Disney, Pixar, DreamWorks… ma in questo caso non c'è nessuno studio, solo un nome: Michel Ocelot, 78 anni, un tesoro nazionale francese che scuote con un’inimitabile eleganza il mondo dell'animazione fin dall’inaspettato successo internazionale del suo primo film, Kirikù e la strega Karabà (1998). Questa volta l’autore autodidatta torna a meravigliarci con Il Faraone, il selvaggio e la principessa, un’antologia di favole morali e iniziatiche che ci catapultano nell'antico Egitto, nell'Alvernia medievale e in un palazzo turco del XVIII secolo. Tre ambientazioni diverse per tre storie universali che mettono in scena dei giovani protagonisti affamati di amore e di libertà.

Perché attraversare il mondo e tre epoche diverse con un trittico come il faraone, il selvaggio e la principessa? Non bastava una sola storia?
Dopo l’esperienza estenuante di Dilili a Parigi ho deciso di realizzare tre mediometraggi, volevo riposarmi e passare dall'opera lirica alla musica leggera. E poi cambiare storia, costumi e scenografie è molto divertente. Ci sono grandi storie che si raccontano in dieci minuti. Ormai è una mania, con il digitale i film sono sempre più lunghi. Ci sono film che sarebbero bellissimi mediometraggi da 20 minuti e invece durano 2 ore di troppo e finiscono col diventare mediocri.

Si arrabbia ancora quando dicono che lei fa film per bambini?
All'inizio mi irritava moltissimo essere etichettato come “autore per bambini”, essere marchiato a fuoco. Non ho mai fatto film per bambini, ed è per questo che a loro piaccio. Cerco di fare solo cose che mi appassionano e sono orgoglioso di avere spettatori di ogni età. Ho un feedback straordinario da ragazzi che sono diventati adulti splendidi, intelligenti, vengono a ringraziarmi, commossi. Mi rendo conto di aver cresciuto generazioni di francesi, e forse anche di italiani? Kirikù è andato molto bene in Italia, un Paese che mi è sempre stato fedele.

La sua vita potrebbe essere raccontata come una favola, vero?
La mia vita è stata prima un inferno e poi una favola. Sono nato un po' troppo presto per il cinema di animazione, quando ho capito che quella era la mia strada non c’erano ancora i computer. Per fare film servivano soldi e attrezzature che non avevo, non trovavo lavoro e per metà della mia vita sono stato più che altro disoccupato. Non ho potuto esercitarmi abbastanza per imparare fino in fondo il mio mestiere. Come si dice: solo praticando si impara, e io non ho praticato abbastanza. Riuscivo ogni tanto a realizzare un cortometraggio e con il tempo mi sono fatto un nome nel settore, ma il pubblico non mi conosceva e continuavo a fare la fame.

Poi, all'improvviso, un colpo di scena: Kirikù e la strega Karabà. All’inizio è stato difficilissimo farsi finanziare perché all’epoca il cinema di animazione sembrava monopolio degli americani e, quando abbiamo terminato il film, nessuno voleva distribuirci. Un film d'animazione francese sembrava a molti un fallimento annunciato. Poi è arrivato un piccolo distributore non parigino che ci ha creduto (Gebeka films), non aveva soldi ma sentiva che il film aveva un grande potenziale, così è andato in giro per tutta la Francia a convincere sale indipendenti, coraggiose e appassionate a tenere il film, in modo che il passaparola avesse il tempo di diffondersi e la cosa ha funzionato! Come in una favola, Kirikù è diventato un successo storico e internazionale. Da quel momento le cose continuano ad andare bene per me, e anche se ricevo sempre meno soldi, continuo a fare film. La mancanza di budget non è così visibile perché trovo soluzioni come l’uso delle silhouette animate che sono belle e costano poco.

Come mai ha difficoltà a trovare finanziamenti? Pensa che anche il Centro nazionale di cinematografia francese sia sempre più orientato verso un modello di redditività all’americana?
C'è sempre un sogno americano nella testa di questi poveri Europei. Immagino che il CNC si dica: "Michel Ocelot, è vecchio, favoriamo i giovani", però quando sarò morto sarà troppo tardi.

