Erano i giorni del carnevale del 2020 quando bambine e bambini si sono tolti le maschere di Ladybag, dei Power Ranger o dell’uomo ragno per imparare invece a indossare quella chirurgica, non per un giorno, ma 365 giorni all’anno. Passato un anno, nel 2021 in piena emergenza sanitaria, tra le tante domande che ci si è posti, c’è stata anche quella se festeggiare o no il carnevale a scuola. Alcune scuole optarono per il sì, altre decisero invece di ignorarlo.

Quest’anno sembra invece che l’unico divieto nelle scuole sia tornato quello di non portare i coriandoli, per la gioia dei collaboratori scolastici. Tuttavia la domanda non è nuova, anche in anni lontani da lockdown e distanziamenti.

Se lo chiedevano infatti già nel 1965 anche don Lorenzo Milani e la sua stretta collaboratrice, Adele Corradi, l’insegnante d’italiano e latino che dal 1963 nelle ore libere si era “trasferita” a Barbiana per aiutarlo in quella scuola, che continua a essere il bersaglio preferito di alcuni che vedono in quell’esperienza l’origine dei mali del sistema scolastico di oggi, così impegnati nel distruggerla che non capiscono che non solo si contraddicono nelle loro stesse argomentazioni, ma fanno anche la pessima figura di rendere evidente di non avere letto le pagine milaniane.

Milani è conosciuto e citato spesso a sproposito (l’elenco è lungo: da Massimo Gramellini a Matteo Salvini) e Lettera a una professoressa del 1967 è certo l’opera più celebre e tradotta, ma tanti altri testi minori meriterebbero di essere riscoperti, come la lezione che tenne in occasione proprio del Carnevale del 1965, fortunatamente registrata e dunque ora accessibile nel Meridiano Mondadori a lui dedicato.

Il testo è il frutto di una discussione avuta con una classe di ragazze della terza media femminile dove Adele Corradi insegnava al mattino, a borgo san Lorenzo, il comune nel Mugello poco distante dalla parrocchia di Milani, sulle pendici del monte Giovi, dove era stato esiliato.

Una lezione sulla responsabilità

Foto Wikipedia

Il motivo della lezione fu il permesso dato dal preside a quelle ragazze di organizzare una festa da ballo nelle aule della sua scuola. Le allieve avrebbero così potuto festeggiare il carnevale incontrando i ragazzi della terza maschile. Milani due anni più tardi avrebbe commentato l’episodio anche nelle pagine di Lettera a una professoressa.

Le ragazze informarono così la loro professoressa della proposta del preside per chiederle se sarebbe stata presente alla festa, come richiesto dalla scuola stessa. La Corradi non solo si rifiutò, perché quel ruolo di mera “sorvegliante” era in contraddizione con quello di insegnante come lei lo intendeva, ma ne parlò con il priore, che, contrario a quell’attività ludica fine a se stessa in ambito scolastico, ebbe l’idea di invitare l’intera classe femminile a salire a Barbiana, un pomeriggio di febbraio, per un confronto di idee.

La questione del ballo offrì dunque a Milani il pretesto per fare una lezione sulla responsabilità, sulla formazione, sull’essere giovani libere e responsabili, non allineate alle mode del momento imposte come distrazioni per creare un “gregge” più facilmente controllabile: «Se fissano a New York che quest’anno ballate l’Aida – dirà – voi ballate l’Aida; se fissano che ballate la messa da morto, voi ballate la messa da morto. Le musiche che hanno scelto a Sanremo indubbiamente vi piaceranno no? Però non sono mica state scelte da te...».

Tocca anche la questione della “disobbedienza”, tanto discussa proprio in quelle settimane assieme ai suoi allievi, con i quali aveva preparato una lettera di risposta a quei cappellani militari che avevano definito vili gli obiettori di coscienza, procurandogli in seguito una denuncia e una condanna.

Cita Leopardi, le provoca per farle reagire: «Se il preside vi permette questa cosa, forse lui vede nel ballo qualcosa di utile; perché una delle due: o è utile o è inutile o è dannoso. Se è inutile è immorale, se è dannosa è immorale e se è utile tocca a qualcuno dimostrarmelo...».

