«Mamma, finalmente so chi sono io, finalmente sono». Così, all’età di 15 anni, Alessandro ha fatto coming out una sera a cena con la madre. Dopo un’infanzia trascorsa da “femmina sportiva” e un’adolescenza complessa, rivela di essere un ragazzo transgender. È l’inizio di tante storie, a far la differenza sono i protagonisti che, se molto giovani, hanno bisogno di genitori consapevoli al loro fianco.

«La transizione insieme a mio figlio l’ho fatta anche io», racconta Anna Maria Fisichella, vice presidente Agedo Milano e vice presidente Agedo nazionale. Senza scomporsi né spaventarsi, ha appreso la notizia che avrebbe sconvolto tante altre famiglie. Ha iniziato a formarsi e a lavorare su di sé, per poi approdare in Agedo, un’associazione di genitori, parenti, amiche e amici di persone lesbiche, gay, bisessuali e trans con l’obiettivo di aiutare i genitori nel percorso di coming out dei figli e delle figlie. Con questa missione Agedo porta avanti le sue recenti battaglie di cui si discuterà in un convegno, sabato 22 giugno, a Milano.

Nata oltre trent’anni fa, Agedo a partire dal 2015-2016 si è trovata ad accogliere un numero sempre maggiore di genitori di giovani transgender e non binari, almeno nella sede di Milano, e a un abbassamento dell’età media.

«Poter dare un nome a come ci si sente dentro ha portato all’emersione tra i giovani di molte situazioni che in passato venivano nascoste con grande sofferenza», commenta la presidente di Agedo Milano, Cinzia Valentini. «Non è corretto infatti parlare di un aumento del numero di ragazze e ragazzi transgender, ma piuttosto di una maggiore facilità per loro a uscire allo scoperto e affermare il diritto di vivere serenamente come tutte le altre persone».

Così è stato per Alessandro. «Il terzo dei miei figli è sempre stato maschio, io l’ho sempre saputo», racconta Anna Maria Fisichella. «Si vestiva da maschio, portava i capelli corti, giocava a calcio e faceva karate. Siccome a casa nostra vige la libertà d’espressione, non l’abbiamo mai costretto a essere diverso da quello che era. Verso i tre anni, quando lo lavavo prima di portarlo all’asilo, mi diceva: mannaggia mamma, neanche stamattina mi è nato il piciullo. Io pensavo fosse un gioco, ma per il resto mi sembrava tranquillo. A volte vedevo le altre mamme storcere il naso, per esempio quando alle feste in maschera Alessandro si vestiva da pirata, ma tutto sommato non ha mai vissuto episodi negativi. Poi crescendo diventava sempre più mascolina, allora io e mio marito abbiamo iniziato a pensare che fosse lesbica. Verso i cinque anni gli ho dovuto dire che il suo corpo sarebbe rimasto quello di una bambina, e lui, con il suo solito ottimismo: “Non importa, sarò una femmina sportiva”. Perché per i bambini non è importante avere gli organi sessuali maschili o femminili, quel che conta è la libertà di esprimersi e che nessuno ti faccia sentire sbagliato perché vuoi un camioncino invece di una Barbie».

Il corpo che cambia

«Quando il suo corpo è iniziato a cambiare Alessandro non si riconosceva più, nello specchio vedeva una ragazzina, anche molto carina, ma quell’immagine non corrispondeva all’idea che lui aveva di sé. Non aveva ancora le parole per esprimere il concetto di ragazzo transgender. Quindi si è spaventato, per un periodo ha pensato di essere pazzo, bipolare e di avere un problema psicologico. Nel frattempo, al mare ha iniziato a portare il pezzo di sopra, anche se sportivo, e sono arrivate le prime pulsioni sessuali. Si è accorto che gli piacevano le femmine, quindi pensava di essere lesbica. Se invece avessimo avuto degli strumenti di conoscenza in più avremmo saputo che nessuna lesbica desidera avere il corpo di un uomo. In generale, era diventato cupo e molto silenzioso, i voti a scuola erano calati».

L’adolescenza è una fase critica soprattutto nel percorso di transizione, perciò Agedo sostiene «l’importanza dei bloccanti della pubertà, un protocollo medico già in uso da anni, riconosciuto dal mondo scientifico come valida tutela contro tentativi di suicidio e autolesionismo da parte di giovani persone transgender che non accettano la trasformazione del loro corpo con l’arrivo della pubertà. Eppure esponenti del mondo politico conservatore combattono una battaglia ideologica per impedire l’uso dei bloccanti, senza considerare che così danneggiano la vita di giovani persone».

