L'accanimento contro la decisione del Pd bolognese di candidare Mattia Santori (tra i fondatori delle Sardine) come indipendente nelle proprie liste alle prossime elezioni amministrative è davvero straordinario. E’ anche sproporzionato, perché un seggio in un consiglio comunale non è associabile nè al denaro nè al potere.

Evidentemente, il prurito è sollecitato più dal significato simbolico di questa decisione che dal suo peso politico. Diverse le critiche mosse al Santori che da movimentista critico dell’immobilismo del Pd si candida nella lista del candidato sindaco Matteo Lepore.  

Per alcuni, il salto dalla piazza alle liste dimostrerebbe che le Sardine non furono mai un movimento. I movimenti, sembra di capire, si caratterizzano per la loro radicale indipendenza dai partiti e anche per una vena anti-partitica che li rende diffidenti della politica politicata. Se questo è vero, allora le Sardine non sono mai state un movimento genuino, bensì una cinghia di trasmissione del Pd (“portatori d’acqua” le ha definite Paolo Flores d’Arcais in un’intervista a Domani).

Ci sarebbe da discutere su che cosa siano i movimenti nelle democrazie elettorali e se per tutti valga soltanto questa definizione stretta. Certo è che quello delle Sardine non fu un movimento sociale, ma civile; un movimento ad hoc con l’obiettivo di dare la sveglia agli elettori emiliano-romagnoli portandoli a votare (alle precedenti elezioni regionali l’affluenza era stata del 37 per cento) così da fermate il leghismo.

I movimenti civili sono movimenti di tutto rispetto e molto importanti nelle democrazie elettorali – hanno una caratteristica che Michael Saward ha chiamato “claim representation”.  La funzione di tali movimenti è a termine e specifica; nascono spontanei, senza obiettivi ideologici o una progettualità di medio-termine; nascono per scuotere l’opinione esistente e si consumano una volta raggiunto l’obiettivo; sono movimenti “one-issue”. Altro non furono nè potevano essere le Sardine; e lo hanno dovuto ammettere anche alcuni dei loro leader (lo stesso Santori) quando hanno cercato di imprimervi un’identità politica meno aleatoria.

Populisti?

Questa loro natura occasionalista mette in discussione un’altra critica, ovvero che le Sardine siano o siano state populiste. Questa accusa discende da una confusione di fondo che identifica popolare con populista. Ma il populismo designa una tecnologia politica e retorica per la conquista del potere; al contrario, un movimento popolare civile è una forma di cittadinanza attiva senza obiettivi di potere. 

Ma la critica più virulenta è dettata da altre preoccupazioni, più direttamente politiche, ovvero che Santori sposti il baricentro del Pd a sinistra, più distante dalla corrente liberale, renziana e calendiana. Ed è stato appunto il candidato sindaco di Roma, Carlo Calenda, ad usare le parole più grevi: ha definito Santori un «ragazzotto senza arte né parte» che vuole «sorvegliare la purezza ideologica» (?) del Pd e che meriterebbe «una pedata nelle chiappe».

Questa critica non ha uno stile politico; vuole invece sminuire l’avversario e usa l’offesa e il dileggio, mostrando quanta scarsa decenza ci sia nel linguaggio pubblico e quanta supponenza in chi calca le scene dello spettacolo politico, come se questo si addica solo ad alcuni, a chi in qualche modo sul palco c’è già. Come se nessun altro meriti di far politica o di correre per un seggio.

Una visione che tradisce una certa insopportabilità per la vocazione democratica all’apertura delle funzioni pubbliche a tutti i cittadini che lo vogliano.

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