Piegati come siamo, dopo secoli di critica moderna, sul particolare e sul contingente, ci scordiamo spesso che la geopolitica è una georelazione e poggia su schemi relazionali universali. Difficile dire quale sia l’icona giusta per rappresentare l’ennesimo cambio di retorica putiniano sancito dal discorso dell’altra sera, anzi mattina.

Non più, dunque, una guerra di liberazione. Una guerra, invece, di trincea vecchio stampo, con la Grande Madre Russia intenta a difendere i propri confini dall’imperialismo straniero.

Le parole di Vladimir Putin sono state un ricatto? Una minaccia? Oppure dobbiamo ricorrere all’ormai consumato gioco del pollo con protagonisti Russia e Occidente?

L’unica cosa sicura è che il discorso non ha spostato di un millimetro la linea del contendere rispetto a quanto già stabilito.

È una mossa della disperazione che vuol far passare, attraverso referendum farsa, come territorio russo aree che potrebbero tornare in mano ucraina e, di qui, applicare la dottrina che autorizza l’arma atomica in caso di minaccia all’integrità territoriale.

Quanto si può spingere spalle al muro una nazione dotata di armi atomiche?

D’altro canto, cedere ad un ricatto oggi, significa cedere domani. Cedutagli l’Ucraina, Putin potrebbe mirare alle repubbliche baltiche, minacciare la Polonia (che crede seriamente in questa ipotesi) e destabilizzare il cuore dell’Europa stimolando l’instaurarsi di governi amici. Insomma, fra due macchine che corrono l’una contro l’altra, perde chi si scansa per prima.

La paura di oggi, dunque, è la stessa che abbiamo avuto fin da subito ed anche la strategia occidentale sarà la stessa.

Così come non cambieranno di una virgola i piani ucraini di riconquista dei territori perduti. E come è uguale per noi, è uguale per la Russia. Rompere il dogma per cui chi detiene l’arma atomica non può usarla, avrebbe conseguenze devastanti per la Federazione Russa. Dalla risposta nucleare, che sinceramente non credo arriverebbe in caso di bomba atomica tattica, al totale isolamento per decenni dalla comunità internazionale.

Nemmeno il miglior alleato potrebbe accettare il rischio dell’introduzione di armi nucleari per risolvere le contese internazionali. Men che meno la Cina, che lavora, per proprio vantaggio ovviamente, ad un sistema quanto più possibile ordinato e privo di shock.

Il discorso sembra più che altro rivolto ad uso interno, utilizzando la psicologia da assedio come nuovo collante della comunità russa, oggi costretta persino a rispondere alla chiamata dei primi riservisti. Schema classicamente hobbesiano, che fissa i confini di una comunità fin dove si espande la paura del caos.

Quanto detto fin qui, vuol dire che la minaccia nucleare è inconsistente? No, significa che non è più grave oggi di quanto lo fosse ieri.

Ingaggiare una guerra con uno Stato dotato di atomica, anche nella forma ibrida e indiretta in cui lo stiamo facendo noi occidentali oggi, significa correre il rischio di deflagrazione nucleare.

Nessuno è nella testa di Vladimir Putin o nella catena di comando russa, nessuno sa fin dove si possa spingere. Come diceva Einstein, di due cose siamo sicuri: dell’infinitezza dell’universo e della stupidità umana. E sulla prima abbiamo dei dubbi. 

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