Tra i record che ha il merito di aver raggiunto c’è il picco di share del Festival di Sanremo, nella serata dei duetti, venerdì sera alle 21.46, quando sul palco si è presentato con Emma a cantare la canzone di Nesli, La fine.

Lazza, al secolo Jacopo Lazzarini, 28 anni, non è stupito del suo valore. Anche perché i suoi fan, accalcati in massa sotto l’Hotel De Paris, continuano a ricordarglielo intonando i suoi pezzi più famosi. Rapper di lungo corso, ha iniziato a fare “le barre” – nel gergo rap le strofe – a dodici anni nel quartiere Quattro di Milano. E da allora non ha mai smesso. Anche ora che a Sanremo ha portato Cenere, un pezzo tra il pop e la discomusic Anni 90.

Ci incontriamo per quest’intervista tra una prova e l’altra, ma in realtà la nostra conoscenza risale a qualche mese fa quando abbiamo festeggiato insieme lo scudetto del Milan, durante una visione collettiva organizzata a Casa Milan.

In quell’occasione mi aveva fermato perché al polso avevo un orologio che a lui piaceva e anche oggi, come un bambino, mi chiede di provarlo. Gli orologi e le collane di diamanti sono la sua passione ma poi, quasi timidamente, mi racconta che è solo una targa, un modo per dire agli altri di avercela fatta “queste cose qui contano fino a un certo punto”, dice.

Foto: Andrea Bianchera

Qualche giorno fa Guè ha detto che hai sbagliato a venire al Festival.

Io sono qui per lui e quelli che la pensano come lui. Per dimostrare che non ci si deve snaturare per salire su questo palco. I miei fan lo hanno capito.

Perché hai partecipato a Sanremo?

Sapere che c’è gente che non mi conosce, mi fa rabbia. Non voglio essere presuntuoso ma se il mio disco rimane in classifica 18 settimane, e poi qualcuno si chiede chi sono, non va bene. Non deve succedere.

Giusto. Il tuo album è rimasto per 18 settimane primo in classifica. Che effetto fa.

Bello perché vuol dire che arrivo a tanti. La cosa più difficile ora è mantenere questo risultato. Deve essere sempre il mio momento.

Qual è stata la curiosità più grande che avevi rispetto a Sanremo?

Vedere come un ragazzo, con la faccia tatuata, potesse fare bella figura.

Hai avuto paura la prima sera?

No. Ero centrato, mi sono sentito subito bene.

Chi altro ti è piaciuto?

Il pezzo di Mara Sattei. Da brividi.

Al tuo hanno collaborato anche Davide Petrella e Dardust, due big della musica.

Con Petrella è la terza volta che lavoro insieme. Con Dardust è la prima. Ci siamo trovati in studio per fare un pezzo, così, tanto per provare. Da lì sono nate varie ipotesi, tra cui Cenere. Ma non era la prescelta. Mi ha chiamato una mattina il mio manager Slait e mi ha detto che volevano quella.

Per il duetto hai pensato alla fine di Nesli ma non l’hai suonata tutta al pianoforte. Eppure nella tua canzone Morto mai, suoni divinamente.

Una volta ero più bravo. Ho iniziato da autodidatta. Quando ero piccolo mio nonno mi ha regalato la prima tastiera, volevo suonare la sua fisarmonica ma pesava troppo. Da lì ho iniziato a studiare seriamente tutti i classici. Ma ora non mi va.

Il suo sliding doors quando è stato?

Me lo ricordo quel film con Gwineth Paltrow. Sono un patito di film. Si sente questa cosa nei miei dischi, cito un sacco di film.

Come sei arrivato fino qui?

Sono testardo, la perseveranza è la mia caratteristica principale. Davanti ai no vado avanti. Anche oggi, a distanza di mesi sono l’artista che ha più pezzi in classifica, se non mi presento in studio per due giorni mi sento un fallito.

Esagerato.

Io tratto la musica come un lavoro di un impiegato. Di uno statale che deve timbrare il cartellino. Mi costringo ad andare, anche se non faccio niente.

Il tuo mito chi era?

Max Pezzali, un’icona fin da quando ero un bambino.

Chi volevi diventare da grande?

Mi sarebbe piaciuto diventare come mio papà. Tralasciando che delle volte fa delle uscite che solo lui può fare, è una persona rispettata da tutti. Gli vogliono tutti bene. I miei amici si presentano a casa mia anche quando io non ci sono, solo per parlare con lui. È bravo a farsi volere bene da chiunque.

Tu non sei così?

Ci sto arrivando. Alla festa del mio disco c’erano tutti. Al mio concerto a Milano c’erano tutti (tutti inteso i big del rap, ndr).

Magari molti erano lì per convenienza perché sei forte. Che rapporto hai con la strategia?

Non penso mai a che cosa mi convenga. Ci sono pezzi che ho fatto perché mi andava. Drake ha lanciato artisti che poi sono diventati famosi. E magari non valgono poi così tanto. Io magari faccio lo stesso, mai per convenienza.

Il giudizio degli altri non ti interessa?

Mai. Ho sempre fatto musica per me prima che per gli altri. Ho il disturbo dell’attenzione fin da piccolo e a esprimermi parlando faccio fatica. Per questo la musica mi ha aiutato. È la maniera migliore che ho io di parlare.

A scuola che bambino eri?

Ero curioso, volevo sempre sapere il perché dovevo fare una cosa piuttosto che un’altra.

La tua dote migliore?

L’istinto. Se a istinto sento che è la cosa giusta, lascio che succeda.

In che cosa vorresti migliorare?

Sto lavorando sul mio carattere, controllo poco le reazioni. A volte sono esagerate. Fatico a controllare lo stress. Devo prendere sempre tante decisioni e la sera, se arriva la parola sbagliata esplodo.

Per questo prima di salire sul palco non vuoi vedere nessuno.

Un’ora prima spengo il telefono, magari faccio un bagno caldo e rimango da solo. La  concentrazione inizia da lì.

 

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