La recente sentenza della Corte Ue sulla intermediazione di diritti d’autore (il caso Jamendo) ha suscitato reazioni di facile (e forse superficiale) entusiasmo. Secondo alcuni, la decisione avrebbe messo fine al monopolio della Siae, organismo di gestione collettiva (Ogc) a base associativa ispirato al principio solidaristico, aprendo a un pienamente libero ingresso delle cosiddette entità di gestione indipendenti (Egi) – ossia enti aventi finalità di mero lucro – come la nota Soundreef. Grazie alla sentenza, in Italia l’intermediazione dei diritti d’autore diventerebbe insomma finalmente libera: sarebbe la rivalsa dei buoni (la giovane Soundreef) contro i presunti cattivi (la vecchia Siae).

Questa lettura è però frettolosa, e trascura le indicazioni date dalla sentenza ed espone a effetti dannosi i nostri autori. Andiamo per gradi.

Primo, la Corte non ha rilevato alcuna violazione, da parte dell’Italia, delle (tre) direttive applicabili al settore della intermediazione dei diritti d’autore. Anzi, è emerso che proprio queste direttive prevedono deroghe al libero mercato (o meglio, al principio della libera circolazione dei servizi in Ue). Lo stato italiano aveva legittimamente scelto di preferire un modello basato sul principio associativo e mutualistico, privilegiando la tutela di tutti gli autori, ricchi e no.

Secondo, il mercato era già uscito dal monopolio, perché nel 2017, d’intesa con la Commissione Ue, l’Italia aveva già aperto l’intermediazione dei diritti d’autore a tutti gli Ogc. Non a caso, è nata Lea, nuovo organismo collegato proprio a Soundreef, che così ha iniziato a operare di fatto anche in Italia.

Terzo, la sentenza, da un lato, ha richiamato il principio generale della libera circolazione dei servizi per dire che uno stato membro non può precludere integralmente l’accesso diretto al mercato della intermediazione alle Egi. Dall’altro lato, però, la Corte ha espressamente riconosciuto all’Italia, come a ogni altro Stato membro, il potere di dettare regole e condizioni sulle modalità di tale accesso, quando ciò sia giustificato dalla finalità di proteggere gli autori.

Ecco perché non bisogna trascurare il significato della sentenza: la Corte non ha autorizzato un mercato senza regole, ma ha esplicitamente demandato agli Stati il compito di regolare il settore, proprio per non avere un sistema squilibrato a solo vantaggio delle Egi e a danno degli Ogc.

Né vanno sottovalutati gli effetti nocivi che una errata applicazione della sentenza potrebbe produrre sugli autori. Senza cioè regole adeguate e tutele, l’avvento delle Egi può portare queste società aventi finalità di lucro a cannibalizzare il mercato, distruggendo il sistema solidaristico e mutualistico oggi assicurato dagli Ogc. Non a caso, lo stesso giudice europeo spiega che un trattamento differenziato – tra Ogc ed Egi – risponda all’intento di proteggere il diritto d’autore in modo coerente e sistematico, dal momento che la direttiva 2014/26 (quella che armonizza le regole da applicarsi alle società di collecting come Siae, Lea, Jamendo e Soundreef) assoggetta le Egi a obblighi meno rigorosi rispetto a quelli degli Ogc per quanto riguarda, in particolare, l’accesso all’attività di gestione dei diritti d’autore e dei diritti connessi, la concessione delle licenze, le modalità di governance, nonché il quadro di sorveglianza cui sono soggette.

Consapevole delle finalità perseguite dallo Stato italiano, la Corte rileva che una scelta meno impattante sul principio della libera prestazione di servizi potrebbe consistere nel subordinare l’attività delle Egi a obblighi normativi specifici, giustificati dalla protezione del diritto d’autore. E una via percorribile appare quella seguita dalla Francia, uno dei paesi più accorti sulla difesa degli autori, dove le Egi sono state sottoposte a numerosi requisiti e condizioni.

In conclusione, invece di immaginare inesistenti scontri tra buoni e cattivi, andrebbe concentrata l’attenzione sui rischi che una errata attuazione della sentenza Jamendo potrebbe causare ai buoni: cioè agli autori.

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