A Santa Rosa, circa 50 miglia a nord di San Francisco, come un tempio colorato e pacifico sorge il museo dedicato all’arte di Charles Schulz, il papà di Snoopy e Charlie Brown. Nella hall d’ingresso, stampata su una placchetta di cristallo con la foto del maestro, c’è una sua citazione illuminante: «Un cartoonist è qualcuno che disegna la stessa cosa giorno dopo giorno senza mai ripetersi».

Schulz con un divertente paradosso verbale mette a fuoco perfettamente le due coordinate che definiscono le strip a fumetti: la serialità della forma, gabbia grafica dai confini rigidi, e il continuo rinnovarsi dei contenuti.

Strip

Ho messo questa citazione in epigrafe al pannello introduttivo della mostra che ho curato con il centro fumetto Andrea Pazienza per il Museo Diotti di Casalmaggiore, in provincia di Cremona, Strip! La grande avventura del fumetto americano, visitabile fino al 9 gennaio 2022.

L’ho scelta perché la prima riflessione che mi ha suscitato la rassegna di un secolo di fumetto a strisce, per selezionare il percorso, è che questi due elementi, codificati a fine Ottocento, sono di una modernità assoluta, in senso proprio: non solo hanno generato il fumetto come nuova arte narrativa e visuale, ma hanno anche mantenuto freschezza e potenzialità e stimoli creativi originali per tutto il ventesimo secolo, approdando con versatilità ai nostri giorni e ai media digitali.

È interessante che la “strip”, cioè una forma, sia il principale comune denominatore delle opere, rispetto a una sempre maggiore proposta di mostre tematiche imperniate sui contenuti. Perché proprio il formato, la cellula narrativa, o con termine tecnico il format, è l’invenzione geniale, il motore che ha avviato e fatto viaggiare i fumetti verso il futuro e oltre.

Sui giornali

Dalla vignetta singola, il cartoon, alle prime sequenze in striscia (strutturate sui moduli editoriali che organizzavano la pagina), fino all’articolazione in giornaliere e domenicali, compare sui quotidiani americani, in anni difficili di tensioni sociali e drammatici conflitti, una forma distensiva di lettura grafica, un intermezzo di alleggerimento, la necessità di un sorriso.

Il fumetto nasce sui giornali “dei grandi”, ma viene sbirciato a casa anche dai bimbi, fino a occupare un intero inserto domenicale per tutta la famiglia. Gli editori dell’epoca, per intenderci Joseph Pulitzer o William Randolph Hearst (che ispirò il protagonista di Quarto Potere di Orson Welles) se ne occuparono personalmente, intuendo con acume la fertilità e il possibile sviluppo editoriale di successo dei fumetti.

Successi alterni

Per quanto ancora oggi scegliere di fare fumetti per professione ci possa sembrare coraggioso e complicato, furono in tantissimi a provarci nei primi venticinque anni (1895-1919), un’epoca che Alfredo Castelli, il fumettista che ha dato vita a Martin Mystère, ha definito felicemente “L’età dell’entusiasmo”. Perché sia gli aspiranti autori sia gli editori si rendono conto che sta nascendo un’industria, si può realizzare un ennesimo sogno americano.

La mostra di Casalmaggiore si apre con due autori, uno che ce l’ha fatta e uno che invece no, proprio in rappresentanza di questa prima fase di definizione e assestamento.

Winsor McCay è il padre nobile del fumetto, il genio che ancora oggi è guardato con stupore e ammirazione, il maestro eterno che non smette mai di dare lezioni di stile e di creatività. Due sue tavole del 1905 (A Pilgrim’s Progress by Mister Bunion e Dream of the Rarebit Fiend) danno inizio al viaggio cronologico che risale il Novecento attraverso gli originali dei grandi autori.

Ma accanto a McCay è esposta, per la prima volta in assoluto, una delle quattro tavole conosciute di Carl B. Williams, che lavorò al Cincinnati Enquirer e pubblicò una serie di strip dal settembre 1908 al gennaio 1909. Williams si ispirava a McCay (che era stato art director dello stesso giornale pochi anni prima), ma non ebbe successo coi fumetti e passò all’illustrazione.

Un’urgenza di trasgressione

Tanti gli artisti, tanti i personaggi e tante le storie. George Herriman (al quale il prestigioso Museo Reina Sofìa di Madrid, che custodisce Guernica di Picasso, dedicò una personale nel 2017) è presente con una giornaliera e una domenicale del suo celebre Krazy Kat del 1918, ma anche una Baron Bean.

