Il vero segreto del successo resta impigliato alle parole che Pietro Rosino Santini ripeteva alle sue figlie quando erano piccole: «Fate quello che volete, ma fatelo sempre al massimo. In azienda è un concetto che si sente nell’aria».

Monica e Paola oggi guidano il maglificio più famoso al mondo. A forza di dare il massimo la famiglia Santini è arrivata a cucire la grandeur. Prima le maglie gialle le avevano fatte la Nike e le Coq Sportif. Colossi. I Santini sono arrivati dopo, con la loro azienda cresciuta un passo dopo l’altro, figlia del sacrificio. Il Tour de France 2022 è stato il loro debutto.

Quello che parte il primo giorno di luglio dai Paesi Baschi è un atto di consapevolezza per il maglificio bergamasco. «Abbiamo sistemato tutto ciò che non era perfetto - spiega Monica, l’amministratore delegato di Santini Cycling Wear – bisogna sempre restare al passo, la ricerca non si ferma e noi dobbiamo adeguarci agli atleti».

Da Gimondi a oggi

La loro bella maglia gialla è icona e leggenda. Ma con il tempo quel colore, il giallo, ha assunto connotati più profondi, di innovazione e ricerca. Ed è qui che i Santini hanno fatto centro. Quando Pietro aprì lo stabilimento, nel 1965, il suo coetaneo Felice Gimondi vinceva il Tour, a ventidue anni. Erano quasi fratelli, ancora adesso il cavaliere non riesce a parlare di Felice senza che gli si incrini la voce. Fu l’inizio di molte storie, anche di questa.

Allora le maglie dei corridori erano fatte di lana, con la pioggia e il vento finivano per pesare un quintale e al traguardo ti arrivavano al ginocchio. Ci volevano dieci ore per realizzarne una. Al Tour ne potevi avere al massimo due: una d’ordinanza, l’altra di scorta. Oggi una maglia gialla richiede ancora manualità e sapienza, virtù artigianali intramontabili, ma bastano sì e no trenta minuti perché dal materiale prenda forma una realtà da indossare. «Col passare degli anni e la tecnologia - spiega Monica - i tempi si sono accorciati molto».

Il mondo del tessile, in particolare quello legato allo sport, viaggia a velocità supersonica. «È l’atleta che ti fa fare lo sviluppo, la sfida ovviamente è anche nella sostenibilità». I Santini hanno il grande pregio di ascoltare tutti, immagazzinare idee e poi agire. Le richieste degli atleti a volte sono soltanto sensazioni: in fabbrica le traducono in concretezza, comfort, prestazione. «Abbiamo più di una figura in azienda che si occupa di come trasformare le esigenze in un prodotto.

E poi di portarlo al grande pubblico». Sono la sostenibilità, lo sviluppo dei materiali e il lato green le grandi sfide del domani. La maglia gialla è fatta con tessuti made in Italy totalmente riciclati, provenienti da bottiglie di plastica e filati di scarto. Le membrane non derivano dal petrolio, sono di origine naturale. Si sceglie il bio. Sempre.

Poi ci sono i dettagli, nascosti quando la maglia è indossata. Il silicone interno alle maniche a forma di Arc de Triomphe e una dedica stampata rigorosamente in francese all’interno del capo. La sagoma della Francia è sovraimpressa dalle iniziali di Henri Desgrange, lo storico inventore del Tour, e dalla scritta circolare "Le maillot est le Trophée”. «Ne è stata fatta tanta di strada rispetto a quando si producevano magliette di lana. Quelli che cinque anni fa sembravano prodotti all’avanguardia tra cinque saranno vecchi. Il processo di innovazione è continuo».

Il fattore Bergamo

Va di pari passo con la crescita dell’azienda. Pietro aveva cominciato aiutando le sorelle nella sartoria di casa, cambiò tutto quando un incidente lo costrinse a rimanere fermo per un mese e mezzo: abbastanza per immaginare il futuro.

Un fatturato di 30 milioni (nel 2022), una produzione giornaliera di 7.000 articoli. Niente dipendenti, ai Santini sentirete sempre parlare di persone. «Le donne sono l’elemento che ci distingue: sono il 77%, e a tutti i livelli. Tutti, uomini e donne, sono grandi lavoratori, professionisti, con un vero attaccamento all’azienda, e alla maglia.

Sono i valori che ha sempre trasmesso papà». Dal 2023 l’azienda ha fatto un salto in avanti trasferendosi da Lallio a Bergamo: un nuovo stabilimento di 14mila metri quadri e un parco di 13mila. Esportano in 65 Paesi. Nuove sfide: il mercato del sud-est asiatico e il Sudamerica. Ma il perno è sempre Bergamo, altro punto chiave di questa storia. Il tessile per questo territorio è sempre stato uno scrigno dentro cui custodire qualità, lavoro, innovazione.

«Nella provincia bergamasca l’industria è nata con il tessile, creando nel tempo le condizioni di crescita per tutto il manifatturiero - spiega Paolo Piantoni, direttore generale di Confindustria Bergamo – anche oggi, fra tessile e abbigliamento, il settore ha saputo conservare una certa rilevanza e conta oltre 1.000 unità locali e circa 10.000 dipendenti, pari all’8% del totale degli addetti della manifattura bergamasca. Ha generato in un anno 2,5 miliardi di euro di fatturato e 1,1 miliardi di export».

Considerando solo il comparto tessile, aggiunge Piantoni, «Bergamo è oggi la quarta provincia italiana per fatturato, dopo Prato, Milano e Biella, e pesa per il 10% sul totale nazionale. La produzione bergamasca è riuscita a inserirsi su una pluralità di filiere, dall’arredamento allo sportswear all’automotive, puntando sempre più su qualità, contenuti tecnici, innovazione e sostenibilità».

Quello che i dati non svelano è la grande capacità dei bergamaschi di risolvere imprevisti. «Difficilmente capita che messi di fronte a un problema perdiamo la calma. Diciamo: ok, vediamo cosa possiamo fare. E agiamo», spiega Monica Santini. Le risposte sotto stress e la territorialità fanno la differenza. La maglia gialla è a chilometro zero, il 90% dei tessuti proviene da aziende lombarde.

Un’eccezione nella crisi italiana

La Santini è il lato prezioso dell’Italia che pedala. E lo è ancora di più considerando la desolazione che la circonda. Al Tour i corridori italiani sono appena 7, mai così pochi da 40 anni. Squadre italiane nel World Tour non ce ne sono più.

Gli sponsor e i brand - ad eccezione di Santini e Pirelli - sono finit: è la prima volta da quando esiste un circuito internazionale nel ciclismo (ProTour poi World Tour). Con l’addio della Segafredo alla Trek è sparito l’ultimo marchio. Resistono le biciclette, altra eccellenza della nostra industria: dalla Colnago, alla Bianchi. alla Wilier Triestina. Ma la Pinarello è appena stata ceduta a un miliardario sudafricano.

Monica Santini conosce questo sport, sa che «nel ciclismo ci sono i cicli come in tutte le cose» e per i talenti italiani spariti si preoccupa il giusto. «Ma serve una programmazione perché nulla viene dal nulla».

Più complesso il discorso degli sponsor. «Il ciclismo sta diventando sempre più professionistico e costoso, le nostre aziende o non vedono interesse, e mi sembra strano, o sono meno pronte a investire». Eppure basterebbe andarsi a rileggere le favole, e crederci.

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