appassionato nelle due piazze, non si spenga. Sappia che ha bruciato i vascelli alle spalle e davanti non ha che la lotta fino alla deposizione democratica, elettorale di questa forza di governo che, come ha detto Landini, è minoranza nel paese. La minoranza deve andare all’opposizione, democraticamente, il più presto possibile.

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