La prima volta che scrissi di un libro di Walter Siti su un giornale – all’uscita di Troppi Paradisi, quasi vent’anni fa – presi la decisione di raccontarne solo otto pagine, quelle che parlavano della «gayizzazione dell’Occidente», una nuova tendenza generale al godimento e al feticismo. Il fatto è che Siti non si può “recensire” ma solo leggere a campione per mostrare cosa fa. Perché lui non ci regala del content da consumare, che possiamo quindi ridurre a una scheda promozionale, che possiamo riassumere o consigliare, promuovere.

Mi è venuta voglia di fare la stessa cosa con I figli sono finiti (Rizzoli, in libreria da oggi), prendere qualche pagina a campione. Siti ha detto che sarà il suo ultimo romanzo perché è quello con cui si è affacciato su un futuro ignoto cui si sente di non poter partecipare. Si congeda con Astore, un personaggio ventenne anodino, senza sogni, pronto a fondersi in una massa umana compattata da algoritmi e macchine. Ma il mio è un riassunto come un altro, non fa una scheda promozionale. Addirittura, per parlare di I figli sono finiti potremmo usare il registro che di solito si usa per spingere quei romanzi sentimentali e pelosamente morali su cui Siti ha scritto le invettive e le polemiche che l’hanno fatto andare di traverso a una fetta di mondo culturale. Proviamo: “In questo libro si incontrano due solitudini. Un vecchio che attraversa un lutto, un giovane troppo profondo per questa società e troppo chiuso per cambiarla. Insieme impareranno ad aprirsi, a riscoprire il desiderio”. Lol.

Chiunque ami Siti sa che poi, sulla pagina – perché quello che fa è tutto nella pagina, che crepita di segni, registri e idee – troveremo tutt’altro, probabilmente un caos di culturisti, aforismi leopardiani, la lingua incoerente del villaggio globale incollata al ritmo segreto della grande poesia italiana. E niente di sentimentale.

La terza persona

Comincio da pagina 199, dove ormai il vecchio vedovo gay (Augusto) e il giovane etero dagli astratti furori (Astore) hanno fatto amicizia. Siti scrive questo romanzo in terza persona, per poter volare dentro e fuori i personaggi senza l’ingombro del suo protagonista chiave del passato («Mi chiamo Walter Siti, come tutti»). Dalla terza persona, si abbandona al lavoro di assorbire il linguaggio del mondo che sta attraversando la pandemia, la guerra, la virtualizzazione quasi totale del sesso, la rivoluzione tecnologica permanente. Il suo protagonista giovane è il futuro-futuro: «Quel che si richiede per l’allenamento del machine learning, fornire dati neutri che prescindano dai sentimenti individuali e variabili, a lui riesce naturale da sempre…».

Astore è la ragione per cui Siti pensa che questo sia il suo ultimo romanzo – me l’ha detto esplicitamente in una puntata del mio podcast La notte in uscita il 30 aprile. I modelli a cui è ispirato il personaggio hanno fatto affacciare Siti su un mondo che non c’entra niente con il suo Novecento. «Il desiderio singolo, pensa Astore, sta diventando inutile, ci sarà un dispositivo che desidererà per tutti. Maschio e femmina sono parole vuote».

In Siti, che ragiona sul realismo e i suoi inganni da sempre, protagonisti e sfondo si mescolano, i protagonisti sono prodotti dallo sfondo, non hanno identità romantiche da cartolina. E lo sfondo, qui, è la «rete materiale che ha imbrigliato la terra in un groviglio di hardware: caverne stipate di server, Cpu e Gpu, cloud, chip ultrapotenti, cavi terrestri e sottomarini, satelliti… Le bombe di profondità potrebbero immobilizzare il pianeta. Che cosa vuoi che contino ormai i “legami affettivi” o le congiunzioni più fantasiose tra ogni variante di sessi?».

Siti si immerge con curiosità nei linguaggi dell’ultima generazione per capire dove sta andando un mondo già diversissimo da quello che fu ipercontemporaneo in Troppi paradisi. «Astore è troppo pignolo sui dettagli per accontentarsi delle ragazze virtuali, quelle che i giapponesi chiamano “waifu”, ologrammi per fictiosessuali, troppo lisce e geometriche per essere credibili».

