- È una somma esplosiva di addendi che produce un risultato abbastanza inedito; unita al fattore Netflix, che ha cambiato la percezione generale e ha “de-Raizzato” il prodotto.
- L’hype e la coolness che ha generato – perché anche Mare fuori ce l’ha fatta, alla fine: che forse è pure meglio – vengono tutti da un posizionamento che non era previsto.
- II fenomeno è dilagato, il mare è fuori per davvero, i ragazzini tamarri e le professoresse democratiche sono uniti per la prima volta, e non dormono la notte, arrovellati dinanzi alla domanda: Carmine sarà morto?
Fa uno strano effetto parlare di Mare fuori a bocce ferme, diciamo così, cioè ora che, almeno per un po’, è finito tutto. Sta per partire il set della quarta stagione, la prima che arriverà come colosso già trasversalissimo, come fenomeno partito piano piano e arrivato a pigliarsi tutt chell che è ’o suio (ma questa era un’altra storia, pardon). Un perfetto “dark horse”, direbbero altrove, il ronzino che parte svantaggiato e poi, sorpresa!, vince la corsa.
È successo per ragioni varie, che proverò qui a spiegare, ma soprattutto per destino: anche se ci crediamo un paese di “Prestige Tv” moriremo spettatori di fiction, o per meglio dire di sceneggiati (dei tempi democristiani, appunto). Mare fuori, ed è questa la sua prima virtù (o quantomeno la prima ragione a motivarne il boom), è, in un tempo in cui tutti arrivano sul tal network o la tal piattaforma subito avvolti da un hype e da una coolness solo “presso sé stessi”, uno sceneggiato popolare orgoglioso di essere tale. Un prodotto (scusate la parola) pensato fin dal principio senza essere null’altro rispetto a quello che è: una fiction di Rai 2.
Il che già segnala il primo (fortunatissimo) errore: il maggior successo recente a targa Rai Fiction – almeno nell’immaginario e nella percezione larga – non è stato prodotto (o voluto?) dalla rete cosiddetta ammiraglia, ma dal secondo canale che, negli ultimi anni, arrancava per ascolti e, appunto, percezione del pubblico. Però c’è un’altra questione non secondaria: per tutti, oggi che è esplosa presso ogni tipo di pubblico e ogni propaggine social, Mare fuori non è “la serie di Rai 2”. L’hype e la coolness che ha generato – perché anche Mare fuori ce l’ha fatta, alla fine: che forse è pure meglio – vengono tutti da un posizionamento che non era previsto. Mare fuori è diventato “il fenomeno Mare fuori” grazie e su Netflix.
Molta gente persino addetta ai lavori (o presunta tale) che conosco pensa che sia addirittura un titolo originale Netflix, anche se stava su RaiPlay da tre anni buoni. Però questo è il potere – l’egemonia – della Piattaforma, detto alla Boris 4: creare fenomeni “in house” anche quando non lo sono, per nuovo “generalismo”, che ora sta certamente più su questi servizi di streaming che nei canali classici; e pure per inerzia dello spettatore/fruitore, che clicca su ciò che l’algoritmo comanda.
Una serie per tutti
Così, dunque, è avvenuto il boom di Mare fuori, «una serie che possono vedere insieme genitori e figli, e poi parlarne», mi dice un’amica Rai che in effetti centra un altro punto chiave del successo in questione. Mare fuori è un teen che non è un teen, un “drama” (come si dice in gergo) che però non è strettamente confezionato per un pubblico adulto, e, in definitiva, una grande soap che gomorrizza i territori di Un posto al sole (negli anni già gomorrizzati) però rivolta non soltanto alle casalinghe o quel che ne resta. È una somma esplosiva di addendi che produce un risultato abbastanza inedito; unita al fattore Netflix, che ha cambiato la percezione generale e ha “de-Raizzato” il prodotto. (Per poi, come dicevo, ridare coolness di ritorno alla Rai: dopo l’allargamento della platea grazie alle stagioni 1 e 2 finite per l’appunto su Netflix, la terza stagione è uscita in esclusiva su RaiPlay prima ancora che su Rai 2, facendo diventare RaiPlay la piattaforma più figa in quel momento, e generando un record di visualizzazioni. Pure questo mi pare un caso abbastanza inedito.)
In tutto ciò, c’è LA storia. Che è anch’essa un mix di molte cose, molti temi. Vado a memoria: ovviamente il carcere minorile, e il bullismo, la politica che arranca, le famiglie ricreate o surrogate, la camorra, la vendetta, la musica, il “gruppo”, Napoli, il riscatto, i casi ispirati alla cronaca, il “coming of age”, Nord vs Sud, l’amicizia (e il sottoinsieme: l’amicizia virile), e naturalmente Amore e Morte, intrecciati fino al finale sospeso della terza stagione, che non spoilererò (anche se tutti voi che fate i colti e leggete queste pagine l’avete visto, confessatelo).
