Milan Kundera per me è un amante (lasciatemi usare per un attimo il tempo presente). Non il mio amante, non esattamente, purtroppo la distanza anagrafica è un ostacolo, ma l’amante dell’umanità, dunque anche il mio. Kundera è l’amante dell’esistenza umana.

Esce dalle pagine, si siede sul divano, ti guarda e dice «Spogliati, dai, su». Poi dice, «Ah, figurarsi, non ti sai neanche spogliare». Però se te lo dice lui tu sai che è vero, ma soprattutto sai che non ti puoi arrabbiare sul serio, perché se ti arrabbi è ridicolo, e questa faccenda di evitare il ridicolo può sembrare una gabbia, una trappola, ma non lo è, aspetta, fidati. Ascolta. A volte bisogna ascoltare. A volte ci sono cose che si devono o non si devono fare.

Una rivoluzione

Kundera è morto, dunque è morto colui che ci ha raccolti, chiedendosi ossessivamente in cosa consistesse la nostra presenza nel mondo. Questa domanda generò poi in lui molte altre domande, e non per forza arrivarono le risposte, perché, come amava dire citando Heidegger, l’essenza dell’uomo ha la forma di una domanda (oggi ha la forma di un sondaggio, come dico spesso).

Del resto qui sta il senso dello scrivere romanzi: scriviamo per generare le domande, non le risposte. Quando scriviamo per generare le risposte siamo meccanismi di qualche totalitarismo. O forse, di questi tempi, siamo l’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale è il meccanismo di qualche totalitarismo? Ma andiamo oltre.

Qual è la rilevanza di Kundera nel nostro tempo? Di sicuro so che il nostro tempo si è molto allontanato da Kundera, e nella peggiore maniera possibile, e dunque, siccome mi piacciono le rivoluzioni, penso che leggere Kundera oggi sia più che mai rivoluzionario. (Mentre scrivo questa frase cerco di non ascoltare chi già mi urla nelle orecchie dicendo che Kundera era misogino; non posso combattere le battaglie che non mi interessano, e “Kundera era misogino!!!” è una frase contro la quale non mi interessa lottare).

La morte dell’ironia

La scomparsa di Kundera chiude un passaggio storico fondamentale: la morte dell'ironia e il proliferare della dimenticanza in cui viviamo. Sono processi che vanno avanti da anni, però oggi, in seguito alla sua morte, voglio sottolineare il punto.

Molte delle cose che lui provò a sfidare con i libri sono oggi presenti e insistentemente vive, sfortunatamente arzille. Oggi non siamo in un’epoca kunderiana perché non siamo in un’epoca che è in grado di adottare l’impianto ironico: siamo troppo occupati a ripetere i nostri slogan con la massima serietà, usando un ritmo ben scandito, in quattro quarti, e nessun inciampo.

Non siamo in un’epoca kunderiana perché dietro la ricerca di senso, che tanto strombazziamo e che ci piace affiancare alla nostra serietà di cui sopra, c’è un desiderio di annullare qualsiasi discorso in poche ore trasformandolo in polemica (social), affogandolo nella perdita di senso.

Le domande giuste

Il libro delle consoglianze per Milan Kundera a Brno, in Repubblica Ceca (Ap)

Possiamo dire molte cose. Kundera è lo scrittore della memoria e del desiderio, due oggetti distanti, ma sempre in dialogo, ed è un dialogo struggente, perché il desiderio è spesso inconsapevole, mentre la memoria è praticamente solo consapevole. Kundera è lo scrittore della lotta contro le ossessioni dell’identità. L’identità, attenzione, è di certo una necessità dell’animo umano, ma non serve a nulla, e anzi diventa follia, se non si accompagna al suo opposto, a un sano desiderio di perdita dell’identità.

Mi colpisce che proprio nel giorno della notizia della morte di Kundera io abbia letto per caso il pensiero di una pedagogista ed educatrice sessuale che seguo su Instagram (Margherita Barocci). Parlava del dolore dei giovani di oggi, diverso da un’idea precedente di dolore.

Diceva: «Per vedere questo dolore vanno cambiati occhiali: non è un dolore che trasgredisce le regole, è un dolore che rispetta le regole e tradisce le emozioni». Sembra il dolore di un personaggio soffocato dalla realtà in un romanzo di Kundera. Un personaggio affetto da una forma patologica di giovinezza.

(Kundera non è per forza uno scrittore da amare nella giovinezza, ma se lo si ama nella giovinezza si aprono presto degli spiragli interessanti, e il desiderio prende il volo, ed evitiamo di tradire le nostre emozioni, forse).

La vita è altrove, dunque le risposte sono sempre altrove, il che ci dovrebbe portare a concludere che non ha molto senso ossessionarsi, ma ha molto senso cercare le domande giuste. Molti anni fa, per un tempo lungo, ho letto Kundera in metropolitana la mattina e la sera. Non una forma di preghiera, ma una forma di interrogazione della realtà.

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