Una telefonata, che poi diventano due, dieci, venti al giorno. Messaggi compulsivi che continuano anche se non ottengono risposta. Insulti, minacce di morte, appostamenti davanti al luogo di lavoro, fuori casa, nei casi peggiori dentro. Spesso questi atteggiamenti abusanti non sono isolati, ma si manifestano insieme ad altri tipi di violenze, in particolare fisiche e psicologiche.

È lo stalking, un comportamento persecutorio in cui lo stalker impone alla vittima attenzioni ossessive e non gradite, che non si fermano davanti ai no e che compaiono in particolare quando si decide di porre fine a una relazione. In Italia è riconosciuto come reato (per «atti persecutori») dal 2009 ed è identificato come uno dei reati spia per i femminicidi.

«Ogni giorno mi aspettavo di ricevere mille telefonate e di essere seguita. Non sapere quando me lo sarei ritrovato davanti, era terrificante. Era difficile capire come sarebbe andata o se sarebbe finita. Avevo paura di morire».

A parlare è una donna vittima di stalking, Charmeka, nella nuova docuserie firmata Netflix I am a stalker, in cui condannati e vittime condividono – a volte dietro anonimato – i racconti delle violenze fatte o vissute. Ma gli stalker non sono persone con disturbi mentali, non tutte hanno alle spalle vissuti traumatici o passati violenti e non si mostrano sempre fin da subito come possessive e controllanti.

Questo aspetto nella serie emerge grazie alle testimonianze dirette dei protagonisti, dei legali e delle forze dell’ordine: nella maggior parte dei casi di stalking gli abusanti sono ex mariti, ex colleghi, amici, persone con cui la vittima aveva un rapporto che, non accettando un rifiuto o un allontanamento, diventano totalizzanti e possessivi.

Anche gli uomini possono essere vittime

Nonostante le vittime siano prevalentemente donne, esiste una percentuale non indifferente di uomini che ha subìto o subisce atti persecutori. Secondo i dati dell’ente privato Eurispes contenuti nel Rapporto Italia 2023, nel 26 per cento dei casi identificati lo scorso anno le vittime erano uomini.

Il numero è stabile rispetto ai due anni precedenti (nel 2021 le donne vittime erano state il 74 per cento contro il 26 per cento di uomini e, nel 2020, il 73 per cento donne e il 27 per cento uomini). Secondo i numeri riportati nella docuserie, negli Stati Uniti la percentuale è leggermente superiore, arrivando a sfiorare l’80 per cento di vittime donne.

Ma lo stalking non è un fenomeno recente. Secondo i dati Istat, già nel 2006, e quindi prima della legge sullo stalking del 2009, si stimavano più di «due milioni di donne vittime di una qualche forma di persecuzione da parte di un ex partner».

L’indagine più recente e approfondita sul tema è stata pubblicata nel 2016 ed esamina la situazione di ormai dieci anni fa. Nei casi in cui l’abusante non sia un ex compagno, le vittime hanno subìto stalking da conoscenti (4,2 per cento dei casi), sconosciuti (3,8 per cento), amici o compagni di scuola (1,3 per cento) e colleghi (1,1 per cento).

Le denunce inascoltate

Non basta una segnalazione alla polizia per fermare lo stalker e uno degli ultimi femminicidi del 2023, quello di Vanessa Ballan, la ventisettenne incinta uccisa dall’ex compagno pochi giorni prima di Natale, è solo uno dei tanti esempi. Aveva denunciato il ragazzo con cui aveva avuto una relazione per stalking prima di essere accoltellata a morte.

In Italia, nei primi nove mesi dello scorso anno, sono stati 12.491 i casi di atti persecutori rilevati (dati del rapporto Il pregiudizio e la violenza contro le donne del Dipartimento della pubblica sicurezza). Tra coloro che nel 2022 si sono rivolte ai centri antiviolenza di D.i.Re. (Donne in rete contro la violenza), il 16,1 per cento ha denunciato episodi di stalking, un dato di un punto inferiore rispetto a quelli di violenza sessuale. Negli Stati Uniti ogni anno si contano più di tre milioni di casi di stalking, ma meno del 15 per cento viene perseguito legalmente. E solo il 7 per cento degli stalker finisce in custodia cautelare.

Tante sono anche le difficoltà in tribunale. «Ho proposto un’altra accusa: per furto aggravato e non per stalking – dice un’avvocata in un episodio – perché in alcuni stati la pena per lo stalking è meno severa». In Texas, ad esempio, lo stalking di terzo grado è punito con una pena massima di dieci anni. Le condanne per rapina aggravata, invece, prevedono una pena massima di 99 anni.

Negli otto episodi dalla serie emerge uno spaccato allarmante ma molto realistico della situazione giudiziaria negli Stati Uniti. E quella italiana non è tanto differente: servono numerose denunce prima di essere ascoltate.

E Mariangela Zanni, consigliera nazionale di D.i.Re., lo conferma: «A fronte di tante denunce abbiamo un numero di archiviazione molto alto. Questo fatto denota una difficoltà nel saper leggere in profondità il fenomeno, la giustizia non sa valutare correttamente il rischio. È necessario tenere in considerazione tutti gli elementi, interpretandoli nel contesto del fenomeno della violenza maschile sulle donne, che deve essere conosciuto nella sua complessità».

Non bloccando fin da subito la possibilità di compiere ulteriori atti persecutori si va incontro al rischio di un’escalation della violenza, che può portare nei casi più drammatici fino al femminicidio. In Italia uno dei problemi più gravi è la lentezza dei procedimenti.

«Non c’è una misura preventiva veloce e, di conseguenza, la donna corre un alto rischio. È difficile che con la denuncia poi la vittima sia effettivamente protetta – continua Zanni –. Quando si verifica questo reato noi di D.i.Re. cerchiamo di mettere subito la vittima e gli eventuali figli in una struttura protetta. Continua a esserci una grave mancanza da parte del sistema giudiziario e questo avviene nonostante adesso le norme previste dal codice rosso rafforzato siano più stringenti».

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