«Tutti perdenti, tutti contenti». La battuta è pronunciata con rassegnazione da Virginia Raffaele che è la vicepreside Agnese, come la rediviva canzone di Ivan Graziani in colonna sonora, di Un mondo a parte diretto da Riccardo Milani. Il protagonista è Antonio Albanese (Michele Cortese, nomen omen), un maestro con trentacinque anni di insegnamento, il quale, arcistufo delle frustrazioni accumulate nelle aule romane, chiede e ottiene una cattedra dell’immaginario paese abruzzese di Rupe nella Marsica cara alla memoria di Ignazio Silone (set a Opi).

Qui il Nostro sembra andar incontro a un’ennesima delusione esistenziale, la chiusura della scuola per mancanza di nuove iscrizioni, finché un moto di riscatto o forse un inedito amor loci non si impone sulla rinuncia e l’arrendevolezza tipici dell’immalinconita comunità montana.

Sogni infranti

Da tempo ormai l’Abruzzo è una «regione in transizione» nel gergo dei Fondi europei. Si è insomma affrancato dallo stigma di «regione meno sviluppata», ergo più bisognosa degli aiuti economici dell’«Obiettivo convergenza» destinati alle regioni il cui pil pro capite sia inferiore al 75 per cento della media Ue.

Nonostante la scia lunga del terremoto di quindici anni fa, è un successo notevole, sebbene l’uscita dal programma comunitario abbia riportato indietro l’orologio dello sviluppo, stando a un paper della Banca d’Italia datato 2016 e il cui titolo è eloquente: Boulevard of broken dreams.

Invero, nel film e non solo, il «viale dei sogni infranti» è una strada che si inerpica per costoni rocciosi e attraversa valli innevate d’inverno e verdissime nella bella stagione. Curve su curve verso piccoli paesi in semi-abbandono, un processo di svuotamento che investe tutto il mezzogiorno d’Italia (incluse le città), ora minacciato anche dall’Autonomia differenziata che finirebbe per destinare alle regioni ricche più risorse per sanità, scuola, trasporti etc.

Le cosiddette «aree interne» stanno diventando paesaggi lunari, segnala la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno, che nel suo rapporto di fine 2023 ribadisce «il gelo demografico nazionale e lo spopolamento del sud».

Un’emorragia senza fine: «Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il centro-nord (81 per cento). Al netto dei rientri, il mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Al 2080 si stima una perdita di oltre otto milioni di residenti nel mezzogiorno. La popolazione del sud, attualmente pari al 33,8 per cento di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8 per cento».

In particolare, vanno via i più giovani e i più istruiti, mentre le nascite sono ferme come mostra il film di Milani in cui l’unica pluriclasse per bambini dai sette ai dieci anni è prossima a essere cassata/accorpata senza suscitare particolare indignazione nei genitori, in gran parte attori «presi dalla strada» o se volete dal «viale dei sogni infranti» di cui sopra.

Già ben oltre i cinque milioni di incasso, Un mondo a parte è uscito nelle sale il 21 marzo scorso e, piaccia o meno il suo tono agrodolce, equivale simbolicamente a una sorta di risveglio di primavera per i piccoli centri, i borghi-fantasma, i luoghi della Restanza per dirla con il titolo di un libro dell’antropologo culturale calabrese Vito Teti (Einaudi 2022), affettuosamente citato nel film.

Gli studiosi

Teti è estraneo alla retorica del mezzogiorno immutabile e arcaico al solo fine di deliziare il turismo del foliage canzonato da Milani; va invece annoverato tra gli studiosi, scrittori e artisti che riflettono sui mondi a parte come opportunità alternative al «fondamentalismo del mercato» di cui ha scritto il compianto Franco Cassano in Il pensiero meridiano (Laterza 1996).

Parliamo di nomi quali Raffaele Nigro, Giuseppe Lupo, Marcello Veneziani, Amerigo Restucci, Antonio Paradiso, Pietro Laureano, Andrea Di Consoli, Rocco Papaleo, Michelangelo Frammartino, Vinicio Capossela, Alessandra Lancellotti, Pier Giorgio Ardeni, Gaetano Cappelli, senza dimenticare il portabandiera della paesologia Franco Arminio e l’«abbandonologa» Carmen Pellegrino.

