In questo mese di maggio 2024, e più ampiamente nell’arco di questa prima età dell’anno, grande è il fermento alla voce Goliarda Sapienza: incontri, convegni, commemorazioni, libri, articoli, saggi, podcast, per la ricorrenza, proprio oggi 10 maggio, del centenario della sua nascita.

La narrazione della vita di Sapienza da anni va a braccetto con quella del suo grande romanzo, L’arte della gioia, perché è impossibile leggerlo senza chiedersi chi sia l’autrice, con un nome così particolare, e quale vita, quali esperienze, l’abbiano spinta a scrivere un’opera così rivoluzionaria.

Dalla sua nascita, nel 1924 a Catania, è appunto trascorso un secolo, dalla sua morte, avvenuta a Gaeta nel 1996, sono trascorsi 28 anni e ne sono trascorsi 46 dal 1978, anno in cui finì la stesura de L’arte della gioia, e dalla sua pubblicazione in Italia, nel 1998 per Einaudi, sono passati 18 anni: da allora a oggi il passaparola di lettrici e lettori ha portato il romanzo e la sua protagonista Modesta a viaggiare in tutto mondo.

Solo alcuni numeri per sottolineare ancora che Sapienza è una scrittrice riconosciuta come tale dopo la sua morte, una donna che ha passato la metà della sua vita a scrivere ma che in vita ha visto pubblicato ben poco.

La scrittrice ignota

Angelo Pellegrino, marito e curatore di tutta l’opera, nel suo Goliarda, uscito sempre per Einaudi, racconta come durante l’ultimo saluto lui parlasse sì della moglie e della donna ma soprattutto della scrittrice Sapienza, questo davanti agli occhi attoniti degli astanti che si chiedevano di quale scrittrice stesse parlando.

Lui sapeva della mole di scritti da lei riposti dentro una cassapanca in casa, e ne sapeva il valore riconoscendo in lei l’arte della scrittura. Il resto del mondo non ancora, la ricordava come figlia della sindacalista Maria Giudice, che con lei aveva vissuto per molti anni, attrice di teatro e di cinema nei film di Visconti e Maselli, solo per citare alcuni registi, della bizzarra signora che a un certo punto della sua vita si è ritirata dal bel mondo dello spettacolo per vivere di scrittura, della sua vita in povertà fino a un furto e alla breve reclusione a Rebibbia.

Dei suoi libri, i pochi pubblicati e i molti da pubblicare, quasi nessuno si ricordava. Dopo la sua morte, molto dopo, un poco alla volta tutte le sue opere compiute sono state pubblicate e anche altri testi, come i taccuini e lettere, le traduzioni del grande romanzo in molte lingue, molte riedizioni. Ed è da qui che si dovrebbe partire oggi: non solo da una commemorazione dei primi cento anni di Goliarda Sapienza, ma di un avvio dei prossimi cento anni, del futuro della sua opera.

Le altre opere

Vorrei dunque parlare di un sogno, sognare è esprimere un desiderio e cercare di realizzare un desiderio è un impegno, piccolo o grande che sia, ma un impegno, personale e civile. E il mio desiderio è che per i prossimi cento anni si parli partendo da un dato di fatto: Goliarda Sapienza una delle più grandi scrittrici italiane e L’arte della gioia uno dei romanzi fondamentali della letteratura italiana e non solo.

Questo è un dato assodato e che dovrebbe passare come tale alle nuove generazioni e a chi ancora non lo sa. E da questo dato di fatto si inizi a parlare anche di tutte le altre sue opere, che sono molte e, appunto, la gran parte delle quali uscite, come il grande romanzo, postume.

Non è un caso che il 7 maggio sia uscito, sempre per Einaudi, il volume Autobiografia delle contraddizioni che raccoglie cinque testi fondamentali di Sapienza che appartengono al racconto autobiografico: Lettera aperta; Il filo di mezzogiorno; Io, Jean Gabin; L’Università di Rebibbia; Le certezze del dubbio.