Gli elementi essenziali
Tiro fuori gli elementi essenziali: Napoli, la musica, il “gruppo”. Napoli è, da Gomorra (la serie) in poi, lo scenario che ha caratterizzato la serialità nostrana corrente. Mare fuori ne è la consacrazione pop definitiva e anche giovane, una nuova paranza dei bambini (vabbè, adolescenti o subito post) in chiave però meno auteur e più nazionalpopolare. Napoli è lo sfondo che unisce l’istituto di correzione minorile e i bassi criminali, ma anche Posillipo, il Vomero, le gite alla Gaiola, e pure la città piccolo-medioborghese che fa da sfondo alle vite dei funzionari del carcere. Una Napoli anch’essa trasversale, larga, meticciata, che mischia i vicoli dei Quartieri alle terrazze vista Golfo, i delinquenti e i borghesi specchiati, e che guarda al Nord come fosse sempre il baluardo della ricchezza “old style”. (Quando la zingara Natidza/Valentina Romani finisce nella casa di famiglia di Filippo “Chiattillo” Ferrari/Nicolas Maupas, il milanese “bene” finito per motivi che probabilmente saprete nella casa di correzione napoletana, si trova in un appartamento vista guglie del Duomo, come se i ricchi milanesi vivessero tutti accanto alla Rinascente – ma quando mai, e però simbolicamente va benissimo così.)
Napoli, e si arriva al secondo elemento, è anche la sua musica. C’ho sotto casa, qui a Milano, un posto che fa il karaoke all’aperto tutti i venerdì sera: da qualche settimana immancabile tra le hit cantate a squarciagola è ’O mar for, la title track by Stefano Lentini, Matteo Paolillo e Lorenzo Gennaro che al momento si sente, mi dicono, in tutti i locali “per gggiovani”, che è passata anche al Concertone del Primo Maggio, e che è diventata una sorta di “anthem” nazionale. È la parabola dei ragazzi “crisciut miezz a vie” che “so l’omm e cas” perché “patm sta carcerat”, ma in fondo si risolve tutto con un “nun te preoccupa’ guaglio, c sta ’o mar for”. Matteo Paolillo – il suo nom de plume da cantautore trap-neomelodico è Icaro – è anche, lo saprete, uno dei protagonisti della serie, cioè Edoardo Conte, colui che ha preso il posto del villain lasciato vacante (per morte violenta in carcere) dal fu little boss Ciro (Giacomo Giorgio). Ha varie hit come cantante, l’ultima Origami all’alba, che pure viene da Mare fuori. Stefano Lentini è il compositore di tutta la colonna sonora della serie, di cui fanno parte altre hit come Tic toc - Non è andata così e Ddoje mane, entrambe cantante da Raiz degli Almamegretta, anche lui qui attore, anche lui nel ruolo di un boss della camorra. Paolillo ha, nel momento in cui scrivo, 2 milioni 579mila ascoltatori mensili su Spotify, Lentini 1 milione 519mila. ’O mar for ha, sempre su Spotify, un totale di 35 milioni 536mila ascolti.
Terzo elemento, il “gruppo”. Che è sì il gruppo di ragazzetti protagonisti, ma anche un manipolo di attor giovani che ha creato un nuovo star system. Mia nipote, 12 anni, è pazza di Paolillo; ma pure una mia amica – quarant’anni e qualcosa, intellò di sinistra che fino all’altro ieri guardava solo la suddetta Prestige Tv made in USA – ha perso la testa per lui e per la serie “napulitana”. E poi i citati Giorgio, Maupas, Romani, che ora ha preso appunto la strada del cinema dei grandi, addirittura morettiano; e Massimiliano Caiazzo (Carmine), il Romeo che Forcella si può permettere, nell’ultima stagione invischiato nell’amore impossibile per Rosa Ricci (Maria Esposito), figlia del boss (Raiz appunto) del clan rivale (anche se Carmine ovviamente ha scelto di abbandonare la, diciamo così, azienda di famiglia).
La nuova serie
E poi Artem (scoperto dalla Paranza dei bambini di Saviano/Giovannesi), Domenico Cuomo, Clotilde Esposito, li trovi tutti nei cast dei “prossimamente” al cinema o in tv, e fra ospitate, stories Instagram, ingaggi di brand, tutti li vogliono, tutti li taggano. Ma Mare fuori ha riacceso presso il grande pubblico pure le carriere dei più adulti del cast, nomi come Carmine Recano e Antonio De Matteo, nuovi sex symbol fra le spettatrici (e gli spettatori) più âgée, e poi il bravo Vincenzo Ferrara, tutti con esperienza cine-teatrale alle spalle e ora eroi patri grazie ai loro personaggi di commissari/educatori che chiudono sempre un occhio di fronte alle fughe dei delinquentelli; fino alla sempre amata Carolina Crescentini, già diva divisa fra grandi autori e cult alla Boris e ora icona anche giovane, con la parte dell’inflessibile direttrice dell’istituto; ruolo che ha lasciato alla magnifica Lucrezia Guidone, tanto teatro con Ronconi, poi cinema, fino alla serialità larga con Summertime e Fedeltà, e ora, appunto, il colosso popolarissimo del primo canale.
Che verrà ora? Il set della quarta stagione è qui, tutto è blindatissimo, ogni testata vuole mungere la vacca grassa (anche per i clic e i like dei lettori) e la produzione fa muro, bisogna attendere l’anno prossimo (o la fine di questo?), quando la nuova serie uscirà (prima sempre su RaiPlay?). Intanto il fenomeno è dilagato, il mare è fuori per davvero, i ragazzini tamarri e le professoresse democratiche sono uniti per la prima volta, e non dormono la notte, arrovellati dinanzi alla domanda: Carmine sarà morto? Partono, nella testa, le note di ’O mar for, l’Italia da Sud a Nord è finalmente un paese solo, “nun te preoccupa’ guaglio, c sta ’o mar for”.
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