Il 2022 si chiude con non pochi interrogativi e confusione concettuale per il mondo dell’arte e del diritto. Chi scrive inizierebbe, per fare chiarezza, dalla ricerca di un nome migliore per definire la produzione artistica in qualche modo collegata con la blockchain, e quindi con gli NFTs e le criptovalute.

Abitiamo nel mondo post readymade da oltre un secolo, e bisogna a questo punto sforzarsi di capire, o forse di accettare, quale sia la nuova arte di questi tempi, e come proteggerla/inquadrarla dal punto di vista legale.

Anzi, forse siamo addirittura già nell’èra post Internet, in cui lo scenario è ancora più radicale: nel senso che i mezzi di produzione di creatività sono sempre più diffusi e i contenuti sempre più abbondanti (oltre al fatto che è più facile l’accesso ai mezzi di distribuzione).

Amatore o professionista?

Come distinguere quindi oggi i prodotti dell’amatore da quelli del professionista dell’arte, che dovrebbero avere anche un diverso inquadramento giuridico?

Artisti e giuristi hanno avuto in comune un tempo – quello dell’antica Roma per quest’ultimi, l’epoca del Cortegiano di Baldassarre Castiglione per i primi, quando l’attività artistica veniva identificata come un passatempo per nobili – in cui entrambi erano considerati amatori e perciò non retribuiti (si parlava delle cosiddette arti liberali).

Non spetta ovviamente a chi scrive giudicare cosa sia arte o cosa non lo sia, nel vasto mondo della produzione artistica attuale: si può solo far notare come mentre fino a ora si è sempre trovato un nome soddisfacente, e preciso, per individuare le varie manifestazioni della sperimentazione visiva (generative art, arte computazionale, time based media, net art, glitch art, video art, etc.), compresi tutti i processi di cosiddetta “rimediazione” (i nuovi strumenti che rimodellano i vecchi, e questi ultimi che si reinventano per rispondere alle sfide lanciate dai primi), ora siamo ad una impasse.

Strumenti in evoluzione

Parlare di Crypto art o NFT art è infatti forse riduttivo, e comunque inopportuno, sia per le alterne vicende della criptovalute (che in questo momento preciso non godono di troppa salute), sia per la confusione concettuale che gli NFTs sembrano aver portato nel collezionismo di arte digitale.

Non lo si ripeterà mai abbastanza, l’NFT non si vede, non è l’opera d’arte in sé, né tantomeno si tratta di supporti artistici o di una nuova tecnica artistica per gli artisti che lavorano – da più di mezzo secolo oramai – con l’arte digitale, ma sono uno strumento, i cui utilizzi sono in continua evoluzione.

All’arte ci si è sempre riferito, infatti, con nomi che rinviano o al medium con cui viene realizzata o allo stile, e il 99 per cento della cosiddetta NFT art è semplicemente arte digitale, la stessa che già conosciamo e che è ampiamente accolta nei musei e nelle collezioni da decenni. Anche se un modo migliore per distinguerla all’interno dell’insieme dell’arte digitale bisognerà pur trovarlo, anche perché molte volte si tratta, per la c.d. NFT art anche di opere d’arte tradizionali (fisiche per così dire, analogiche), ma affiancate da un NFT.

I passaggi precedenti

Siamo dunque in un momento di cesura anche per il diritto, oltre per l’arte: accomunati anche in questo, ovvero dall’impatto che ogni avanzamento tecnologico (che sia il tubetto dei colori, una macchina fotografica o un software di AI) ha sempre avuto nell’evoluzione di entrambi.

I precedenti passaggi chiave da questo punto di vista (parlando sempre delle sperimentazioni visive degli ultimi cinquant’anni), sono stati sicuramente la creazione di opere d’arte con il software (inizio della generative art/arte computazionale); l’affermarsi della video art e della fotografia digitale (in cui la natura dell’immagine diventa quella di un dispositivo generante fatto di un codice informatico, che ha innescato un processo di emancipazione nei confronti della pratica fotografica) e il successivo processo di diffusione e modificazione della medesima con le reti; poi un anno preciso, il 2011, in cui l’artista Rafael Rozendall vende siti web d’artista e crea un contratto tipo per l’operazione, che è ancora largamente in uso.

Una nuova cesura

E adesso? Come la mettiamo con la blockchain, e gli NFT?

Davanti a questo nuovo momento di cesura, mentre sempre più frequenti sono le notizie di casi di abusi di IP e di truffe finanziarie, il diritto e il regolatore fanno più o meno i vaghi, affermando da un lato che il fatto stesso di immettere un contenuto all’interno di un NFT non presenta in sé nulla di creativo e quindi tutelabile in base alla legge di diritto d’autore;

dall’altro, di non voler considerare, allo stato, nel perimetro della MiCa (la direttiva sulle cripto-attività su cui si è raggiunto recentemente un accordo), gli NFT, ma riservandosi di farlo un domani (perché, in fondo, non si sa mai; e poi del resto la confusione è massima anche dal punto di vista delle definizioni di un NFT dal punto di vista legale e fiscale: per cui è spesso più facile dire cosa non sia, piuttosto cosa sia un NFT). Il che non è un caso, e va sottolineato, anche per chiudere circolarmente il discorso dalla suggestione da cui siamo partiti, ovvero la necessità di trovare insieme, avviando una riflessione – che sia necessariamente – interdisciplinare, un nome migliore per l’arte che viene accompagnata dal conio di un NFT: rem tene, verba sequentur (concentrati sul concetto, le parole seguiranno), diceva infatti Marco Porcio Catone.

Questo è il primo di una serie di articoli sul tema degli Nft e della crypto arte coordinata da Silvia Segnalini e Allegra Canepa.

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