Alle nove del mattino dell’8 settembre 1981 un razzo con un nastro celeste si levava nel cielo sopra Ulassai, nel territorio dell’Ogliastra in Sardegna. Quello era il segnale che dava avvio all’ultimo atto di realizzazione di un’opera d’arte particolarmente significativa. Si trattava di Legarsi alla montagna, opera-evento di Maria Lai, artista nata a Ulassai nel 1919 e spentasi a Cardedu nel 2013, ma vissuta per molto tempo a Roma.

Chiamata dal sindaco del suo paese natale per progettare un monumento ai caduti, Maria Lai sparigliò le carte in tavola proponendo un’opera relazionale da realizzarsi collettivamente attraverso la partecipazione della comunità e senza l’impiego di soldi pubblici. Dopo un mese e mezzo di confronti e dialogo tra l’artista e gli ulassesi, inizialmente restii, l’intero paese partecipò alla costruzione del lavoro: ogni famiglia legò la propria casa a quella accanto un nastro di tessuto celeste, elemento evocativo di un’antica favola locale. Poi il borgo venne simbolicamente legato col nastro alla montagna che lo sovrasta.

Per superare le ritrosie dei cittadini a legarsi l’uno all’altro fu ideato un alfabeto che palesava le relazioni tra vicini: in caso di rapporti conflittuali il nastro passava diritto; nel caso ci fosse una possibilità di risoluzione del conflitto sul nastro compariva un nodo; nel caso invece di un legame affettivo veniva appeso al nastro un pane tipico delle feste.

A documentazione dell’evento ci sono una serie di immagini scattate da Piero Berengo Gardin, oggi pubblicate in un volume che celebra i quarant’anni dalla realizzazione dell’opera, edito da 5 Continents Edition. Di quel giorno la nipote dell’artista, Maria Sofia Pisu, fondatrice dell’archivio storico Maria Lai, ci racconta: «Ciascuno di noi vagava nelle strade e vedeva nascere questo evento ma non lo percepiva nella sua interezza. Solo lei lo ha visto nella sua interezza. Anche se da sùbito Maria Lai ha affermato che quella era la sua opera più importante non so quanto lei fosse consapevole del valore e dell’eco che avrebbe avuto nel mondo dell’arte».

Relazioni

Legarsi alla montagna, che ha conosciuto una riscoperta soprattutto in anni recenti, apre infatti a una lunghissima serie di riflessioni, dalla questione dell’arte nello spazio pubblico a quella dell’autorialità, fino al fatto che quest’opera è stata anticipatrice di quella che negli anni Novanta venne teorizzata da Nicolas Bourriaud come estetica relazionale, un tipo di arte che ha cioè la capacità di innescare relazioni tra le persone.

Ricollocando questo lavoro all’interno della ricerca artistica di Maria Lai è evidente come nell’elemento del nastro che lega sia possibile rintracciare una metafora del filo che, in questo caso su larga scala, cuce – o per meglio dire ricuce – i rapporti sociali, richiamando quello stesso filo che l’artista utilizzava costantemente nella sua pratica già dagli anni Sessanta.

Proprio in quel decennio, periodo in cui si era ritirata dalla scena artistica interrompendo l’attività espositiva, Maria Lai iniziò a impiegare il telaio e la cucitura nelle proprie opere. Destrutturando l’utensile realizzava composizioni astratte, dominate dalla linea che, attraverso l’ausilio dei titoli, evocano per esempio paesaggi o situazioni. Basti pensare a Oggetto paesaggio oppure Telaio del meriggio, entrambe del 1967). Attraverso i tessuti e il cucito a macchina realizzò anche lenzuola e libri in cui il filo si fa linea calligrafica e imita le forme della scrittura senza riprodurle, lasciando così l’impressione visiva di un testo in pagina che in realtà è illeggibile.