L’anti-consolazione

A volte mi pare che la letteratura sia ormai un parco tematico, anzi una RSA che ci conserva con l’inganno, stile Goodbye, Lenin, in un’età dell’oro lenta e vivibile, e invece fuori tutto ha una velocità e una spietatezza stritolanti. La letteratura non sta facendo davvero i conti con questa trasformazione, è un’arte per struzzi (no pun intended). Questo romanzo invece li fa, con la sua forma di zibaldone, di diario di anni di catastrofe: «Ci vorrebbero un Salinger o una Rowling della postumanità, gente che sappia raccontare le nuove storie» per raccontare la fine dell’individuo: Astore frequenta siti d’incontri e lì ci trova la riduzione ad algoritmo delle forme di seduzione: «Postano delle foto devastanti con due mele rosse all’altezza dei capezzoli (“il rosso lo indurrà a scorrere verso destra e gli farà venir voglia di matchare”, suggeriscono i siti per ottimizzare il profilo), oppure frasi come «aiutatemi, giaccio single da un’era», o «sono Regina di nome e di fatto», o «no casi umani, esentarsi (forse voleva dire astenersi) sottoni travestiti».

La cosa difficile da fare, in letteratura, non è dare indicazioni sulla vita buona, o far vivere emozioni lineari, semplificate. La cosa difficile è raccontare il mondo, non scrivere una predica. Ecco ancora il linguaggio dei social spiato da un vecchio narratore colto: «”Vi insegno come preparare le labbra per San Valentino in cinque step”, “volevo fare la guapa col mascara di Diego Dalla Palma ma la cassetta del brand non è arrivata, urghhh”, “daresti via il tuo fidanzato così la smette di schiacciarti i brufoli?”, “anche il vostro cane impazzisce quando starnutite?” … Meglio, decisamente meglio Once: lì almeno l’algoritmo di autoapprendimento consente ai matchmaker (probabilmente non umani) di proporti abbinamenti mirati».

Capite perché va citato per blocchi di pagine? Il mondo della comunicazione recensisce libri facendone blandi riassunti che non hanno niente a che fare con la loro pasta, e quindi con il livello di coraggio con cui chi scrive ha lottato col mondo per rubargli dei segreti. La soluzione secondo me è dire che il re è nudo: c’è chi ha visto davvero il mondo – e c’è chi invece ci racconta favole consolanti dove i personaggi sono nobili, integri, non ricablati da quindici anni di smartphone.

Astore è davvero un essere del futuro. Pare il figlio che farebbero una canzone dei Cani, una di Battiato e un arpeggio di synth di Caterina Barbieri a un’orgia non protetta. Durante una igienica “notte di Educazione tecno-sessuale” in un “centro controculturale alternativo che si chiama Tempio del Futuro Perduto”, Astore si rifugia in una darkroom dove «inciampa nel culo di una che sta facendo un pompino. Il cazzo gli preme contro i pantaloni di pelle, una mano gli si insinua sotto la camicia mentre la bocca gli si bagna di margarita, sente tra le labbra il vetro di un bicchiere. Una voce femminile gli bisbiglia all’orecchio: «Ti va?». «Sono contro lo sciovinismo della carne.  La stessa mano gli slaccia la cinta dei pantaloni». I due fanno rapidamente sesso, e dopo l’incontro, il narratore mostra tenerezza: «Due ragazzini spaventati da quello che hanno fatto, non vedono l’ora di ritrovarsi ciascuno a casa propria… Scappano quasi, la loro vera intimità è nel non essere arrivati al Tempio in compagnia»

Il narratore commenta: «Nemmeno io, in quanto scriba, so molto della ragazzina… Inappuntabile negli studi, ora si è iscritta alla Bocconi – ma da quando è maggiorenne si prende queste vacanze selvagge, rischia e poi si chiude in camera come certe sue compagne di liceo che si tagliuzzavano le braccia per sentirsi vive. Il sesso umiliante è una garanzia contro l’appiccicoso dell’amore, i cazzi che inghiotte appartengono a maschi che è facile sputare, essere bitch 2.0 equivale a essere vergini».

La letteratura è stata questo. Lo strumento principale di catalogazione del mondo. L’unico che poteva combinare davvero tassonomia e profondità. Oggi per letteratura si intende qualche storiella con la morale, scritta facilmente, facilmente riassumibile. Pensateci se leggete qualche pezzo in cui si dà addosso a Siti perché scrive cattiverie.

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