Samuel Huntington aveva ragione, avendo torto. Lo scontro di civiltà esiste e anzi sta diventando sempre più acceso, sempre più divisivo, sempre più polarizzante. Ma lo scontro non riguarda le diverse civiltà diffuse nel mondo, e nemmeno, come sottintendeva il grande politologo, l’Occidente giudaico-cristiano contro l’Islam. No, lo scontro di civiltà è entrato dentro di noi, si ripropone nel cuore dell’Occidente.

Riaffiora, sotto nuove vesti e con nuovi patchwork ideologici, un conflitto lungo più di duecento anni: quello che oppone la ragione all’irrazionalità, le lumières all’oscurità fideistica. La contrapposizione radicale tra queste due visioni del mondo emerge quando l’autorità non è più legittimata dalla tradizione ma incardinata sul consenso dei cittadini, quando il volere assoluto del sovrano è sostituito dal diritto, e quando la soggezione/sudditanza è rimpiazzata dall’autonomia e indipendenza personale.

Ciò che discende da quel momento – l’eguaglianza di fronte alla legge, la democrazia rappresentativa attraverso il voto libero, uguale e segreto, la protezione sociale – ha eretto i pilastri dell’impalcatura politica dei paesi occidentali. Una conquista che rappresenta, a giusto titolo, un vanto di “questa civiltà”, tanto da volere far assurgere quei valori, con una certa dose di hybris, a valori universali.

Per quanto avviati secoli fa, dalla rivoluzione inglese a quella francese, essi hanno trovato piena realizzazione solo dopo la seconda guerra mondiale. In precedenza, gran parte del continente europeo è stata attraversata da quel delirio della mente incarnato dal totalitarismo fascista.

Le macerie e la libertà

L’Italia ha concretizzato per prima in un regime politico il rifiuto della ragione in favore dell’attivismo, il culto del capo al posto della rappresentanza democratica, il nazionalismo aggressivo al posto della cooperazione pacifica, la gerarchia razziale al posto dell’universalismo. Tutto ciò sembrava tramontato definitivamente. Il dopoguerra apriva una stagione inedita, mai vista prima sia in Italia che in Europa. Basti pensare alla vittoria dei laburisti britannici contro il conservatorismo delle élite, benché questo fosse incarnato dal vincitore morale della guerra, Winston Churchill.

La ricostruzione dalle macerie fisiche della seconda guerra mondiale si proiettava in un futuro (inevitabilmente) migliore, anche perché si coniugava con la riconquistata libertà. Così è stato per molti decenni. Ma quando non ci sono più macerie da ricostruire, e quando i basic needs si sono assestati e si spalanca la stagione del post-materialismo, allora il futuro può sì apparire più roseo e attraente per alcuni, ma anche più fosco e inquietante per altri. Per i baby boomers istruiti e affluenti è stato naturale approdare ad una società liquida e narcisistica, sicura di sé, delle sue acquisizioni, e aperta alla conquista di ulteriori spazi di libertà e partecipazione. Per molti di costoro quanto era stato conquistato soddisfaceva in buona misura. Ma per altri no.

La fine della égalité

E infatti siamo entrati nella stagione della “grande regressione”. Quanto era dato per acquisito ritorna in questione. Perché il surplus di libertà guadagnata veniva visto con un ottica rovesciata, come un riduzione delle certezze e delle sicurezze. E a questo si è aggiunto il tramonto dell’era dell’affluenza. La divaricazione tra capitalismo e democrazia iniziata alla fine del secolo scorso si continua ad allargarsi e produce sempre maggiore diseguaglianza.

Un effetto che contraddice le premesse su cui si è fondato il patto sociale democratico del Dopoguerra laddove si prefigurava un futuro più benefico per tutti. La fine della promessa democratica dell’égalité ha riattivato lo scontro di civiltà interno all’Occidente, quello tra progresso e reazione.

L’epicentro Italia

L’Italia, come cent’anni fa, è l’epicentro, di questo scontro. Ritorna il rifiuto dei principi dell’Illuminismo, e le Tesi di Trieste formulate all’ultimo congresso di FdI sono lì a testimoniarlo. Alla regressione sottilmente autoritaria che non investe solo l‘Italia ma si espande sul continente europeo non si può rispondere altro che con una inversione di rotta rispetto alla timidezza, fino alla soggezione, nei confronti del mito del mercato.

La sola rotta possibile per ridurre disuguaglianze e rifondare un patto sociale incentrato sulla giustizia sociale è quella di un riformismo radicale. Le scorrerie degli animal spirits del capitalismo hanno alimentato spaesamento, declassamento e rancore: la miscela emotiva perfetta per lo sviluppo della destra radical-populista. Questa deriva può essere disinnescata da un programma riformatore per una società più giusta.

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