«Quando Alessandro ha fatto coming out, il suo corpo si era già sviluppato, ma con il senno di poi glieli avrei fatti prendere, se fosse stato il caso». Il mondo scientifico li approva. Dodici società scientifiche italiane, infatti, si sono espresse a favore della triptorelina, un bloccante transitorio e reversibile della pubertà, ritenuto un farmaco salva-vita, «il cui scopo non è né castrare né modificare orientamento e identità sessuale, ma dare tempo ai giovani transgender di fare scelte ponderate e mature, impedendo stigma sociale, autolesionismi e suicidi».

Con spirito positivo e molta determinazione, Alessandro è riuscito a superare la fase più critica dell’adolescenza senza molti dei traumi che vivono i suoi coetanei. «A 14 anni ha visto un video di un ragazzo transgender su Instagram e un film: la rivelazione. La gioia infinita di capire che non era malato, che non era solo al mondo e che era normale. Quella sera di gennaio in cui Alessandro ha fatto coming out ho visto nei suoi occhi il sollievo di potersi liberare di un macigno ma anche la paura di farmi male. Poi gli ho chiesto “Perché non me ne hai parlato prima? Potevo aiutarti”. E lui: “Mi sembrava troppo anche per te’”. Così sono iniziati i coming out con il resto della famiglia, i parenti in Sicilia e nel quartiere dove viviamo a Milano».

«Alessandro è il nome che ha scelto in onore di Alessandro Magno, il suo mito fin da piccolo. “Quando le mie amiche mi chiamavano ’Alessandro’ mi sembrava che il mio corpo finalmente prendesse forma, da invisibile diventavo un corpo”, mi ha raccontato poi mio figlio».

La scuola

Così è arrivato anche il momento del coming out a scuola. «All’epoca non sapevo esistesse la carriera alias nelle scuole. Alessandro mi disse che aveva bisogno di essere chiamato con il suo nuovo nome e così di firmare le verifiche, che si rivolgessero a lui al maschile, che potesse usare il bagno dei ragazzi. La coordinatrice di classe e il rettore accettarono le sue richieste. Quando siamo andati a fare coming out in classe, i suoi compagni hanno detto: “Che c’è di strano? Dobbiamo solo spostarlo dalla chat delle femmine a quella dei maschi”».

Ma il percorso non è così semplice per tutti. Per questo Agedo si batte per l’introduzione della carriera alias nelle scuole: «Si tratta di un accordo di riservatezza tra la scuola, la giovane persona trans che frequenta la scuola e la sua famiglia, se è minorenne. Con una semplice procedura nel registro elettronico viene inserito il nome scelto dalla persona in transizione al posto del nome anagrafico, evitandole l’imbarazzo di dover continuamente spiegare la propria situazione e subire possibili episodi di bullismo, e prevenendo così un possibile abbandono scolastico».

Attualmente sono solo 364 le scuole che in Italia prevedono nel loro regolamento la carriera Alias.

Oggi Alessandro chiede solo il riconoscimento ufficiale del suo nome, lo attende da tre anni. «In Francia basta avere 16 anni per cambiare il nome, in Italia invece la procedura è lunghissima. Con questa situazione governativa è diventato tutto molto più difficile», ricorda Anna Maria Fisichella. L’Italia è il fanalino di coda nella classifica Ilga Europa, organizzazione non governativa che lotta per l’eguaglianza e il rispetto dei diritti umani delle persone Lgbtqia+: siamo al 34esimo posto su 49, dopo l’Ungheria. Le discriminazioni sul luogo di lavoro in Italia colpiscono una persona lgbtqia+ su quattro, secondo le rilevazioni statistiche di Istat, ed è fortemente osteggiata la possibilità di introdurre una legge contro l’omo-lesbo-bi-transfobia.

L’attuale governo si oppone al riconoscimento delle famiglie arcobaleno, impedendone la trascrizione presso l’anagrafe; per le persone dello stesso genere non è previsto il matrimonio egualitario e nemmeno la possibilità di adottare. La legge per l’affermazione di genere è obsoleta e le liste di attesa nei pochi centri pubblici sono lunghissime; mancano del tutto le tutele per le persone intersessuali.

«L’ultima preoccupante novità è che lo scorso mese i ministeri della Sanità e della Famiglia hanno istituito una commissione composta da 29 membri per scrivere le linee guida sull’affermazione di genere, ma nessun rappresentante delle associazioni transgender è stato incluso».

Nel frattempo, Alessandro, una volta passati gli esami di maturità, potrà godersi la prima estate dopo l’operazione di ricostruzione del torace maschile. «Finalmente mi sento una persona vera, finalmente mi riconosco».

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