Ho letto con stupore misto a sgomento il riaffiorare di posizioni contrarie alla valorizzazione delle province come strumento di rilancio della nostra disastrata amministrazione locale. L’occasione è il progetto di partiti di maggioranza di centrodestra di ridare alle province l’elettività diretta dei propri organi di governo. Di qui l’equazione che si tratti di una manovra di mera occupazione di un potere che sarebbe invece opportuno sopprimere in via definitiva e che questo sia un tema sul quale fare una comune opposizione al governo, in nome dell’efficienza. Occorre invece dire che, al di là dei progetti di singoli partiti, rilanciare le province oggi è una soluzione necessaria, utile e molto economica.

Partiamo dai dati: abbiamo in Italia ben ottomila comuni (1.500 solo in Lombardia e 1.200 in Piemonte), 7.500 dei quali al di sotto dei 15mila abitanti; amministrazioni locali che compiono miracoli e sono un sicuro presidio di democrazia, ma non dispongono di capacità amministrative minimamente adeguate ai loro compiti (un comune di tremila abitanti se va bene ha 18 dipendenti!).

Andrebbero fusi in comuni più grandi o si dovrebbero costituire forme associative “forti” con una vera amministrazione, ma si tratta di un processo lunghissimo.

Le regioni si occupano (spesso male) di sanità e hanno fin qui, per svolgere le altre funzioni loro affidate, un’amministrazione ancora relativamente leggera (con l’eccezione scandalosa delle regioni e province a statuto speciale: la Val d’Aosta ha più dipendenti del Piemonte!).

Una dimensione utile

Le province hanno una dimensione media di 4/500mila abitanti, la più adatta per assicurare l’esercizio efficace di funzioni fondamentali, quali la gestione del ciclo dei rifiuti, la tutela dell’ambiente, i trasporti pubblici locali, la digitalizzazione e la trasparenza di tutto il sistema delle amministrazioni locali, la gestione informatizzata dei contratti pubblici di lavori e servizi pubblici a favore dei comuni, la costruzione, manutenzione e adeguamento sismico ed energetico delle scuole, la manutenzione diffusa del territorio.

Il tentativo della loro soppressione, operato per “risparmiare” sulle spese delle indennità dei componenti delle giunte e dei Consigli (150 milioni di euro all’anno, meno del costo di uno svincolo autostradale!) è stato un atto sciagurato compiuto sotto la pressione di una lettera della Bce nel 2011, con una legge (la legge n. 56 del 2014) che anticipava una riforma Costituzionale non ancora vigente che “semplificava” le istituzioni con il criterio della riduzione al minimo della spesa per il loro funzionamento, poi bocciata dagli elettori.

Una “riforma” che ha solo disastrato questo livello di governo, spostando alcune micro funzioni a livello regionale (incrementando così quella spinta alla crescita della regione-apparato che è il vero elemento che accomuna le regioni che chiedono la tanto discussa autonomia differenziata).

Province casa dei comuni

L’unico elemento positivo da non disperdere è l’idea della provincia “casa dei comuni”, che vuole l’amministrazione capace di mettersi al servizio dei comuni che non ce la fanno (la grandissima parte dei comuni non capoluogo).

La polemica sulla elezione diretta che comporterebbe la rinascita di un ceto politico locale di cui si farebbe a meno è stucchevole, infondata e antidemocratica. Fa parte di un’idea, tipica del liberismo in salsa italiana, che vuole progressivamente prosciugati tutti i luoghi di democrazia locale, con il risultato di aprire la strada al massiccio intervento di soggetti privati nell’erogazione dei servizi pubblici.

Molti giuristi ed economisti convengono sulla rilevanza strategica di potenziare, subito, le amministrazioni provinciali per rendere possibile la progettazione e realizzazione degli interventi finanziati con il Pnrr, che in caso contrario rischiano gravemente ritardi se non vere e proprie cancellazioni (con restituzione delle risorse alla Ue).

Le province ci sono, sono uno dei livelli di governo costitutivi della Repubblica e possono costituire  i nodi forti di una rete di istituzioni di governo locale, che operi al servizio dei cittadini in modo finalmente efficace.

Diamo loro, oggi e in modo chiaro e definitivo, le funzioni e le risorse necessarie per svolgere questo ruolo centrale. Potenziamo la loro capacità di operare al servizio dell’intero sistema amministrativo. La questione dell’elezione diretta può anche essere risolta successivamente, tenuto conto dell’esperienza, lasciando da parte, si spera per sempre, il criterio del costo dei loro organi di governo, del taglio delle spese, mentre nessuno si preoccupa del persistere delle condizioni che oggi alimentano gravissimi sprechi di risorse pubbliche.

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