Pallavolo nostra che sei nei cieli. E nei palazzetti, nelle scuole, sui social, in tv. Lo sport per tutti. Ma degli italiani più di tutti. Ad Antalya, Turchia, il prossimo 5 maggio Paola Egonu giocherà la sua quinta finale consecutiva di Champions League. Un evento cosmico, perché l’azzurra può mettersi in tasca il quarto titolo con quattro squadre diverse. Non ci si è però concentrati abbastanza sul resto, non esattamente un contorno.

La finale femminile sarà tutta italiana: Milano contro Conegliano, il club che più di tutti è cresciuto nel corso degli ultimi anni (l’Allianz Vero Volley) contro quello che da anni vince quasi tutto (l’Imoco). Alessandra Marzari, presidente della squadra milanese, ha detto la prima bugia bianca: «Ci godiamo il momento con serenità». Ma la verità è che ci aspetta un grande show al pepe, con battute e schiacciate da orbi.

Non sarà da meno la finale maschile. Con Trento, altra big del made in Italy, che affronterà la squadra di Jastrzêbie-Zdrój, cittadina polacca al confine con la Repubblica Ceca. L’attesa è altissima, al PalaTrento hanno pure allestito un maxischermo. Il solco dell’Europa pallavolistica è insomma tracciato dall’italcompetenza, non ce n’è per nessuno.

Alessandro Michieletto - Foto ANSA

Gli scudetti

Nel frattempo, in Italia, la lotta per lo scudetto trova i suoi interpreti, le sue leggende, i suoi eroi, differenti dai protagonisti di coppa, a dimostrazione di come la varietà permetta a questo sport di essere un’eccellenza totale per il nostro Paese. In campo maschile è un affare tra Monza e Perugia, mentre per le donne è Scandicci a provare a scalfire Conegliano. Protagonista soprattutto lei: Ekaterina Antropova, 21 anni, che ha scelto l’azzurro e di dire sempre tutta la verità. «Io ed Egonu? Non è necessario essere amiche in una squadra, l’importante è lavorare per il bene comune».

La forza del movimento

A meno di cento giorni dall’Olimpiade di Parigi anche questi sono segni. Divini o no, lo vedremo. In ballo c’è il tanto agognato oro, mai vinto da una delle nostre nazionali. Intanto ci godiamo la potenza di fuoco dei club. Ma cosa renda davvero speciale la pallavolo nostrana nessuno ancora lo ha capito veramente. È un mix di progettazione e di bellezza, un percorso cominciato negli anni Cinquanta e ampliatosi con costanza nel corso degli anni, fino a oggi. Per Massimo Righi, presidente della Lega Serie A, il punto è che «siamo uno sport bello, con proprietà forti. L’obiettivo è formare società e non squadre. Abbiamo la lega più importante del mondo e questo aiuta a tenere alto il livello dello spettacolo».

Una miscela di fattori che è diventata propulsiva rispetto ai tesseramenti registrati dalla Federvolley: le pallavoliste e i pallavolisti in Italia superano quota trecentomila. Nel 2023 i tesserati erano 288.572, quindi lo scarto positivo in dodici mesi è di oltre 25.000 tesseramenti. Nel 2019, prima della lunga fase Covid, i praticanti erano a quota 322.378 (dati Coni), e scesero poi nei due anni successivi durante il letargo dovuto alla pandemia.

Paola Egonu - Foto EPA

La base è ampia, il vertice della piramide eccellente. Quello che manca, aggiunge ancora Righi, «è il riconoscimento e lo status di sport valoriale. Non a livello etico, intendiamoci, ma economico. Negli altri sport importanti le migliori leghe del mondo hanno valori giganteschi. Qui non è percepito come uno sport che può generare flussi economici importanti. Ci stiamo lavorando. Vogliamo far crescere il valore della pallavolo per avere più risorse. Anche per generare nuovi progetti per tutti».

