Regolarmente come il cambio delle stagioni e dell’armadio, tra le vacanze al mare e il Natale, arrivano le liste dei libri da leggere. Le principali e le più ambite restano quelle di Barack Obama e di Bill Gates.

Obama offre con la sua lista uno sguardo sul mondo e su come approfondirlo, quest’anno ad esempio si è molto discusso sulla mascolinità tossica e la crisi del maschio con l’inserimento in lista del saggio di Richard V. Reeves, Of boys and men; Gates invece offre sempre un monito, un cosa si dovrebbe fare per, come comportarsi se, o comunque cosa è successo e quindi cosa siamo diventati. Tra i suoi bestseller spiccano i saggi colti e divulgativi di Vaclav Emil, da Invenzione e innovazione a Come funziona davvero il mondo.

Se Obama in sostanza consiglia di capire il mondo per provare cambiarlo, Gates al contrario predilige cambiare il mondo per poi provare a capirlo. Tuttavia entrambi non sfuggono da quell’indigesto movimento che dice imperativamente, «Dovete leggere!». Essere migliori in quanto lettori è un’avvertimento in cui casca prima o poi chiunque: dall’insegnate di liceo, esaurita dalla totale indifferenza verso i libri dei suoi studenti, «Leggete e sarete migliori!».

La morale, si sa, non ha mai aiutato la lettura, al massimo può generare l’impulso di rubare dei libri inutili, come avviene in uno dei migliori dialoghi del cinema italiano degli anni 2000, quello tra Stefano Accorsi e Libero De Rienzo in Santa Maradona di Marco Ponti. Il libro prescelto non a caso sarà proprio l’autobiografia di Bill Gates. 

Oggi infatti è proprio la lista a segnare il passo, a perdere sulla consistenza che negli anni d’oro dell’editoria e del desiderio ha portato alla nascita di meravigliosi cataloghi che secolo dopo secolo almeno fino al Novecento sono stati la felicità di ogni curioso anche più dei libri stessi. Immergersi in un catalogo, e lo sapevano bene Elias Canetti quanto Giorgio Manganelli, ha significato fino ad oggi dare una forma essenziale alla propria idea di mondo e di esistenza. Chi siamo e cosa vogliamo stavano perfettamente in quelle liste di titoli organizzate per temi, collane e categorie. Uno scheletro che avrebbe generato possibilità infinite, ma di volta in volta possibili e raggiungibili.

Ora invece la vertigine è tale che si è trasformata in un’angosciante buco nero che rende la nostra vita così ridicolmente breve che, come disse già Massimo Troisi in Le vie del Signore sono finite, «io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere». Pensare di salvare il mondo e noi stessi con le urgenze che non bussano più alla porta perché la porta è già stata sfondata da guerre, crisi climatiche e pandemie, rende così ansiosi da non riuscire nemmeno più ad aprire un libro.

Il senso di leggere

L’idea imperante è che la lettura sia infatti sostanzialmente una pratica antisociale. Un’idea talmente incistata nella mente dei più che si è spesso ridotti a dover spiegare perché non è così e anzi è l’opposto. 

Invece, da qualche tempo sta prendendo forma un’idea così semplice quanto efficace che sembra cogliere il senso della lettura nella sua forma più spontanea e quindi sostanziale e della cui efficacia se ne vedono già i segni. In un post di poche settimane fa Dua Lipa, popstar mondiale di origini kossovaro albanesi, ha postato non una lista di libri da leggere, ma più banalmente di libri che sta leggendo.

E i titoli e lo stato dei libri – tra cui la stupenda raccolta di racconti di George Saunders, Dieci dicembre – dimostrano una consapevolezza e una verità tanto rara quanto estremamente intima, al punto da spiazzare ogni scrollatore di social.

Dua Lipa non consiglia, ma dice cosa sta leggendo, ora in aereo, ora in vacanza, ora in tournée. Dua Lipa non insiste sull’importanza di un libro o sulla sua necessità, ma avverte semplicemente se i libro le è piaciuto e perché, e lo fa consigliandolo con la naturalezza di una compagna di banco o di una vicina di casa (sempre che i vicini di casa consiglino libri).

