Nessun sistema politico deve trovarsi mai appeso a un solo uomo. Neanche quando quest’uomo, come Mario Draghi, gode di straordinario prestigio conquistato nell’Unione europea grazie alle sue qualità tecniche e capacità personali. Ha saputo tenere insieme, tradurre, orientare, talvolta fare cambiare le preferenze dei componenti della Banca centrale europea e di non pochi ministri delle Finanze.

Forse, quasi inconsapevolmente, deve avere pensato che tenere insieme e convincere i segretari dei partiti della maggioranza eterogenea che si è a lui affidata non poteva essere una missione impossibile. In effetti, non lo sarebbe (stata), anche grazie al suo apprendimento di alcune modalità di rapportarsi a quei segretari e ai loro ministri (che lo vedono da vicino) se non fosse che ai compiti di governo, aggravati dalla pandemia, si è aggiunto il problema della elezione del presidente della Repubblica.

Il nonno e le istituzioni

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Draghi ha avuto qualche mese per abituarsi all’idea di diventare presidente del Consiglio e soprattutto sapeva fin dall’inizio che avrebbe goduto del sostegno istituzionale, politico e personale del presidente Sergio Mattarella.

La situazione attuale, con chi lo spinge, amoveatur ut promoveatur, alla presidenza della Repubblica, forse per liberarsene, ma soprattutto senza avere la credibilità e la forza politica sufficiente per garantire l’esito, e chi desidera mantenerlo a palazzo Chigi, ma soprattutto per farne un parafulmine, è tanto inusitata quanto foriera di rischi, per lui e per il sistema politico.

Con la dichiarazione di essere-sentirsi «un nonno al servizio delle istituzioni», Draghi ha dato la sua disponibilità aprendo una strada che spetta ai segretari dei partiti decidere se percorrere o no. Di più, Draghi non deve e non può dire.

Una questione di numeri

In qualche modo, alcuni esponenti dei partiti hanno già fatto conoscere le loro preferenze, con chi vuole mantenere Draghi al governo per candidare altri, magari sé stessi, alla presidenza della Repubblica, e chi è persino disposta a eleggere Draghi pur di porre fine alla sua azione di governo e ottenere elezioni anticipate.

Non può essere Draghi a scegliere una opzione piuttosto dell’altra salvo, comprensibilmente, sottolineare che l’azione di governo su pandemia e Pnrr non è da interrompere, ma necessita di essere approfondita.

Le domande allora vanno tutte indirizzate agli uomini e alle donne dei partiti e ai loro parlamentari. Il dibattito non può essere sui numeri, utili a conoscere le chances, ma non necessariamente a individuare il/la candidato/a migliore.

I criteri di scelta

Le ricostruzioni delle precedenti elezioni presidenziali, prive di qualsiasi riflessione sullo stato del sistema politico italiano quando si svolsero, e di qualsiasi valutazione sulle conseguenze di ciascuna specifica elezione, sono tanto inadeguate quanto, persino, fastidiose. Trarremmo tutti vantaggi conoscitivi, oserei aggiungere democratici, se coloro che ci rappresentano – sì lo so, a causa della legge elettorale Rosato, più o meno casualmente –, volessero rendere noti i criteri con i quali intendono scegliere: dalla volontà di stare con il proprio partito al sistema politico che desiderano, dalle capacità del candidato/a agli equilibri politici da mantenere o da cambiare.

Provocatoriamente concludo che Draghi, una volta annunciata la sua indisponibilità a rispondere a domande sul suo futuro, avrebbe potuto chiedere a ciascuno dei giornalisti (che, talvolta, riescono persino a influenzare l’opinione pubblica e i parlamentari!) di esprimersi in materia di presidenza della Repubblica. Fatevi la domanda e dateci la risposta.  

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