Ai commenti un po’ perplessi delle ragazze, Milani senza troppi giri di parole precisa la sua posizione: «Se vi avanza del tempo siete anormali, perché le persone normali che conosco io sono in disperata ricerca di un po’ di tempo: pigliano un caffè la sera per star svegli un’ora di più, si disperano perché non riescono nemmeno a fare tutto quello che vorrebbero fare, leggere tutto quello che vorrebbero leggere, vedere certi importanti film che sarebbe il caso di vedere».

Cittadini sovrani

Inizia così a introdurre il tema centrale del suo magistero ed esposto chiaramente nella lettera pubblica ai giudici e anche nelle pagine di Lettera a una professoressa, ovvero educare i suoi ragazzi ad essere responsabili delle proprie azioni, ad essere cittadini sovrani.

Torna dunque sull’importanza della scuola popolare, per Milani l’ottavo sacramento, «la pupilla destra del mio occhio destro»: «Avrai davanti responsabilità immense: licenzieranno una tua amica e tu dovrai decidere se scioperi o non scioperi per lei, se la difendi o non la difendi, se sacrificarti per lei o non sacrificarti, se andare in corteo davanti alla prefettura o davanti alla direzione o davanti alla curia, […] se dovrai rompere i vetri, rovesciar le macchine, oppure dovrai stare zitta zitta a chinar la testa e permettere che la tua compagna sia cacciata fuori a pedate dall’officina o dalla fabbrica. Tu dovrai decidere queste cose l’anno prossimo e per ora lo vuoi fare twistando?».

Come educatore di coscienze critiche cerca loro di spiegare che è necessario lavorare per imporsi certe buone abitudini, certe buone pratiche: «La voglia di un po’ di ciccia l’abbiamo tutti; mentre la voglia di studiare, di pensare e di sapere bisogna crearsela. L’avrete tutti, la voglia di un maschiotto fra le braccia, ma la voglia di un bel libro fra le mani non l’avete tutti e quella bisogna imporsela. La voglia di diventare cittadine sovrane che sanno votare e sanno leggere il giornale non l’avete e bisogna imporsela».

Vangelo e Costituzione

(Foto Unsplash)

Milani è diretto, non usa troppi giri di parole: «Per ridurre al minimo il pericolo di sciupare la tua vita in come meno nobili […] e aumentare le probabilità di tenerla a un elevato livello bisogna studiare, pensare, discutere, leggere, agire nel sindacato, scioperare quando è l’ora… dedicarsi completamente al prossimo, dedicarsi a tutti i bambini intorno a casa per vedere di educarli, di capirli».

Il Vangelo e la Costituzione (l’articolo 3) sono la bussola del suo agire, che lo spingono a prendere posizione contro le ingiustizie. In una situazione storica, religiosa e politica ben determinata come quella quella degli anni Cinquanta e Sessanta, queste sue prese di posizione, da sacerdote, non erano scontate.

Posizioni per le quali paga con la propria vita. Ma questo lo sapeva e lo scriveva in una lettera privata con la sua consueta ironia: «Ho già raggiunto il culmine della mia carriera. Ho avuto un alto incarico (500 metri sul mare sul versante più impervio del monte Giovi!) non c’è dunque nessun pericolo che mi diano un incarico ancora più alto perché in diocesi non ce ne sono».

È importante riscoprire questi testi minori milaniani, per le questioni ancora fondamentali che essi pongono ai ragazzi e alle ragazze di oggi. Perché in un momento così importante e delicato, di dibattiti sterili sulla scuola del passato, è alla formazione delle nuove generazioni che bisogna invece pensare.

La scuola (scuola a tempo pieno però, come diceva Milani) può e deve insegnare a non essere indifferenti, perché avvertiva Milani «il sottofondo del fascismo è l’indifferenza politica». E gli insegnanti possono e devono parlare alto, perché «Chi sa volare non deve buttar via le ali per solidarietà coi pedoni, deve piuttosto insegnare a tutti il volo».

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