Beppe Fenoglio il 1° marzo avrà cent’anni: quel giorno ad Alba, la città in cui è nato e che non ha mai davvero lasciato, verrà acceso un “segreto cardiopulso”, un battito come di cuore che segnerà l’inizio delle celebrazioni, che si concluderanno a marzo 2023. Fenoglio compie cent’anni ma è un giovane scrittore, oggi più che mai, ed è ciò che rende il suo centenario diverso dai tanti a noi vicini (Primo Levi 2019, Fellini, Rodari, Bocca 2020, Rigoni Stern e Sciascia 2021, Pasolini e Meneghello 2022).

Postumo e incompiuto

Fenoglio è morto nel 1963, a 41 anni ancora da compiere, ucciso da un tumore ai bronchi. È morto largamente incompreso, come è ovvio per un autore che è soprattutto postumo: Una questione privata, l’insieme di testi ambientati nella guerra civile che vennero chiamati Il partigiano Johnny, La paga del sabato, cioè le punte massime del suo lavoro di scrittore, sono tutti usciti dopo la sua morte. Fu condannato dal destino (e forse dalle troppe sigarette) a essere e a rimanere per sempre uno scrittore giovane.

Quando morì, Beppe Fenoglio sapeva di aver trovato una sintesi originale di temi, linguaggio, ambientazione, intreccio con il romanzo breve, o racconto lungo, di Una questione privata. Che arriva all’alba degli anni Sessanta, al termine di un lungo percorso fatto degli esperimenti di narrativa resistenziale che partono dagli Appunti partigiani e giungono alla fase “partigiano Johnny”, via via sempre meno autobiografici, e di tante altre cose, racconti e almeno un tentativo di sceneggiatura cinematografica, tra l’altro pensato con (meglio, per) Giulio Questi, regista, scrittore, poi autore di Se sei vivo spara, con Tomas Milian, che porta nel west i suoi ricordi di partigiano nelle valli bergamasche.

Che accoppiata pazzesca sarebbe stata quella con Fenoglio, che film incredibile avrebbero potuto fare, uno spaghetti-western dentro la guerra sulle Langhe. Probabilmente l’avremmo capito solo oggi.     

Insomma, Fenoglio si rende conto che Una questione privata cambia tutto per lui, tanto che abbandona – o rinvia a tempi lontani – il lavoro sul testo con il partigiano chiamato Johnny e si dà alla storia di Milton.

Probabile che volesse pensarci su, distaccarsi ancora un po’ dalla Resistenza vissuta, anche se Una questione privata rompe con il memorialismo resistenziale in maniera dolce ma netta: la guerra si fa anche per amore, per gelosia, per scoprire se il tuo amico e l’amata che non ti corrisponde si sono davvero messi insieme. Può accadere che si ammazzi senza volerlo, sparando alla schiena. È una storia di ragazzi, e a un certo punto diventa un sogno, o un incubo, me ne sono reso conto solo ora, dopo tante letture e riletture.

Il racconto parte realistico e finisce (finisce?) con una corsa misteriosa, forse in cerchio, forse verso la salvezza, forse verso la morte. Infatti piace molto ai ragazzi, anche perché – mi pare – le scuole finalmente l’hanno sostituito a Il partigiano Johnny come lettura consigliata. A qualcosa, in questo senso, sarà servito anche il film del 2017 dei fratelli Taviani, con Luca Marinelli che fa Milton.

La tomba di Fenoglio ad Alba è diventata, fatte le dovute proporzioni, simile a quella di Jim Morrison a Parigi, un luogo di pellegrinaggio. C’è chi lascia sigarette, chi biglietti, lettere d’amore. Una ragazza ha trovato il numero di Margherita, la figlia di Beppe, l’ha chiamata e le ha chiesto solo: «Alla fine, Milton muore?».

Fenoglio morì prima di concludere Una questione privata, o almeno senza lasciare indicazioni precise sul finale. Oltre che postumo, è uno scrittore incompiuto e dunque modernissimo, contemporaneo.

