Tra le nuove emozioni che occupano la testa di Riley, l’adolescente protagonista di Inside Out 2, ci sono l’ansia, l’ennui, l’imbarazzo, l’invidia, tutti sentimenti che si manifestano con prepotenza durante la pubertà. Ogni tanto però, dalla porticina del retro fa capolino la nostalgia. L’allegoria con cui si presenta è quella di una vecchietta con gli occhiali poggiati sul naso, lo scialle di pizzo sulle spalle e una tazza di tè tra le mani.

Non sono certo qui a dare lezioni di fantasia ai maestri della Pixar, ma se fossi stata io a decidere come rappresentare questa emozione, che nel caso della cabina di controllo del mio cervello ha un ruolo dirigenziale, l’avrei rappresentata con un bambino che mangia un gelato confezionato che non producono più.

Dopo quasi venti estati, chi più chi meno, trascorse con lo schema di alternanza scuola-vacanze, è difficile resettare il sistema operativo della nostra testa e renderci conto del fatto che il mondo, fatta qualche eccezione, non gira così. Forse è per questo che il gelato si incastona perfettamente nei ricordi come totem dell’infanzia: è il simbolo della spensieratezza, del disimpegno, è l’equivalente duraturo e totalizzante della merendina alla ricreazione in una ricreazione che dura novanta giorni. E cos’è la vita adulta se non una perenne ricerca di una pausa dal dovere.

«S’annamo a pija’ n’gelato», recita il tormentone della serie di Zerocalcare Strappare lungo i bordi, «Ci andiamo a prendere un gelatino?» dice Nanni Moretti, storico cultore del dolce, gelati compresi, in Il Sol dell’Avvenire. Prendersi un gelato è un gesto che contiene in sé una stratificazione di senso, anche da grandi, quando la scuola è finita da un pezzo: è un intervallo programmato, una scusa per passeggiare, è un simbolo di appartenenza.

Provate a chiedere ai romani dove fanno il miglior gelato al pistacchio della capitale e ci saranno almeno quindici risposte diverse, dai Gracchi a Prati, da Giolitti a Testaccio, da Fassi all’Esquilino.

Ma i tempi cambiano e così i gelati si evolvono, adattandosi a mutazioni socio-economiche, passaggi di governi e rotazioni di trend, mode alimentari che ci lasciano orfani di gusti-simulacro del benessere anni Ottanta. Che fine ha fatto la zuppa inglese? E perché ora tutti hanno il caramello salato?

A volte ritornano 

Nel 2014, Algida riporta in commercio il gelato anni Novanta Winner Taco. A spingere il colosso del ghiaccio in questa scelta di revival sono due ventenni, Daniele Tinti, oggi stand up comedian e host del podcast Tintoria e Alessandro Cino Zolfanelli, scultore e regista, fautori di uno straordinario caso di democrazia diretta che piegò la Unilever alla volontà dei suoi consumatori.

Insieme fondano la pagina Facebook Ridateci il Winner Taco che presto trova un enorme seguito e consenso tra i millennial nostalgici di quel particolare agglomerato di panna, caramello e cialda a forma di, appunto, taco. Dopo una lunga battaglia social, l’oggetto del desiderio torna in commercio ma qualcosa è cambiato. Le striature del caramello hanno una direzione diversa da quella originale, il sapore è meno intenso, il prezzo, sopra ogni cosa, è salito in modo vertiginoso.

Come ogni storia sulla resurrezione ci insegna, l’anima che ritorna sulla terra perde qualcosa nel suo passaggio nell'aldilà, e così è stato anche per il Winner Taco. Ma da questa parabola di nostalgia e delusione, il quesito sorge spontaneo: siamo noi a essere cambiati tra gli anni Novanta e i Duemila, o è la produzione di gelati industriali che è diversa?

La risposta, come spesso accade, è nelle domande. Nel 2001, un Cornetto Algida costava novanta centesimi, nel 2024 costa circa due euro e cinquanta. I gelati confezionati di oggi sono molto più cari, pesano di meno e hanno un sapore diverso: se negli anni Novanta un Freddolone all’amarena lasciava per ore la bocca color porpora, oggi il gusto chimico di quel prodotto novecentesco è quasi impercettibile.

Non è solo il potere d’acquisto ad aver subito un duro colpo, ma anche la dolce ignoranza che ci lasciava assaporare i prodotti dell’industria alimentare senza farci troppe domande sull’olio di palma, i coloranti e tutti quegli ingredienti che compongono il foglietto illustrativo del nostro MaxiBon senza che qualcuno capisca davvero a cosa corrispondano in termini di salute. Siamo diventati icecream-conscious e abbiamo virato sul biologico e sull’artigianale, è iniziata la Grom-era dei gelati, e così si è affievolita anche la spensieratezza consumista del secolo breve.

Politica su stecco

ANSA

Che il gelato sia uno strumento politico, del resto, lo sapeva anche Silvio Berlusconi, quando si premurò di dilettare l’ospite George W. Bush con un cono tricolore, o quando da giovane prestò il suo viso per lo spot della Coppa dei Campioni. Matteo Renzi poi, ne ha fatto una protesta internazionale. Mentre nel 2014 il Winner Taco tornava nei frigo dei bar, per poi sparire di nuovo pochi anni dopo, l’ex presidente del Consiglio metteva in scena una manifestazione contro la copertina dell’Economist che lo ritraeva con un gelato in mano.

Di tutta risposta, Renzi affitta un carretto di Grom e distribuisce coppette al bergamotto agli avventori di Palazzo Chigi, non solo rottamatore ma anche gelataio senza conservanti. Che poi, se volessimo fare uno schema gaberiano, o un political compass del gelato, è chiaro che Grom è tutto spostato sulle assi del centrismo moderato. Il Cart d’Or, con la sua sovrabbondanza opulenta poteva essere la vaschetta di Forza Italia negli anni Zero, la Viennetta è il dolce delle larghe intese, va bene sia per le cene borghesi di sinistra che per quelle borghesi di destra, da tirare fuori e impiattare su un vassoio d’argento i primi o in uno di terracotta i secondi, come comanda la pubblicità.

Il Cucciolone? Potrebbe essere il gelato del Movimento 5 Stelle, guidato da uno sketch comico e con al suo interno tutte le gradazioni di gusti possibili, per gli indecisi. Per il Pd uno stecco Valsoia, per Fratelli d’Italia un autarchico barattolino Sammontana. Haagen Dazs, che un tempo era reperibile solo nelle basi di soft power americano, i Blockbuster, ora si trova anche al supermercato alla modica cifra di sette euro per un barattolo da quattrocento grammi. È il gelato di Azione, massima spesa, minima resa.

Cosa ci manca

«Not now nostalgia, you’ll be back in ten years», dicono le emozioni accompagnando dolcemente la vecchietta che prova a insidiarsi tra i pensieri di un’adolescente ancora troppo giovane per provarla. Non so dire l’esatto momento in cui ciascuno di noi lascia spazio a questo sentimento, sta di fatto che a un certo punto arriva, ed è «delicate but potent», come diceva Don Draper in Mad Men.

Se però la nostalgia è la mancanza di un luogo, letterale o metaforico che sia, è inevitabile che anche gli elementi che lo hanno composto facciano parte di questa sensazione. E il gelato, propulsore di ricordi, fomentatore di rivolte e strumento di propaganda, è un pezzo grosso di quel posto lontano che ci manca.

© Riproduzione riservata