Cos’hanno in comune Barack Obama, Steve Jobs, Mark Zuckerberg, Sergio Marchionne e Angela Merkel? Prima di rispondere, vi racconto una storiella.

Una donna sta per uscire di casa e deve decidere se prendere l’ombrello. Ha piovuto tutta la mattina, ma adesso ha smesso da un po’. Il cielo è grigio, uniforme, di difficile lettura. Guarda la app del meteo per vedere qual è la probabilità di pioggia nelle prossime ore, e scopre che non è troppo elevata, ma non è neanche nulla.

Poi – senza quasi rendersene conto – valuta dentro di sé quanto è importante per lei non trovarsi sotto la pioggia senza ombrello. Dipende da come è vestita, da cosa sta andando a fare, ma anche dall’essersi per esempio appena fatta la piega ai capelli, o dall’avere il raffreddore. Cose del genere.

Dipende dalla sua personalità: è una che ama prendersi un po’ di rischio? È una che ama correre sotto la pioggia romanticamente alla ricerca di un riparo? È una che odia avere pesi – l’ombrello richiudibile - nello zainetto? È una che detesta essere anche minimamente in disordine? Tutte queste valutazioni avvengono nel giro di pochi istanti. Alla fine, la donna esce con o senza ombrello, a seconda del risultato del suo rapidissimo ragionamento.

Quello che ho appena illustrato è un processo decisionale. Naturalmente nella vita affrontiamo di continuo questi processi, e alcuni sono assai più complicati, ma la natura di una decisione è sempre la stessa, e si compone da due azioni uguali e contrarie: scegliere (uno scenario) e scartare (tutti gli altri).

Il processo decisionale

Le decisioni sono compagne del rischio, perché comportano l’assunzione di un certo livello di azzardo, anche minuscolo: scegliamo uno scenario, ne escludiamo un altro, ma cosa succede se poi salta fuori che era meglio scegliere quello escluso? E così qualsiasi rischio a un certo punto richiede che prendiamo una decisione, se vogliamo avere il controllo sulla nostra vita.

Naturalmente esistono anche casi in cui possiamo non decidere nulla e lasciare che le cose “facciano il loro corso” e ci portino alla deriva. Ma anche questa (non decidere e lasciarsi trascinare) è, in verità, una decisione. Esempio facile: una donna incinta deve decidere se abortire oppure no, se “non decide nulla” chiaramente in realtà prende una decisione.

Il tema della decisione e della scelta è caro al mondo degli affari, e lo studio delle decisioni è centrale in economia: l’economia è la disciplina che si occupa delle risorse scarse, e la scarsità comporta la necessità di scegliere se fare una cosa o l’altra, perché non possiamo fare tutto.

Ma questo tema è più in generale caro al nostro tempo, economia o no. E lo è per due ragioni. La prima è che la nostra cultura ama avere sempre libertà di scelta. Ed è comprensibile, non criticherei la nostra cultura per questo motivo. Chiunque si sia trovato nella situazione di non poter scegliere, di essere obbligato a seguire un sentiero, conoscerà bene la sensazione di oppressione e il desiderio di combattere perché in futuro questa impossibilità di scelta non si verifichi più. Pensate a chi si trovi, per ragioni che considera ingiuste, prigioniero di un sistema, di una nazione ostile e così via.

Ma il tema delle decisioni è caro al nostro tempo anche perché, una volta che abbiamo piena libertà, scopriamo che dover prendere costantemente molte decisioni porta a risultati psicologici avversi. Si chiama “affaticamento decisionale”: il fatto che quando siamo costretti a prendere moltissime decisioni (immaginate una persona al vertice di un’azienda, ma anche un genitore) la qualità delle stesse inizia a diminuire.

I leader semplificano

È per questo che i supermercati mettono le caramelle vicino alla cassa: dopo una lunga sessione di spesa, durante la quale abbiamo fatto molte scelte di acquisto, siamo portati a cedere su qualche stupidaggine. L’affaticamento decisionale porta a compromessi irrazionali. È snervante. Non è un caso che i bambini abbiano bisogno di regole, e dunque di limiti decisionali: l’eccesso di libertà, alla lunga, li confonde e li stufa.

Tornando alla domanda iniziale, cos’hanno in comune Barack Obama, Steve Jobs, Mark Zuckerberg, Sergio Marchionne e Angela Merkel? Per esempio che si vestono o si vestivano sempre più o meno allo stesso modo. Barack Obama una volta spiegò che da presidente evitava di dover scegliere ogni giorno cosa mettersi, e pure cosa mangiare. Di Angela Merkel ricordiamo i blazer sempre uguali nel taglio, cambiava solo il colore. E il dolcevita nero di Steve Jobs, e il maglione di Marchionne, e la maglietta grigia di Zuckerberg. Semplificare, semplificare e conquistare.

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