Che cataclismi ed emergenze globali siano marcatori di differenze sociali è un fatto noto. Non è vero che chiunque ha le medesime possibilità di salvarsi, ancor meno se la posta in gioco è la fine del pianeta. È questa la distopica – o forse più vicina di quanto si possa immaginare – premessa del nuovo libro di Naomi Alderman, l’autrice del cult Ragazze elettriche.

Alderman, nel romanzo Il futuro (Feltrinelli), indaga ancora le ramificazioni del potere e le disparità, questa volta attraverso la lente di un algoritmo in grado di avvisare con dieci giorni di anticipo, in vantaggio rispetto al resto dell’umanità, un manipolo di persone della fine dei giorni. Una sorta di notifica dell’apocalisse.

Dietro maschere e pseudonimi, tra le pagine ci sono giganti della Silicon Valley, le maggiori Big Tech, forum online di survivalisti, metafore bibliche, note sul machine learning e mini droni dal potere letale. «Scrivo delle strutture sociali in cui siamo immersi. Invece di focalizzarmi sull’individualità – l’individualità è un concetto del capitalismo consumistico – rifletto sui sistemi e sulle ramificazioni del potere».

Nel 2017 un articolo sul New Yorker (Doomsday Prep for the Super-Rich) riuniva le paradossali risposte dei colossi del digitale davanti alla paranoia di un’ipotetica apocalisse. Cosa ha pensato quando l’ha letto?
Ho letto l’articolo qualche anno fa mentre scrivevo il libro. Ho pensato fosse terribile, poi rileggendo ho pensato che fosse un interessante spunto narrativo. Nessuno sa cosa accadrà in futuro ma tutti vogliono sopravvivere. Ho riflettuto a lungo sul perché mi sembrava di gran lunga peggiore che tutto ciò lo pensasse un super ricco rispetto a una persona comune. Se sei una persona paranoica rifugiarti in un bunker può aiutarti a gestire l’ansia ma se sei una persona molto potente e stai guardando il mondo che va a pezzi e invece di essere attivo pensi a te, hai colpe. È come mandare un razzo nello spazio o creare un metaverso che nessuno vuole piuttosto che cercare di prevenire il collasso globale.

C’è una sorta di legge che, come un glitch, un’anomalia, punisce chi è in una posizione di privilegio. Perché cita la storia di Lot?
Ho letto la Bibbia in ebraico fin dalle elementari. Quando ho letto la news dei colossi tech che pensavano di poter sfuggire alla distruzione della civiltà e scappare in una grotta, in un bunker o altrove, ho subito pensato a Lot. Lot è un privilegiato e il suo privilegio deriva dal fatto che è nipote di Abramo. Quando Dio decide che la città di Sodoma verrà distrutta, Lot ha il biglietto vincente per ottenere uno sconto. Si tratta di privilegio, di potere. Scrivo sempre di potere, in un modo o nell’altro. Credo che la gente sappia che la moglie si trasforma in sale, ma la fine di Lot è peggiore di quanto chiunque possa immaginare… Anche nel mio libro le cose non vanno come i colossi del digitale pensano. Ogni previsione viene capovolta.

Il futuro è sempre una proiezione irreale. Crede che in un mondo in cui l’obsolescenza è programmata, siamo dipendenti (oltre che dal doomscrolling) anche dall’attesa?
Sì. Durante le conversazioni che precedono la scrittura del libro mi sono trovata spesso a parlare di dipendenza. Credo che 25, 20 anni fa, i colossi tech ci vendevano ancora oggetti che, ai nostri occhi, apparivano utili. Siamo però diventati dipendenti dal futuro al pari della dipendenza da dispositivi tecnologici. Credo che i colossi tech siano consapevoli che i modelli che stanno utilizzando sono modelli di dipendenza. Non tutto ciò che è online segue queste logiche ma sappiamo bene che i social sono progettati, come lo junk food, per alternare dolce e salato. Si vede qualcosa di sconvolgente e poi qualcosa di piacevole, qualcosa di sconvolgente e qualcosa di piacevole e così ancora e ancora… siamo perennemente in fuga nel mondo di Internet, fuggiamo da una piattaforma all’altra. Lo siamo anche dal futuro. È la grande tragedia dell’umanità.

A proposito di fuga, oltre che scrittrice è co-creatrice del fitness game Zombies, Run!, conosce bene, ha osservato da vicino, l’industria tech.
Anch’io sono rimasta sveglia tutta la notte per lavorare alla mia startup. Sì, ho conosciuto il tipo di persone dell’ambiente: si impegnano, si interessano ai problemi, appaiono progressiste, interessanti. Apparentemente lottano per un mondo migliore. Mi interessa da sempre il rapporto tra tech ed etica.

Scrive spesso di mondi agli sgoccioli e apocalissi. Cos’è per lei la fine?
L’apocalisse è già accaduta. Il cambiamento climatico ne è un esempio. Non solo: l’Olocausto. Credo tutto sia già successo. L’apocalisse è avvenuta per gli aborigeni che sono stati tutti spazzati via dagli inglesi, per i nativi americani. È successo e succederà ancora e ancora…

Nel romanzo Il futuro inserisce anche qualcosa sul machine learning. È interessante. Ormai sappiamo che l’intelligenza artificiale riproduce errori, stereotipi e limiti umani
Siamo sempre soli davanti a noi stessi. Tutto ciò che l’Ai può fare è rielaborare informazioni che noi abbiamo immesso, inclusi gli stereotipi di genere o qualsiasi altro pregiudizio endemico. È come se stessimo cercando di comunicare ma ci trovassimo a gridare davanti a uno specchio. Ci rivolgiamo all’Ai un po’ come fosse un dio. L’intelligenza artificiale è una sorta di contemporaneo oracolo di Delfi, l’oracolo a cui gli antichi greci affidavano i loro desideri e da cui ottenevano in cambio risposte surreali.

Perché analizza da sempre le ramificazioni e le strutture del potere?
La mia prima laurea è in politica, filosofia ed economia a Oxford, molti di quelli che hanno studiato con me sono diventati politici, ho avuto una buona “educazione” al potere. Penso, però, che risponderò a questa domanda da un altro punto di vista. Perché il potere? Vengo da un ambiente religioso in cui le strutture di potere sono misogine. Dove sono cresciuta io non ci sono ancora rabbini ebrei ortodossi donna. I ragazzi andavano a studiare il Talmud e le ragazze avevano lezioni di cucito. A quel punto, da bambina, mi sono chiesta: perché è così? La risposta che mi diedero fu: «Il cervello delle donne non è adatto allo studio del Talmud». La gente mi diceva questo e io certamente sapevo ovviamente fin da piccola che non era vero. Così ho iniziato a chiedermi, molto giovane, qual è il sistema radicato che causa queste ingiustizie? È un dislivello di potere frutto della società patriarcale. Così ho iniziato a scriverne…

Un’ultima domanda: i suoi mondi sono intrisi di conflitti sociali e distopie. C’è stato un periodo in cui le utopie esercitavano su di lei un certo fascino?
Credo che l’utopia stia nella ricerca dell’utopia. Non arriveremo mai a una società perfetta, è impossibile. Ci sarà sempre qualcuno che abbiamo lasciato fuori. Il nostro compito è rimanere vigili, non arrivare a destinazione. È come essere su una tavola da surf e stare costantemente in equilibrio. Questo è ciò che dobbiamo imparare: l’idea di poter sistemare le cose e di non dover mai più provare ansia o paura ci distruggerà.

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