Se un gruppo di persone contesta una scrittrice che sta per presentare il suo libro, e da lì scoppia il caos, l'unica cosa che succede è che il giorno dopo il libro vende più di quanto avrebbe venduto senza il caos. Se la contestazione è stata particolarmente intensa, ed è finita su tutti i giornali, meglio. Le copie vendute saranno ancora di più.

Questo avviene non tanto per tetre ragioni di mercato, ma perché la scrittura beneficia quasi sempre della protesta. E questo è bellissimo. La scrittura, infatti, non è un oggetto fragile. Gli oggetti fragili, come spiegò bene Taleb in Antifragile, sono quelli che si distruggono se ricevono sollecitazioni esterne.

Immaginate una scatola che contiene dei bicchieri di vetro. Ecco, un libro non è un bicchiere di vetro, è più simile ai coriandoli: beneficia della confusione, nel senso che i coriandoli funzionano se sono lanciati a caso, senza che ci curiamo troppo di dove andranno a finire, e sicuramente senza l’obiettivo di dividerli in base al colore.

Un libro beneficia della confusione sia mentre viene realizzato (la creatività si nutre di sussulti), sia quando è pronto per essere letto, apprezzato o persino detestato. La scrittura è antifragile. L’unica cosa di cui la scrittura non beneficia è l’indifferenza. Il silenzio, la calma, e dunque l’oblio.

La libertà degli scrittori

Ma andiamo avanti. Di norma una scrittrice non è una persona di potere, non ha cariche istituzionali, non rappresenta nessuno. Una scrittrice rappresenta solo sé stessa, a meno che non sia una di quelle creature fosche che passano la vita a scrivere “la cosa giusta” per ingraziarsi gli altri. Ma non sono scrittrici, quelle, sono funzionari.

Di solito chi scrive preferisce rinunciare alle investiture (o le accetta solo per periodi limitati), a vantaggio della libertà e a scapito di tante altre cose. Non è una questione necessariamente ideologica (a volte anche). È una questione creativa. E anche questa distanza dalle istituzioni permette alla scrittrice di non essere fragile: di non doversi preoccupare di quello che vuole dire.

Il tema mi sta a cuore, e spiegherò il perché. Per un certo tempo, come alcuni sanno, ho lavorato per una banca d’affari a Londra. Sono una scrittrice, ma nella vita ho fatto l’investment banker, ho questa doppia identità, del resto non sono l’unica scrittrice che ha avuto più di un’identità.

Lavorare dov’ero ha significato non poter fare la scrittrice, non in quegli anni, non pubblicamente, non nel modo in cui lo faccio adesso, cioè dicendo quello che mi pare, quando mi va, senza farmi problemi, infischiandomene di tutto.

Naturalmente scrivevo anche allora, ma di nascosto, oppure usando pseudonimi. La ragione è che certe istituzioni fanno molta attenzione alla reputazione, e non amano avere persone che nel tempo libero, per esempio, scrivono sui giornali quello che gli va. Il motivo per cui i banchieri si vestono e si comportano in modo formale è che in realtà devono tenere a bada una cosa delicatissima e a tratti folle come la fiducia nel sistema finanziario. Meglio che la gente pensi che sono persone a posto, conservatrici, ripetitive, noiose (nota: spesso non lo sono).

La fragilità del potere

Quando ho deciso di scrivere con più libertà, ho deciso di lasciare la banca. Più avanti ho scritto un romanzo che racconta un’ossessione erotica ambientata nel mondo della finanza, usando parallelismi fra l’esuberanza irrazionale dei mercati e i comportamenti emotivi umani. Volevo mostrare alcuni meccanismi, compresa la fissazione per le reputazioni e i tic delle istituzioni.

Tornando al presente, in seguito alla vicenda della ministra Roccella, contestata al Salone del libro, ho twittato qualche commento e subito mi sono ritrovata a dover spiegare che un ministro non è una persona qualsiasi, ma è una persona di potere. Le persone di potere hanno molti onori: prendono decisioni che influenzano le nostre vite, hanno spessissimo un microfono davanti alla bocca.

Ma hanno anche degli oneri, per esempio devono saper accettare la contestazione (non violenta). I politici sono sempre stati fischiati. Quelli non vittimisti sono sempre andati avanti lo stesso, parlando sopra i fischi. Non è facile, certo. Ci vuole carattere. Ma avere molto potere significa anche imparare a gestire l’inevitabile fragilità. (Per inciso, Roccella era comunque in televisione poche ore dopo la contestazione. La censura del potere in realtà non esiste).

Colgo l’occasione per sottolineare invece l’importanza dell’antifragilità per una scrittrice o per uno scrittore. E per ribadire che l’antifragilità, e dunque la scrittura, si coltivano meglio stando lontani dal potere.

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