Lingua nuova

Per il centenario, Einaudi ripubblicherà quasi tutta la sua opera, con introduzioni d’autore: si parte con i racconti dei Ventitré giorni della città di Alba (ne scrive Davide Longo, forse il più fenogliano dei narratori di oggi), Il partigiano Johnny (Gabriele Pedullà), Una questione privata (Nicola Lagioia). Esce anche una versione aggiornata della biografia che ho scritto io (Questioni private). La prima edizione è del 2006, quando Fenoglio era l’autore del Partigiano Johnny. Oggi è quello di Una questione privata, ed è molto meglio così, molto più giusto e rispettoso del suo genio. Bello che il centenario cada proprio ora.

Fenoglio fu provinciale nella vita, per nulla nell’opera. Circola un’interpretazione vittimistica della sua esistenza, l’impiegato-scrittore di Alba maltrattato dai poteri forti editoriali, ma credo di poter affermare che le scelte fondamentali furono sue (con l’eccezione della mancata pubblicazione della Paga del sabato, una decisione di Vittorini): Fenoglio aveva coscienza del suo valore, sapeva di essere nuovo e diverso, si sentiva chiamato a dare voce a una generazione che necessariamente avrebbe cambiato la lingua letteraria, come il paese stesso. Non andò proprio come sperava, ma non ebbe tempo di dare voce al disincanto. Anche per questo, rimane un autore giovane.

Più che della Resistenza, Fenoglio è lo scrittore della Liberazione. Liberazione dall’Italia provinciale e bigotta del fascismo, dall’egemonia dannunziana sulla lingua e la letteratura. È una liberazione letteraria, civile, politica, religiosa, ciascuna di queste sta dentro l’altra. Ma soprattutto linguistica: aveva fatto il liceo classico, ma quando capì che avrebbe dovuto cercare una nuova lingua, con una nuova sintassi, ricorse all’inglese, alla lingua e alla tradizione letteraria protestante.

Quando uscì Primavera di bellezza e gli chiesero di raccontarsi, scrisse che il suo libro «venne concepito e steso in lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori italiani è quindi una mera traduzione».

Finale della storia

Il capitolo che ho aggiunto a Questioni private è l’Epilogo che mancava alla prima edizione. Il finale della storia di Beppe Fenoglio scrittore e partigiano, al quale credo di aver assistito nel 2013, quando sua figlia Margherita ritrovò le armi che gli erano appartenute. Cioè una pistola Colt 1911 A1, che gli americani hanno usato in tutte le guerre del Novecento, e una Carabina M1, che fu inventata per dare un fucile leggero alle truppe alleate nella Seconda guerra mondiale. Come in una capsula del tempo sepolta cinquant’anni prima, ecco riemergere dall’oblio le armi che Fenoglio aveva consegnato a Milton in Una questione privata.

Ho ripercorso la storia di quelle pistole e di quella carabina, all’indietro fino alla data e al luogo in cui sono state fabbricate, poi in avanti, fino al deposito vicino a Pisa da cui erano state messe su un aereo e paracadutate ai partigiani delle Langhe. Sono armi che hanno il sapore degli ultimi mesi di guerra, quelli che Fenoglio ha vissuto da ufficiale di collegamento con le brigate partigiane al di là del Tanaro, il fiume che segna il confine tra la propria piccola patria delle Langhe e il resto del mondo, e con le missioni alleate paracadutate dietro le linee.

Mi sono chiesto: perché Beppe Fenoglio – come molti altri, quasi tutti – non ha restituito le armi alla fine della guerra? Erano ragioni speciali, le sue? Credo di poter rispondere di sì, avevano a che fare con la letteratura più che con la politica, con il nuovo mondo che parlava inglese e che aveva visto arrivare sulle colline. Esprimono, come mi ha detto Philip Cooke, autore del per me fondamentale saggio Fenoglio’s Binoculars, Johnny’s Eyes, «molti partigiani avevano un “attaccamento esistenziale” alle armi che gli erano appartenute. Erano stati gli anni più belli della loro vita, anche quello era un modo per mantenere un legame». Erano il feticcio del ventenne che era stato, dello scrittore che stava diventando.

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