Service 95

Ma chi pensasse che Dua Lipa si sia fermata qui l’avrebbe solo sottovalutata. Infatti la cantante e performer ha dato forma a un vero e proprio club del libro che ha le stesse caratteristiche di quelli diffusi tra le librerie indipendenti e le biblioteche di quartiere, solo con un impatto decisamente diverso, il che non fa affatto sfigurare il lavoro meritorio di librai e bibliotecari, ma mostra ancora di più l’efficacia di come un meccanismo tanto semplice quanto naturalmente spontaneo che messo in scala può raggiungere livelli impressionanti con milioni di partecipanti.

Dua Lipa infatti ha dato forma a un club del libro anche per mantenere un contatto con i propri di amici in un mondo in cui rimanere in contatto vuole dire spesso solo farlo digitalmente. Quel club del libro è così diventato una vera e propria piattaforma editoriale, Service 95, lanciata da Dua Lipa nel febbraio del 2022, che raccoglie all’interno più gruppi di lettura e insieme approfondimenti, letture critiche e interviste con gli scrittori dei libri presi in analisi.

La modalità scelta

La prospettiva offerta è quella data da uno sguardo globale dentro al quale prende senso anche il girovagare assurdo di una popstar che evidentemente ha deciso di andare oltre gli stadi, le arene e gli aeroporti e gli hotel che quasi quotidianamente attraversa in cui si esibisce, per prendersi un tempo altro fondamentale oltre che per stare bene anche per capire e dare forma al proprio sé.

Ed è la prevalenza della lettura sull’aspetto editoriale e commerciale che invece è sempre preponderante nel caso degli influencer più o meno locali, a rendere l’operazione efficace e coinvolgente.

Qualcosa di non molto lontano da quanto fatto tempo fa da Vasco Rossi e in parte da Lorenzo Jovanotti, solo che qui Dua Lipa ha saputo strutturare e dare forma a uno spazio d’approfondimento e di partecipazione abbastanza raro per non dire unico per numeri, organizzazione e capacità d’impatto.

Non si tratta però solo del vezzo di una grande popstar, ma di un’esigenza che la sua figura amplifica e che riguarda in maniera più allargata un’intera generazione di under trenta, tanto che un simile approccio lo si ritrova anche con Kaia Gerber (modella e figlia di Cindy Crawford per chi visse negli anni Novanta la propria giovinezza tra Top Model, Bill Clinton e Playstation) che insieme ad Alyssa Reeder ha fondato nel 2020 Library Science strutturando quelli che inizialmente erano solo dei live Instagram in un vero e proprio spazio di dialogo sui libri attorno ai temi di razza, sesso, maternità, queerness, dipendenza, abuso, cambiamento climatico e intersezionalità.

Una modalità di dialogo, ascolto e approfondimento che appare sui profili di attrici, modelle e popstar, ma che appartiene fortemente a un’intera generazione che loro semplicemente rappresentano. Una capacità di utilizzare il digitale quale vera e propria strumentazione privandolo di ogni aspetto nevrotico e identitario che anzi torna fortemente nella lettura dei libri: io sono quello che leggo sembrano dirci tutte loro.

Riprendere respiro

Ovviamente non mancano anche gli aspetti più mondani e patinati, come quello proposto dalla modella Liya Kebede che ha disegnato Liyabrairie, una borsa perfetta per chi ha l’esigenza di portare sempre con sé un libro (di carta, non digitale). Anche questi aspetti non fanno che mostrare come il fenomeno sia diffuso e di come il libro ritrovi respiro e una fruizione sociale e intima al di là delle desuete modalità proposte dal classico mondo editoriale.

 Precorritrice è stata la geniale attrice e produttrice cinematografica Reese Witherspoon che già nel 2017 con Resse’s Book Club ha dato forma anche a gruppi sul territorio educando e formando alla lettura con un movimento che oggi raccoglie ormai più di tre milioni di partecipanti (e non solo di follower).

Training season’s over, canta Dua Lipa, la stagione degli allenamenti e dei tentativi è finita, lo dicono i conti e le inevitabili sfide che si porranno per il mondo editoriale nei prossimi mesi e anni. Troppe soluzioni e troppi tentativi sono stati fatti in nome di una lettura vista solo come elemento migliorativo e non come scoperta e rivelazione del sé. Baby, I don’t need to learn my lesson twice (Learn my lesson twice), canta sempre Dua Lipa ed è forse il caso di ascoltarla per davvero. 

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