Il potere è invisibile, ma al contempo pervasivo. A volte è uno strumento da esercitare, altre una gabbia opprimente di cui ci si vorrebbe liberare, altre ancora può essere uno spazio di consapevolezza. È ovunque, non solo sul posto di lavoro o in un ambiente scolastico.

Attraversa tutti gli spazi della quotidianità, dalla famiglia alle relazioni sociali. Non è sempre facile gestirlo con consapevolezza, a volte può essere esercitato in modo disfunzionale.

E Alice Siracusano, socia dell’agenzia di comunicazione Luz e docente di Linguaggi della pubblicità all’università Iulm, durante un percorso di terapia si è resa conto di aver usato il suo potere, in famiglia e sul luogo di lavoro, in modo sbagliato.

Alice Siracusano (credits: Gabriella Corrado/LUZ)

Da questa consapevolezza è nato un libro, Il senso del potere (dicembre 2023, edito da Fior di risorse), in cui in un centinaio di pagine mette a nudo una parte di sé parlando della sua esperienza di coppia e delle sedute di terapia, per poi approfondire il tema indagando i disagi che si creano nelle relazioni di potere, dalle prevaricazioni alle ingiustizie.

La visione introspettiva dell’autrice è accompagnata dalle voci di alcuni esperti del tema che analizzano diverse sfaccettature del potere.

Dopo un’intervista di Osvaldo Danzi alla sociolinguista Vera Gheno, seguono David Bevilacqua, amministratore delegato di Ammagamma, Giorgia Ortu La Barbera, psicologa e consulente per Diversity equity and inclusion, Diego Parassole, comico che ha dato spazio a storie di ingiustizie nel mondo del lavoro e Barbara Antonelli, responsabile della comunicazione di Action aid.

«Io associo il potere alla libertà di essere me stessa – dice Siracusano –. Il problema è che comprendere chi siamo è un viaggio lungo e difficile.

Anche per questo ho voluto scrivere un libro al riguardo, vorrei che diventasse uno strumento per altre persone, per aiutarle a guardarsi dentro e comprendersi o per mettere in discussione alcuni aspetti che, visti sotto una certa luce, diventano estranei e fastidiosi».

Una visione stereotipata

Non esiste un momento preciso valido per tutti in cui si prende consapevolezza di essere in una situazione in cui si esercita o si subisce il potere. Per chi riveste ruoli apicali a livello lavorativo è forse più semplice diventare cosciente del potere che si gestisce, per gli altri invece è un percorso a volte più lungo.

«Io mi sono accorta di avere un potere quando le persone, dal di fuori, me lo hanno attribuito utilizzando il titolo “ceo” o con commenti come “sei una donna forte”, “sei indipendente”, “hai le palle”. Queste frasi, anche se dette per esprimere ammirazione, nascondevano molti stereotipi che spesso si associano al concetto di potere. Sono domande che sottintendono uno standard o che evidenziano una sorta di “gara tra i sessi” che nuoce all’obiettivo finale, ovvero far sì che ognuno trovi il suo modo di vivere il potere».

Spesso, infatti, continua ad avere una concezione prettamente maschile, legata ad aspetti – come la determinazione, la forza o la sicurezza – che si identificano come propri ed esclusivi degli uomini. «È difficile rinvenire una rappresentazione di potere “diversa”, e quando la si ritrova si dà una fastidiosa etichetta: “potere al femminile”. Invece dovremmo chiederci se ci sono altre forme di potere rispetto a quello tradizionale», scrive nel libro la psicologa Giorgia Ortu La Barbera.

Lo stereotipo di potere nato nel mondo maschile è dannoso sia per le donne che per gli uomini. Secondo l’autrice, infatti, gli strumenti del potere che gli uomini hanno sempre utilizzato – e che poi spesso le donne hanno inconsapevolmente emulato – oggi non funzionano più come una volta, causando un cortocircuito e un potenziale periodo di crisi. Per questo chi riveste posizioni apicali dovrebbe iniziare «a chiedersi come darne di più agli altri, piuttosto che come ottenerne per loro stessi.

E non solo per evitare diaspore improvvise [come il fenomeno delle grandi dimissioni in ambito lavorativo n.d.r.] ma per rafforzare la salute aziendale». Il punto di partenza è, quindi, individuare le modalità e le caratteristiche delle condizioni tradizionali di potere, per poi determinare gli stereotipi che le hanno caratterizzate e cercare di scardinarli, non incasellandosi nelle dinamiche che a lungo si sono tramandate, ma trovando nuovi modelli più adatti alla propria persona.

La parola è potere

Il potere non è solo quello che esercita chi impartisce ordini dall’alto o gestisce un’azienda. È ovunque, anche nel linguaggio quotidiano, e ognuno lo esercita tutti i giorni più o meno consapevolmente facendo determinate scelte linguistiche.

«Ci sono varie questioni che sottolineano il potere della parola – scrive la sociolinguista Vera Gheno in apertura al libro –, tra queste c’è la questione delle “narrazioni”, ovvero quando si sceglie di definire le cose in un certo modo per favorire nell’opinione pubblica il crearsi di un’idea. Penso a termini come “carico residuale” per indicare i migranti lasciati sulla barca. Così come anche “gestazione per altre persone” invece di utero in affitto».

Il potere positivo

La visione che domina il tema spesso è quella di un binomio in cui si oppongono dominanti e sottomessi. Il potere però non porta con sé solo connotazioni negative, se gestito in modo corretto e consapevole può non coincidere con lo stereotipo nocivo di leadership. Al contrario, può trasformarsi in uno spazio in cui ognuno esercita a suo modo il potere, trasformando l’autorità in autorevolezza. «Credo che sia possibile avere una relazione sana con il potere – dice Siracusano –. Forse non stabilmente, ma va bene, anche il sapersi perdonare momenti in cui abbiamo vissuto il potere in maniera disfunzionale fa parte del percorso per stabilire una relazione sana».

È importante saper cambiare punto di vista, non vivendo in schemi preimpostati, ma sapendo trasformare la propria visione all’occorrenza per non subire passivamente le situazioni. In questo modo sarà possibile vivere il potere in modo responsabile e libero. E, secondo l’autrice, le aziende possono essere «un possibile terreno fertile per una rivoluzione del potere, per rifondare questa parola e questo concetto, a partire da chi ci sentiamo di essere dentro. A prescindere dal nostro sesso, dal titolo di studio o dal livello nell’organigramma».

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