I primi due sono quelli dei suoi esordi, prima del grande romanzo, raccontano di una Goliarda bambina e della sua incredibile esistenza; Io, Jean Gabin è sempre Goliarda bambina la protagonista, una bambina personaggia che inizia a identificarsi col mondo lontano ma vicinissimo del cinema francese.

Negli ultimi due è una Goliarda adulta che parla di sé a partire dagli altri, le amiche detenute, il mondo recluso, i corpi reclusi e la libertà da una società giudicante. Stesi in anni diversi, prima e dopo il grande romanzo, fanno parte di un progetto sulla voce autobiografica in cui è la scrittrice stessa, la personaggia, a parlare di sé in una ricostruzione identitaria attraverso la scrittura: pezzi di sé ricuciti con la penna Bic.

Pratica quotidiana

Negli anni che coprono l’uscita di questi libri, dal 1967 alla sua morte, ci sta la storia della società italiana – dalla psicanalisi al femminismo, dal boom economico ai referendum – e ci sta la storia della letteratura italiana, quella rispetto a cui Goliarda Sapienza era sempre avanti. Questi testi, infatti, quando sono usciti, soprattutto i primi due, non avevano modelli in Italia, solo forse Oltralpe e per decenni non sono stati compresi.

Ma lo stesso discorso lo si può fare per il suo grande romanzo, per la poesia – la silloge Ancestrale è stata pubblicata nel 2013 a sessant’anni dalla sua stesura – per gli altri suoi testi in prosa, per il suo teatro. Le sue opere non sono state riconosciute di valore quando lei era in vita, perché?

Non sono state capite perché parlavano di cose per le quali non vi era ancora una terminologia per definirle – pensiamo solo alla definizione di famiglia queer di recente nascita -, perché erano avanti di decenni per stile e contenuti, perché scritte da una donna, perché la donna era Sapienza.

Lei non voleva diventare una scrittrice, ma voleva scrivere: una donna che ha fatto ciò che poteva per esser pubblicata ma che, dopo i dinieghi, ha messo a uno a uno i suoi manoscritti in un baule per riprendere in mano la penna Bic e farla correre su fogli di carta A4 piegati in due, nella sua ferma volontà di non cadere nel tranello di voler essere qualcuno, parafrasando una sua frase. Una scrittrice che ha fatto della pratica quotidiana della scrittura il suo modo di posizionarsi nel mondo e al contempo della scrittura una scelta di libertà quasi assoluta.

Tempo largo 

Il titolo che raccoglie i cinque volumi, Autobiografia delle contraddizioni, compare nei suoi taccuini, Scrittura dell’anima nuda. Taccuini 1976-1992, e “contraddizione” è una parola che usa spesso sia per definirsi e sia per definire i suoi intenti: «(…) questa ambivalenza che mi spinse trent’anni fa a iniziare il ciclo Le certezze del dubbio, incentrato sulla mia persona ma “in progress”, e cioè non letta – come in tutte le biografie – a una specifica età, avanzata o giovanile non importa, invece raccolta man mano ogni decennio e nell’arco di tutta una vita, sempre con l’idea cardine di afferrare più le contraddizioni che le coerenze».

Il ciclo di cui scrive non è mai stato compiuto in vita, solo i primi due libri e poi l’urgenza di seguire la sua Modesta, la personaggia protagonista de L’arte della gioia, ha prevalso. Oggi, a cento anni dalla nascita, il ciclo è stato riunito, ampliato e ristampato, a coprire un secolo di Goliarda e a realizzare il sogno, il desiderio, che il nuovo centenario veda protagoniste anche tutte le sue opere in prosa e in versi.

Il tempo sempre anticipato della sua scrittura, nello stile, nei temi, nella voce, nel canone, dal suo primo al suo ultimo libro, forse non è ancora qui e ora, perché il suo tempo non sta tanto nella lunghezza quanto nella sua larghezza: in tale larghezza ci sta allora tutta la sua arte e con essa la sua arte della gioia. E aspetta solo noi, le care lettrici e i cari lettori.


Autobiografia delle contraddizioni (Einaudi 2024, pp. 712, euro 19) è un libro che raccoglie diversi scritti di Goliarda Sapienza

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