Ma lei ha un successo internazionale, il suo stile è unico, il suo nome è quasi un brand nel mondo dell’animazione.
Non cerco di ripetere i miei successi ma di raccontare sempre storie nuove, in cui credo veramente. La prossima è sulla droga, ma la mancanza di soldi e anche di tempo mi frenano nella sperimentazione di stili completamente diversi. Ogni mio film è come una prima volta e mi delude un po’ che il mio stile sia così riconoscibile, idealmente vorrei che lo spettatore si perdesse completamente nei miei film, senza pensare ad altro che alla storia.

Lei ha aperto lo sguardo di intere generazioni portando per la prima volta sullo schermo personaggi animati africani. Visti i tempi, è mai stato accusato di “appropriazione culturale”?
Non mi piace il fenomeno “woke” perché è intransigente, vuole mettere barriere ovunque, chiude ogni forma di scambio e di comunicazione. L’ottusità mi fa orrore. Ultimamente c’è stata una sommossa su TikTok, perché alcune ragazze bianche hanno doppiato la strega Karabà, un personaggio simbolico per molte ragazze nere. È assurdo, non mi importa nulla se Karabà è doppiata da una ragazzina bianca o se la Sirenetta è nera.

Quando Disney ha realizzato Cenerentola, le versioni dei fratelli Grimm, di Charles Perrault o anche la Gatta Cenerentola di Basile avevano attraversato i secoli. È difficile risalire alle vere origini di molti racconti, tutti copiano tutti e non si sa esattamente quando è successo e dove, ho anche scoperto che la storia della scarpa che può calzare un solo piede risale all'antico Egitto. Per Kirikou mi sono ispirato a un racconto africano sulla nascita, tutto è africano, è un film che rispecchia la mia infanzia felice in Guinea Conakry dove, a differenza degli anglofoni, ho imparato a non avere paura di un seno nudo.

È vero che ha dovuto censurare i seni nudi delle dee egizie nel trailer americano del suo ultimo film?
Per Kirikou, la BBC ha detto che per via del nudo non potevano trasmetterlo prima delle 11 di sera. Si è tanto parlato dei seni nudi che nella storia del Faraone mi sono autocensurato e ho coperto il seno della reggente con una maglietta. Quando Vincent Rondot, il direttore del dipartimento egizio del Louvre e specialista della dinastia kushita, ha visto i disegni ha detto: “È ridicolo, erano tutti a torso nudo!" Così con la benedizione del Louvre, ho disegnato costumi che si fermano sotto il seno delle protagoniste, e ne sono davvero felice.

La perversione è davvero nell’occhio di chi guarda. Che cosa pensa dell'animazione un po’ anestetizzata dall’inclusione degli studios americani?
L'animazione è molto di moda e ne sono molto felice, ma sono sconcertato dalla mancanza di fantasia, continuano a fare remake, live action, sequel. Tutti questi sequel sembrano la conseguenza di una mancanza cronica di idee. Ho appena letto che l'enorme universo Disney, che ha comprato tutto ciò su cui poteva mettere le mani, non se la passa tanto bene, ma pare che vogliano tornare a fare cose buone, questa è una bella notizia.

Sì, Bob Iger, il ceo di Disney ha ammesso che forse hanno un po’ esagerato con i sequel. Anche Wish, il loro ultimo film da 200 milioni di dollari non sta andando un granché, come se lo spiega?
Non l'ho visto, ma posso fare un'ipotesi: i grandi film sono spesso opera di un essere umano che parla a esseri umani, non sono il risultato di un consiglio di amministrazione, di un gruppo di script doctor o dell'applicazione di ricette collaudate e testate. Queste grandi aziende sono schiave di una maledizione: il successo, voler fare di tutto per il successo, anche tradire se stessi. I primi film Disney erano meravigliosi, piacevano a tutti, grandi e piccini, perché erano pieni di idee inventive, avevano artigiani e tecnici eccezionali che facevano il loro lavoro con passione.

È mai stato contattato da un grande studio di animazione americano?
No, e devo ammettere che la cosa mi ha anche un po' offeso. Satana non ha cercato di comprare la mia anima. Forse hanno pensato che non fossi in vendita.

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