Non finisce mai, quest’uomo. Nemmeno quando è lui stesso a pensare di essere a un passo dalla fine, come giocatore. A 37 anni suonati Rafael Nadal ha sconfitto ieri in due set a Madrid Alex De Minaur che lo aveva quasi preso a pallate a Barcellona pochi giorni fa e che nella graduatoria Atp lo precede di circa 380 posizioni. Di colpo si è sentito un giocatore a pieno titolo e non il membro tennistico dei Pooh, in eterno tour d’addio. Cosa sta dicendo al mondo lo spagnolo, con questa sua via crucis di fine carriera che ieri, di colpo, si è aperta a una speranza di resurrezione?

Quando a inizio settimana Rafa Nadal ha annunciato la sua partecipazione alla Laver Cup di Berlino nel prossimo settembre, più o meno tutti sono stati sfiorati dallo stesso pensiero: ha scelto per ritirarsi lo stesso palcoscenico dell’amico Federer. Quasi due anni fa Roger diede l’addio al tennis durante il torneo di sua proprietà, giocando in doppio al fianco di Rafa. E soprattutto dando vita alla foto che più di ogni altra è già passata alla storia come il simbolo di una rivalità ineguagliabile nei contenuti e pure nella forma: quella di entrambi commossi (Roger proprio piangente), seduti a bordo campo mentre si tengono per mano.

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Uno scatto intriso pure del carattere infantile che sta alla base di ogni attività sportiva: i due parevano per l’appunto bambini che devono affrontare un evento luttuoso. È facile immaginare oggi che i due abbiano stretto un patto, in quel momento che chiudeva un’epoca: essere vicini anche nel momento in cui pure Rafa avesse deciso di chiudere.

Immaginare che tutto questo accada è lecito. Tra un infortunio e l’altro, Nadal sta faticosamente tentando di convincere il suo corpo ad arrivare almeno fino al Roland-Garros, che è e sarà il luogo-obiettivo dell’anno. Va tenuto nella debita considerazione quanto ha detto il suo connazionale Bautista Agut: «Sono convinto che sa Rafa riuscirà in queste settimane a vincere tre o quattro partite di fila il film cambierà». Ma il buon Bautista sa meglio di altri che per il Nadal di oggi vincere quattro partite di fila sulla terra è un obiettivo arduo assai.

I dubbi

Lo stesso Rafa, prima di Madrid, ha detto senza nascondersi: «Mi sono allenato parecchio ma non ho avuto buone sensazioni. Se le mie condizioni fossero queste, manco ci andrei, a Parigi». E bisogna pure capirlo: il legame fra il maiorchino e il Roland-Garros, dove ha vinto quattordici volte, è qualcosa di unico nel panorama sportivo mondiale. Un rapporto quasi mistico. Per trovare qualcosa di simile bisogna cambiare sport e pensare magari a Giacomo Agostini che vinse 16 volte a Imatra, un circuito finlandese dove non si corre dall’82, a otto chilometri dalla frontiera russa. E dove, dopo la prima curva, c’erano dei binari ferroviari che i piloti dovevano superare con un balzo.

La sola idea di arrivare a Parigi e perdere contro un De Minaur qualunque è inaccettabile per Rafa. Anche perché poco meno di due mesi dopo su quegli stessi campi andrà in scena il torneo olimpico: una medaglia al Roland-Garros sarebbe il coronamento di una storia sportiva pazzesca, pure per lui che ai Giochi ha già vinto due ori. Il dubbio è sempre lo stesso, anche dopo il sorprendente successo di ieri: il suo fisico vittima di microlacerazioni muscolari, schiena dolorante e ginocchia pure reggerà?

Ai Giochi Rafa ha annunciato che potrebbe anche giocare il doppio al fianco di Carlos Alcaraz. Il vero punto che lascia tutto in sospeso è un altro e si chiama come lui: Rafael Nadal. È il figlio nato meno di due anni fa e al quale Rafa vorrebbe lasciare un’eredità particolare, fisica, non mediata dal strumenti tecnologici. «Vorrei che lui avesse ricordo di me in campo. Per questo sto provando a giocare ancora a lungo. Ma non so se ce la farò».

L’umanità di un mostro

Un’ammissione di limitatezza che, a ben vedere, è una sorta di nemesi per chi come lui ha dimostrato più e più volte di saper andare oltre i limiti, mentali e fisici. Ma la fatica di cui oggi Nadal è vittima non fa altro che confermare la sua grandezza. Non era immune dai dolori, dalle sofferenze interiori come peraltro dimostrò nei giorni della separazione dei genitori. È stato un atleta in grado di superare quei dolori, uno che ha elevato il tennis a livelli di fisicità creativa impensabili prima. Ecco cosa ci dice in questi giorni: si può continuare sempre a imparare e a stupire. Come ha fatto lui quando a trent’anni comprese di dover migliorare il gioco a volo; una pratica per lui sostanzialmente inutile o quasi fino a quel momento. E come ha fatto ieri alla Caja Magica.

L’annata di Rafa è la conferma della sua umanità. Sempre che Bautista Agut non abbia ragione e che Rafa non si convinca di replicare la folle cavalcata di Connors allo Us Open del ’91 quando l’americano raggiunse le semifinali a 39 anni. In quel caso dovremmo realisticamente pensare che sia un essere venuto da Vega, non da Maiorca. Visto che lui è Nadal si può solo restare a guardare. Perché lo stupore con lui è ancora possibile.

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