Per molti bere una tazza di tè è un’abitudine mattutina come tante altre, ma per gli intenditori è qualcosa che cela una storia. Gli appassionati, infatti, analizzando le foglie e il loro sapore, possono individuare le caratteristiche del tè e capire quali sono le condizioni in cui è cresciuto perché la pianta è molto sensibile all’ambiente in cui viene coltivata. Proprio questa sensibilità la rende vulnerabile alle eccessive piogge e ai caldi intensi. Per questo il cambiamento climatico può rappresentare un grave ostacolo alla diffusione del tè, modificandone il sapore e compromettendo parte delle piantagioni.

Le coltivazioni della pianta, la Camellia sinensis, si trovano in zone differenti del mondo, con regioni caratterizzate da climi diversi. Ma l’alterazione delle precipitazioni, l’incremento delle temperature e l’instabilità dei cicli stagionali, dirette conseguenze del cambiamento climatico, hanno ripercussioni sull’integrità delle piantagioni di tutte le zone. Secondo alcuni studi, la produzione di tè potrebbe diminuire fino al 53 per cento in caso di siccità. Nelle stagioni secce, inoltre, è più probabile che le piante appena seminate non riescano a crescere. Non sono rari anche i danni causati dal gelo e dalla grandine, che hanno causato una perdita stimata di 2,7 milioni di chilogrammi di foglie di tè all’anno in Kenya.

Non solo la siccità, anche l’aumento delle temperature può seccare il terreno e provocare danni alle foglie della pianta. Se la temperatura salirà di un grado sopra alla media dei 28 nello stato indiano di Assam la resa del tè si ridurrà del quattro per cento. Assam è una delle zone chiave per l’economia del settore del paese: contribuisce al 17 per cento della produzione mondiale e produce più del 50 per cento del tè indiano, dando lavoro a circa 1,2 milioni di persone. Ma la coltivazione di questa varietà necessita di un ambiente climatico specifico, fattore che rende l’industria vulnerabile alle variazioni del clima. Non è però un problema del futuro, è in atto già da alcuni anni.

Le piantagioni di tè hanno ricevuto meno della metà delle precipitazioni necessarie durante il primo periodo di raccolto del 2021 e il 18 per cento in meno tra giugno e settembre. Di conseguenza, il raccolto è stato significativamente più basso in 81 delle 135 piantagioni esaminate. Una perdita simile potrebbe riguardare lo Sri Lanka, in cui la produzione è destinata a scendere del 4,6 per cento. Con la variazione del clima anche le zone su cui sarà possibile coltivare diminuiranno. Secondo uno studio, le aree ottimali per le piantagioni si ridurranno del 10,5 per cento entro il 2050. In generale, in tutti i principali paesi produttori di tè – India, Kenya, Sri Lanka e Cina – la siccità è diventata un fenomeno da affrontare con più frequenza rispetto agli scorsi decenni.

Aumentano i parassiti

Tra le conseguenze della variazione delle temperature c’è l’aumento di parassiti e di malattie delle piante. La zanzara del tè (tea mosquito bug) succhia la linfa dalle foglie più giovani e dai germogli, facendoli seccare in particolare durante le stagioni in cui gli alberi sono in piena fioritura. Gli studi stimano che la proliferazione dei parassiti ha colpito l’80 per cento delle coltivazioni in India, con una riduzione fino al 50 per cento dei normali rendimenti annuali.

Le conseguenze sul gusto

L’aumento delle piogge ha conseguenze sul sapore del tè e sui suoi benefici. Secondo il rapporto Reading the tea leaves. Climate change and the British cuppa di Christian Aid, l’agenzia di soccorso che lavora per lo sviluppo sostenibile, il ristagno idrico comporta la diluizione dei metaboliti secondari, che hanno doti antinfiammatorie e rafforzano il sistema immunitario. Se la pianta riceve un’eccessiva quantità di acqua i metaboliti si diluiscono e le foglie perdono qualità. «Il riscaldamento globale ha causato livelli di precipitazioni elevati in molte parti del mondo – si legge nel report –. Questi luoghi includono le principali aree di produzione del tè come la provincia dello Yunnan in Cina, lo stato di Assam e la città di Darjeeling in India».