Geografie

Il filo cucito e lineare è elemento dominante anche in quel gruppo di opere che si identificano con le “geografie”, realizzate a partire dagli anni Ottanta e portate avanti fino agli anni Dieci del Duemila. Si tratta di mappe, prevalentemente astrali, in cui spesso su fondo scuro e attraverso la linea bianca cucita, l’artista tracciava disegni che rimandano a ipotetiche composizioni stellari e alle forme geometriche di meridiani e paralleli.

A questo proposito è utile ascoltare le parole della stessa artista che parlando delle sue fiabe cucite, cioè libri che narrano storie attraverso illustrazioni realizzate in tessuto, raccontava: «Avevo una nonna che rammendava tutto e io quando rammendava le lenzuola le dicevo: “Ma queste lenzuola sono scritte”». È evidente come non si possa non pensare al modo in cui la sua esperienza di vita sia confluita nel suo lavoro in modo genuino, dando vita a un linguaggio che non è stato costruito semplicemente attraverso una sovrastruttura intellettualistica.

Maria Lai però non ricorse solo al telaio e all’utilizzo della cucitura nella sua pratica. Nel 1977 tenne a Savona una personale dal titolo I Pani di Maria Lai, nella quale vennero esposte le sue sculture di pane. Attraverso la scelta di questo materiale l’artista andò ben oltre l’insegnamento ricevuto negli anni della formazione accademica a Venezia tra il 1943 e il 1946 da Arturo Martini, coniugando l’innovazione del linguaggio scultoreo con la tradizione legata alla propria identità culturale.

Sardegna

La panificazione e la tessitura sono entrambe attività profondamente legate alla Sardegna, sua terra d’origine, dalla quale più volte si allontanò per dedicarsi alla pratica artistica ma anche per osservarla con distacco. Tessere e fare il pane inoltre sono azioni tradizionalmente – ma non tipicamente – femminili e il fatto di averle estrapolate dal contesto domestico per farle diventare parte della propria pratica artistica fa pensare anche a un valore politico rimasto sotteso.

Non è invece rimasto sottotraccia l’impegno profuso da Maria Lai per il proprio territorio che ha fatto di Ulassai un esempio a cui guardare in quanto luogo in cui l’arte e la cultura sono disseminate per le strade. Dopo l’opera-evento del 1981, infatti, l’artista tornò spesso a intervenire per le piazze e per le vie del paese con installazioni permanenti che hanno dato vita a un museo a cielo aperto.

Tra queste ci sono per esempio Il volo del gioco dell’oca del 2003, ispirata al tradizionale gioco e installata sulla facciata della scuola materna e nella pavimentazione della piazza antistante, oppure la realizzazione di uno dei suoi telai sul soffitto del lavatoio restaurato dal comune. O ancora gli interventi sui muri di contenimento per le frane dove, dal 1992, l’artista incise disegni di “capre cucite” oppure realizzò rilievi legati a celebrazioni tradizionali, come nel caso di La strada del rito. Al paese di Ulassai inoltre Maria Lai ha donato circa un centinaio di opere che oggi sono conservate all’interno della Fondazione stazione dell’arte, gestita del Comune. Ulassai è così diventato un caso di studio per quanto riguarda l’attuale discussione in corso nel nostro paese rispetto alla relazione tra arte e aree interne italiane, un esempio che ha molto da dire sul piano delle politiche culturali territoriali.

La ricerca

Spesso è solo con la distanza temporale che le opere e le ricerche degli artisti possono essere comprese ed è davvero possibile misurarne la portata culturale in relazione al contesto in cui sono nate.

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un rinnovato interesse per l’opera di Maria Lai: nel 2017 il suo lavoro è stato infatti esposto nella Documenta14 svoltasi tra Kassel e Atene e nel 2019, in occasione del centenario della nascita, all’artista è stata dedicata una grande retrospettiva al MAXXI di Roma. A cinquant’anni dalla realizzazione di Legarsi alla montagna, vale quindi la pena di continuare a interrogarsi e riflettere sull’importanza di questo lavoro che potremmo leggere anche come una grande summa dei tanti e diversi aspetti che la ricerca di questa artista racchiude in sé.

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