Quali sono le ragioni per cui i racconti in Italia quasi non vengono più pubblicati? Perché i grandi editori li rifiutano e i piccoli editori, sempre che li pubblichino, lo fanno come accompagnassero a fare una passeggiata dell’isolato un anziano con il girello? Si dice che i racconti non vendano. Che non abbiano lettori. Certo, qua e là il racconto ancora si pubblica e talvolta persino si premia, ma senza mai prenderlo sul serio, sempre rammaricandosi del fatto che quell’autore pure di talento non abbia scritto un nuovo romanzo, anzi trattandolo con lo stesso zelo d’infermiere con cui si accarezzerebbe un gattino malnutrito spelacchiato.

Teoria cospirativa

Ora, esiste una teoria, accreditata da testimonianze illustri e dichiarazioni d’alto rango seppure rilasciate anonimamente, che spiegherebbe una volta per tutte la ripulsa con cui gli editori, grandi o piccoli che siano, trattano le raccolte di prose brevi. E si scopre così che non è né per negligenza né per neghittosità che le case editrici italiane hanno ormai smesso di pubblicare i racconti dei loro concittadini. Ci sarebbe, invece, un complotto nazionale che da più di vent’anni segretamente confabula affinché i racconti non siano pubblicati. Lo hanno recentemente confessato alcuni editor, senza dichiarare le loro generalità e omettendo il nome delle aziende per cui lavorano. Da oltre due decenni, dunque, una macchinazione sotterranea, sconosciuta anche a molti professionisti dell’editoria, sta orchestrando a favore della scomparsa della narrativa breve.

È il “complotto contro i racconti”, così la chiamano nei corridoi delle case editrici più prestigiose d’Italia: da anni se ne bisbiglia, e ora ha trovato le conferme che ne suffragano la veridicità. Si tratta a tutti gli effetti di una congiura che mira a far sparire i racconti dalle collane editoriali, ed è un progetto talmente segreto che non gli è mai stato assegnato un nome, neanche in codice. La prima conferenza dei congiurati si tenne nel dicembre del 1996 in un albergo sulle rive del Lago Maggiore. Si scelse il versante svizzero per appagare il desiderio di misteriosità avanzato da un buon numero degli invitati. Da allora si incontrano tutti gli anni, sempre a ridosso della fine dell’anno: ci sono cento professionisti dell’editoria e una decina di romanzieri complici, soprattutto tra i giallisti.

Intenzione malevola

Da quel primo appuntamento del dicembre di venticinque anni fa, un’occulta confraternita lavora quindi alla scomparsa dei racconti. E scoprire quale sia la motivazione nascosta a questa cospirazione è una sorpresa persino più inquietante e seducente dell’intera vicenda. Sono stati gli editor pentiti a raccontare quale sia la ragione che spinge il gotha dell’editoria italiana a escludere i racconti delle loro pubblicazioni. L’intenzione malevola, l’inganno degli editori che stanno artatamente scartando i racconti dai loro cataloghi sarebbe infatti in gran parte giustificata dalla gelosia dei loro funzionari più anziani che vorrebbero, da esimi adoratori della letteratura breve, appropriarsi dei racconti migliori unicamente per loro, senza doverli condividerli con nessun altro al di fuori della loro ristretta enclave.

Sono un centinaio di happy few che nell’intimità dei loro salotti leggono i libri che in pubblico rifiutano di pubblicare. Dai loro uffici spediscono lettere di rifiuto agli autori delle raccolte di racconti, poi, quelle stesse raccolte, tra le mura di casa se le leggono in santa pace. Soltanto negli ultimi anni i dirigenti prossimi alla pensione hanno iniziato a istruire le nuove leve sulle regole del complotto; prima di allora nessuno di loro osava parlare di questo progetto segreto. In un aforisma del polacco Stanislaw Jerzy Lec si legge che prudenza vorrebbe che non si parli di corda né in casa dell’impiccato né in casa del boia. Per la stessa cortesia, come non lo si fa al cospetto di uno scrittore, anche negli uffici delle case editrici italiane non si proferisce la parola racconto. Neanche a voce bassa. Neanche senza testimoni.

Definirli una setta è troppo, chiamarli custodi di una collezione privata è troppo poco. Se la teoria del complotto trovasse ulteriori conferme, avremo finalmente la sicurezza che non pubblicare le raccolte di racconti è una scelta che appartiene a un ambito esoterico e non obbedisce a ragioni editoriali specifiche. Gli editori adorano i racconti a tal punto che non accettano di spartirli con i loro lettori abituali. Ecco tutto.

Cassaforte inavvicinabile

C’è però ora da dire dove vengono trasferiti i racconti che a centinaia di migliaia arrivano tutti gli anni nelle case editrici. Stando ai racconti dei pentiti sembra che già in occasione del primo incontro avvenuto sul Lago Maggiore fu individuato il luogo perfetto in cui far sparire i dattiloscritti. Trovarono presto l’accordo per la sistemazione. È così che a metà degli anni Novanta gli editori hanno iniziato a catalogare le raccolte di racconti rifiutate, in un gigantesco hangar, un caveau illuminato dai neon, scavato nell’hinterland milanese. Per tenerli lontani da noi e dalla nostra curiosità. Hanno rinchiuso i racconti in una biblioteca infinita e senza ordine alfabetico. Un complesso sotterraneo di stoccaggio costituito da una serie di tunnel scavati nella pietra più dura a dieci chilometri di profondità.

Questa enorme struttura nelle loro intenzioni dovrà resistere per almeno trecento anni e dovrà tenere i licheni e gli insetti lontani dalla carta. Si tratta in tutto e per tutto di una cassaforte tra la terra e la pietra che sarà inavvicinabile. Per l’umanità che lo troverà tra qualche centinaia d’anni sarà difficile capire cosa si trovi laggiù, occultato in un hangar immenso. Hanno discusso se approntare una segnaletica che spiegasse cosa vi fosse lì sotto – in quale lingua o avvalendosi di chissà quale simbologia – o se al contrario fosse preferibile nascondere ogni traccia per evitare che qualcuno riporti alla luce quel loro patrimonio esclusivo.

I racconti, insomma, sono scomparsi, ormai beni di lusso destinati a una cerchia di illuminati che la sera nelle loro case invece che leggere i romanzi pubblicati preferisce intrattenersi con racconti inediti. Una vignetta del New Yorker Magazine di qualche settimana fa recitava: «I only believe in fun conspiracy theories». Credo solo nelle teorie cospirative divertenti. È abbastanza divertente, questa teoria cospirativa, per crederci? O invece una congiura decisa a impedire la pubblicazione della narrativa breve, è un intrigo tutt’altro che allegro e su cui non sarebbe il caso di scherzare?

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