Il tè è riconosciuto per i suoi benefici sulla salute, ma a causa delle piogge abbondanti questi potrebbero diminuire. Secondo Salena Ahmed, professoressa di sistemi alimentari sostenibili della Montana State University, i composti antiossidanti che contribuiscono ai benefici per la salute possono ridursi fino al 50 per cento con l’inizio dei monsoni.

Le conseguenze sociali

I fenomeni meteorologici intensi rappresentano una minaccia per milioni di coltivatori che vivono grazie al lavoro nelle piantagioni. Al calo dei raccolti si somma la qualità inferiore del tè, che deve essere venduto a un prezzo minore. Al contempo, per affrontare i danni causati dal cambiamento climatico, i produttori aumentano l’uso di fertilizzanti e pesticidi e investono in sistemi di irrigazione, con un conseguente aumento dei costi di produzione. In Sri Lanka, ad esempio, il tè contribuisce all’1,1 per cento del Pil e rappresenta il 15 per cento dei guadagni esteri netti. Per capire il possibile impatto del cambiamento climatico sull’economia del paese è sufficiente pensare che nel 2014 più di due milioni di persone lavoravano nell’industria del tè, pari a circa il dieci per cento della popolazione. Una situazione simile riguarda il Kenya, la cui produzione rappresenta il 26 per cento delle entrate delle esportazioni e il quattro per cento del Pil.

Non fanno parte del settore solo colossi con un’economia consolidata alle spalle, ma anche piccoli agricoltori, per cui il ricavato dalle piantagioni è l’unica fonte di reddito. Tra questi, coloro che possono subire danni maggiori, sono le donne. In India, le lavoratrici sono il 58 per cento del personale impiegate nel settore. Eppure, a causa delle norme sociali che non garantiscono equità di accesso alle risorse e ai processi decisionali, raramente sono proprietarie della terra che coltivano, fattore che le rende ulteriormente vulnerabili.

Far fronte al cambiamento climatico

Dotare gli agricoltori degli strumenti necessari per fronteggiare i cambiamenti climatici, adattando le pratiche agricole, è la chiave per garantire il sostentamento del settore. Un approccio proposto dalla professoressa Ahmed è l’agroforestazione, in cui le piantagioni da tè sono integrate con la coltura di alberi che fanno ombra, riducono l’umidità e la possibilità di gelate. Secondo una ricerca pubblicata su Nature, importante è anche la conservazione del suolo, praticata nello stato di Assam, in cui molti agricoltori coprono il terreno con il pacciame (foglie secche, corteccia e stecchi), piantano nuovi alberi per occupare le zone spoglie e garantire ombra alle piante da tè.

A supporto dei coltivatori c’è l’Ethical tea partnership (Etp), un’organizzazione che propone strategie per far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico. L’Etp agisce sia sulla mitigazione, con metodi per ridurre le emissioni inquinanti e migliorare l’efficienza energetica, sia sull’adattamento, fornendo supporto nella gestione degli impatti ambientali, economici e sociali del clima. Le proposte di adattamento variano in base alla dimensione dell’attività e al contesto sociale. In generale, una buona pratica è quella adottata nell’Assam che prevede la protezione del suolo, a cui si aggiunge il corretto drenaggio che potrebbe aumentare la resa del tè fino al 50 per cento. Fondamentale è anche coltivare colture alternative, come banane, piselli e frutti della passione. In questo modo sarà possibile diversificare le fonti di reddito e resistere all’impatto dei fenomeni meteorologici estremi.

Come dimostrano i dati, se non si interverrà tempestivamente le conseguenze saranno disastrose. Non solo peggioreranno la qualità e la quantità del tè venduto in tutto il mondo, ma sarà compromessa anche la sicurezza alimentare di molti agricoltori e delle loro famiglie, andando ad aggravare la malnutrizione e la diffusione delle malattie, che in molti paesi produttori di tè sono già a livelli critici.

© Riproduzione riservata