Eppure l’interesse non manca mai. Le finali scudetto italiane, per esempio, vengono trasmesse in tutto il mondo (emittenti anche in Giappone, Sud America e Caraibi), e i numeri sui social sono al top. Da anni il volley femminile ha percentuali altissime di interazione: dal 2020 il rapporto medio di interazione tra follower e post è dell’1,45 per cento, molto vicino a quello del calcio (1,47 per cento) e più alto rispetto al basket.

La circolazione dei saperi

Anche a livello politico «abbiamo un ruolo importante, con una grande capacità gestionale, realtà super professionali e una filiera organizzativa importante», dice Righi. Vige un principio metadiscorsivo che ha preso corpo anche (ma non solo) con l’Osservatorio permanente sulla pallavolo della Federazione e con pubblicazioni che parlano del sé volleistico: “Miracolo Volley” (2018), “Il Campionato più bello del Mondo: un’analisi statistica della Superlega 2018-19” (2022) e “Il volley Azzurro sul tetto del mondo” (2023).

Ma quello della pallavolo è tutt’altro che un mondo chiuso. Le competenze circolano, come nella scienza. All’ultimo Europeo c’erano otto allenatori italiani su altrettante panchine. E di coach, tattici e manager nostrani se ne trovano in lungo e in largo. Il fatturato della Serie A di volley raggiunge però quota 90 milioni di euro, una lega come l’Nba l’anno scorso ha raggiunto i 10 miliardi di dollari. E miliardi fatturano il cricket in India o l’hockey negli Usa. Il paradosso della pallavolo italiana sta lì: un mare di praticanti e tesserati, successi in campo nazionale e internazionale (il volley maschile ha portato a casa 19 Champions League, quello femminile 17), ma una capacità limitata di produrre valore. Un problema comune ad altri campionati di livello assoluto (la Polonia e la Turchia su tutti) e che la politica del volley sta cercando di risolvere.

Julio Velasco - Foto EPA

Il traino e le nazionali

Silvano Prandi, 76 anni, il Professore, l’uomo che per primo portò all’Italia una Champions del volley (nel 1980, con Torino) e la prima medaglia olimpica (bronzo, 1984), entrato nella Hall of Fame internazionale, da dieci anni allena in Francia. Sostiene che «manca un traino mondiale». Ma ci stiamo arrivando: «C’è un grande fermento, negli Usa stanno nascendo leghe professionistiche, molti ci andranno, e questo aiuterà».

Dentro a questa cornice si collocano le nazionali: quelle giovanili (che hanno vinto di tutto e in tutte le categorie) e quelle maggiori, la maschile di Fefé De Giorgi e la femminile di Julio Velasco. Prandi non ha dubbi: «Le nostre squadre saranno protagoniste a Parigi 2024». Il tarlo è però sempre lo stesso: l’oro olimpico. Se la squadra maschile (campione del mondo e vice campione d’Europa in carica) vi si è avvicinata tante volte (2ª ad Atene 2004 e a Rio 2016), per la femminile sarà un’occasione eccezionale. Mai andate oltre il quinto posto nella loro storia, le azzurre sentono che questa può essere la volta buona.

Le componenti ci sono tutte. È la Velasco band, tra Egonu e Antropova, tra Orro («A Parigi per una medaglia, l’Italia è stata costruita per vincere») e Sylla, un gruppo eterogeneo da cui tutti si aspettano un exploit anche per via del grande maestro seduto in panchina. Per una vita Velasco ha inseguito l’eldorado olimpico con i maschi, e adesso potrebbe raggiungerlo con le donne. Paradossi dello sport.

«Julio sarà un valore aggiunto», dice ancora Prandi, «ma quella dell’oro olimpico non è un’ossessione, la pallavolo italiana ha un suo sviluppo indipendentemente da questo. Manca, è vero. Ma è più un dato statistico. Non condiziona la crescita del movimento». D’altra parte la pallavolo non si progetta a tavolino: si fa, un po’ come la poesia.

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