Tutta la sua poesia e il suo genio esprimono già un’urgenza precoce alla trasgressione di regole appena codificate, come le vignette landscape (orizzontali) senza cornice, numerate da uno a nove in lettere, o il gatto Krazy che rivolge una domanda a qualcuno fuori dalla pagina del giornale, abbattendo qualsiasi confine di senso.

La mostra espone una cinquantina di tavole originali ed esplora attraverso i numerosi personaggi (protagonisti anche dell’allestimento) tutti i generi narrativi delle strip: comico, realistico, western, avventuroso, satirico, fantascientifico, poliziesco.

Il sud

Dick Tracy di Chester Gould è stato un grande successo, fino a conquistare il cinema e anche Andy Warhol. Nel 1931, (la striscia esce i primi di ottobre, pochi giorni prima che Al Capone fosse incarcerato) Gould pubblica sul Chicago Tribune le avventure di un poliziotto incorruttibile e spietato con i criminali. Eroe senza ombre, freddo e spigoloso, avversario di uomini senza scrupoli e donne fatali.

Accanto a Dick Tracy è esposta una celebre parodia che ne fece Al Capp, star dei fumetti come Gould e creatore di Li’l Abner: una striscia satirica ambientata nel sud rurale degli Stati Uniti, molto amata anche in Italia, che gioca con i luoghi comuni e gli stereotipi e sperimenta invenzioni di grande impatto. Tra queste, metalinguisticamente, la strip a fumetti che Li’l Abner legge sul quotidiano, una gustosissima parodia di Dick Tracy che si intitola Fearless Fosdick.

Shmoo

Ancora più sorprendente un’altra invenzione di Al Capp, visibile a Casalmaggiore in una rara domenicale del 1951: sono gli “Shmoo”, animaletti candidi e irresistibili, che non consumano e si riproducono esponenzialmente. La loro carne può assumere qualsiasi sapore e la loro pelle è un ottimo cuoio.

Per questo sono una preziosa risorsa che scatena disordini e avidità. Ma soprattutto rappresentano una formidabile allegoria, in anni di boom, dei rischi che corre il sistema economico e produttivo.

All’epoca generarono un clamoroso merchandising, ma anche un acceso dibattito. Come ricorda l’editore Denis Kitchen: «Sia la sinistra sia la destra hanno attaccato lo Shmoo: i comunisti pensavano che si stesse prendendo gioco del comunismo e del marxismo, l’ala destra pensava che si stesse prendendo gioco del capitalismo e del sistema americano».

Alla fine, dichiarati una minaccia, vennero massacrati tutti, perché ritenuti “cattivi per gli affari”.

In Italia

C’è anche un italiano tra gli autori americani degli anni Trenta, e non uno qualunque. Il pugile Primo Carnera, prima del titolo mondiale, disegnò una trentina di strip con sé stesso come personaggio! Con un tratto marcato e una grande semplicità grafica la sua striscia è un episodio di tenerezza in una carriera da “montagna che cammina”.

L’Italia è stata tra i primi paesi importatori di strip a fumetti e nel dicembre del 1908 sulla prima pagina del Corriere dei Piccoli campeggiava una domenicale rimontata di Buster Brown di Outcault.

Al “Corrierino” si sono aggiunte altre testate e dal 1965 la rivista Linus fondata da Giovanni Gandini e Umberto Eco che pubblica ininterrottamente il meglio delle strip.

Tanti in mostra i personaggi riconoscibili e ormai parte della cultura popolare: Popeye (il nostro Braccio di Ferro), Katzenjammer Kids (da noi Bibì e Bibò), Dagwood Bumstead (Blondie e Dagoberto), Dick Tracy, Nancy (Arturo e Zoe), Tim Tyler’s Luck (Cino e Franco), Li’l Abner, Animal Crackers, B.C., Pogo, Tarzan e ovviamente Mickey Mouse (Topolino, in una striscia di Floyd Gottfredson, 1936) e Donald Duck (Paperino, di Al Taliaferro), ma anche i supereroi (Spider-Man, strip del 1979 di Stan Lee e John Romita).

La mostra si chiude con una strip dei Peanuts di Charles Schulz, l’autore che ha saputo forse più di tutti prestar fede alla propria definizione di cartoonist. La sua grande opera d’arte è ormai patrimonio dell’immaginario collettivo, i suoi personaggi icone simboliche senza tempo. E per questo probabilmente è il più amato e per questo probabilmente è il più grande.

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