Quando un popolo vota ha sempre ragione, ha commentato Matteo Salvini a proposito delle elezioni in Russia. Non importa quanto coartato o blandito, ingannato o intimidito, il popolo ha espresso la sua volontà sovrana, che com’è noto è la fonte più alta di legittimità. Secondo questa inveterata convinzione, la sovranità popolare ha la virtù incarnata di non avere mai torto.

Verrebbe allora da interrogarsi sulle condizioni che, nei regimi autocratici, trasformano le elezioni in plebisciti, da svolgersi sotto il controllo occhiuto delle forze dell’ordine. Ma dato che il Nostro è ministro e vicepresidente del Consiglio di un regime costituzionale di tutto punto, varrà la pena chiedersi se, quantomeno in democrazia, possa esser vero che il popolo ha sempre ragione.

Popolo e sovranità

Ebbene, la mia risposta è un deciso no – specie se per volontà popolare si vuole sempre e comunque intendere quella che si esprime tramite suffragio elettorale.

Come se il suddetto popolo, corpo mistico del pensiero politico sovranista e non solo, si esprimesse unicamente in quella forma. Ecco: questo non solo è erroneo in termini teorici, ma di fatto depaupera la ben più ampia sovranità che spetta alla cittadinanza.

All’articolo 1, la Costituzione italiana stabilisce che «la sovranità appartiene al popolo». Sembrerebbe asserzione dal significato auto-evidente. Eppure, i lavori dell’Assemblea costituente testimoniano come fosse delicato chiarire il rapporto che sussiste tra popolo e sovranità.

Nelle discussioni del marzo 1947 si alternarono varie proposte di modifica del testo in discussione: la sovranità «emana dal», «risiede nel», «spetta al», «è del». Queste diverse formulazioni non obbediscono certo a pure scelte stilistiche; piuttosto, indicano la problematicità dell’attribuzione della sovranità al popolo.

La sovranità delle urne

Guido Cortese, ad esempio, al netto del riconosciuto pleonasmo, proponeva il seguente emendamento: «Nessuna parte del popolo e nessun individuo può esercitare i diritti di sovranità che spettano al popolo tutto insieme».

L’emendamento fu rigettato, ma il problema sussisteva e sussiste: si tratta ancor oggi di chiarire al meglio in quali modi il popolo eserciti la sua inquestionata sovranità: con quali strumenti, in quali forme, entro quali limiti.

La visione della sovranità popolare si è oggi talmente insterilita che l’equazione più semplice si è tramutata in dogma politico: popolo è sovranità, sovranità è quella che si esercita nelle urne.

Ma c’è di più: l’identificazione tra elezioni e sovranità popolare fa da apripista a una concezione plebiscitaria e carismatica della rappresentanza politica. Il popolo si esprime nelle occasioni previste per dare mandato al proprio o alla propria rappresentante, che, in virtù di tale mandato, si appropria di una sovranità che si vorrebbe intendere come superiore a ogni altro potere, eletto o meno.

E non ci si avvede che questa concezione, di fatto, finisce per svuotare la sovranità del popolo, che esercita la sua numinosa potestà in rare occasioni – benché in Italia pare si voti a ogni piè sospinto.

Il popolo diventa così un’entità fantasmatica, rinserrato nelle tane a svernare, mentre la/il rappresentante prescelta/o fa da sovrano vicario; e si ridesta poi in una nuova primavera solo quando è chiamato a fare segni di matita sulla tradizionalissima scheda elettorale.

Forme e limiti

ANSA

Le discussioni in sede di Assemblea costituente, cui facevo cenno sopra, volevano dissipare proprio tale increscioso equivoco. Si credette allora che fosse sufficiente completare l’articolo 1 come segue: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Perché le forme sono molte, come molti i limiti.

La sovranità del popolo si irradia su tutti gli organi dello stato, in forme dirette e indirette, tramite elezioni o altre modalità di selezione. Sicché, per quanto oggi se ne voglia fare a meno per molte ragioni, la sovranità si esercita attraverso le numerose mediazioni tra i diversi organi dello stato, che hanno la virtù, pur contestatissima, di far emergere tensioni e conflitti all’interno del popolo.

Di queste tensioni e di questi conflitti è esempio emblematico la frizione mai sopita tra politica e magistratura, perché, seppure in forme e modi distinti, ambedue incarnano ed esprimono la sovranità popolare.

Insomma, proprio quando la politica cede a metodi di formazione dell’opinione tutt’altro che trasparenti, e ancor più quando l’astensione sfiora cifre mai esperite in passato, varrà la pena rammentare che le elezioni sono solamente una delle modalità di espressione della sovranità popolare. Probabilmente quella più incline all’errore.

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