I loro apporti hanno alle spalle una tradizione importante che va dallo stesso Silone a Elio Vittorini, da Carlo Levi a Rocco Scotellaro, Emilio Sereni, Danilo Dolci, Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia, nonché editori come Laterza, Donzelli, Rubbettino e Sellerio che nel 2019 ha tradotto il bellissimo reportage La Spagna vuota di Sergio del Molino, testimonianza d’una valenza europea della grande fuga dai piccoli centri.

Per tutti fa testo Manlio Rossi-Doria, coraggioso meridionalista diviso tra l’impegno politico socialista e gli studi agrari, il quale distinse la «polpa» costiera e l’«osso» appenninico nell’economia meridionale del dopoguerra.

Ma adesso il film di Milani insinua il sospetto che la vera polpa sia giusto l’osso... Magari grazie a infrastrutture leggere (trasporti, formazione, reti telematiche) e al coraggio di sperimentare forme di ripopolamento, come si vede in Un mondo a parte allorché l’iscrizione dei bambini ucraini e africani consente di salvare dalla chiusura l’Istituto scolastico intitolato al poeta e pastore otto-novecentesco Cesidio Gentile detto Jurico.

Al cinema

Nella chiave della commedia, la tenace «restanza» di Albanese e Raffaele – che infine si scopriranno innamorati – conquista qualunquemente la fantasia e il cuore del pubblico. In fondo non è una novità, se consideriamo i film italiani che storicamente svettano nella classifica del box office.

Con la recente eccezione della cornice bellica romana di C’è ancora domani di Paola Cortellesi (sposata con Milani), quasi tutti gli altri titoli record prendono le mosse da piccoli paesi o vi approdano, da Il ciclone nella provincia toscana di Leonardo Pieraccioni a Benvenuti al sud di Luca Miniero ambientato nel Cilento, fino alle atmosfere siciliane di Chiedimi se sono felice di Aldo, Giovanni e Giacomo e La stranezza di Roberto Andò ispirato a Pirandello…

E naturalmente i film della premiata ditta (ora sciolta) Gennaro Nunziante & Checco Zalone: Cado dalle nubi, Che bella giornata, Sole a catinelle e Quo vado?, a zigzag tra località minuscole, marginali o semidesertiche dalla Puglia alla Brianza, dalla savana africana ai ghiacci del Grande Nord.

Sguardo sul futuro

Come si spiega? Fa premio la nostalgia di una vita più semplice? «Non credo affatto, anzi, i sentimenti di questi film guardano al futuro. È il bisogno di radicamento di cui parla Simone Weil a renderli popolari», dice Tommaso Greco, professore ordinario di Filosofia del diritto all’università di Pisa, autore da ultimo di Curare il mondo con Simone Weil (Laterza 2023).

Calabrese originario di Caloveto, milleduecento abitanti in provincia di Cosenza, lo studioso alimenta «la prima radice» con il suo blog «Laboratorio Camenzind – Percorsi di antropologia meridiana» intitolato così in omaggio all’esordio letterario di Hermann Hesse, Peter Camenzind, storia di una fuga e d’un ritorno al villaggio montano del protagonista.

Nel blog ha scritto in termini positivi e con gratitudine di Un mondo a parte, ancorché con qualche riserva sui metodi non proprio legalitari che conducono al lieto fine. «Tra persone sradicate che mantengono la memoria di chi furono, la bellezza e la lentezza dell’infinitamente piccolo è una dimensione preziosa», riflette Greco, «è un legame comunitario contro l’indistinzione che riduce le persone a massa».

La vulnerabilità di tali luoghi, conclude il professore, sollecita il passeggio sui confini come l’intendeva Franco Cassano, là dove ritrovare un senso della propria vita. «E in Novecento di Alessandro Baricco», ricorda, «il protagonista scende i gradini della scaletta del transatlantico e poi li risale perché non vede la fine della città». Allora, come dire?, un altro mondo a parte è possibile.

© Riproduzione riservata