Finalmente giocano sotto lo stesso cielo. E con addosso la stessa maglia. Nei Paesi Baschi l’ira si è attenuata: non si tifa per la Spagna, ma nemmeno ci si scaglia contro. Non è amore, ma almeno non c’è odio. Una bella differenza. Lo squarcio tra le nubi lo hanno aperto i giovani baschi della Roja impegnati a Euro 2024. Otto calciatori sui ventisei in rosa, non pochi. Soprattutto perché sono loro i leader della squadra che stasera affronterà la Germania nel quarto di finale più incerto e bello della manifestazione. Da Nico Williams a Unai Simon, figli della Real Sociedad, dell’Athletic Bilbao. Más que un club, un’identità. E più che una nuova tendenza, questa assomiglia a una rivoluzione culturale, un modo diverso di guardare le cose.

Ne ha tracciato un profilo il New York Times con un reportage sul posto. «Sta diminuendo il rifiuto dei Paesi Baschi verso la squadra di calcio spagnola?», si è chiesto il quotidiano americano. Risposta: l’indifferenza c’è, si vede ancora, quasi nessuno ha la bandiera spagnola alle finestre o sui balconi. Non è detto che la partita della Roja la trasmettano in tutti i bar di Bilbao. Però qualcosa è cambiato, l’atteggiamento nei confronti della Spagna è diverso. Il merito è delle star del ct Luis de La Fuente che piacciono perché trascinano, corrono, danno spettacolo. Con loro le nuove generazioni esultano, nessuno si senta escluso. Mentre genitori e nonni vogliono che la squadra perda, la generazione Z, quella digitale, quella sempre connessa, non capisce più i motivi della lotta. È cresciuta senza l’Eta, senza l’orrore e le bombe. Sentono di poter essere baschi e spagnoli. Anche nello stesso tempo.

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La politica della Francia

In Francia la politica ha spaccato lo spogliatoio. Dicono che l’aria non sia la stessa che si respirava ai Mondiali in Qatar o a quelli in Russia, qualcosa non va. Non sembra un problema di ideologie, ma il modo di affrontare le richieste della stampa. Tutto è cambiato quando Dembélé ha detto che «bisogna andare a votare». A quel punto sono scattati gli allarmi. I giornalisti hanno colto al volo le prime parole di un giocatore della selezione francese sul partito di Marine Le Pen. Marcus Thuram ha incalzato, e soprattutto Kylian Mbappé ha fatto il resto. «Sono contro gli estremismi, invito i giovani a votare», ha detto il capitano dei Bleus.

«La politica è molto seria ed è abbastanza privata. Sono qui come calciatore e non devo usare la mia fama. Bisogna andare a votare, sì», ha invece controrisposto Griezmann. Prese di posizione che hanno fatto il giro del mondo e ovviamente sono arrivate anche dentro il ritiro della Spagna. Hanno fatto bene a parlare di politica?, hanno chiesto ai giocatori spagnoli in conferenza stampa. Unai Simon si è tenuto sul vago: «Mbappè è una persona con un grande impatto sul mondo e sulla società. Noi tendiamo a dare la nostra opinione su determinati argomenti quando non so se dovremmo. Sono un calciatore e dovrei parlare solo di argomenti sportivi». Ma non si vive in compartimenti stagni, la società è più grande. Infatti i baschi gli hanno ricordato sui social di quel 1976, quando Kortabarria e Iribar portarono l'ikurriña, la bandiera simbolo dei Paesi Baschi, al centro del campo dell'Atocha prima del derby basco Real Sociedad-Athletic Bilbao. L'ikurriña era stata vietata da Franco, appena morto: «Oggi – hanno scritto – Unai Simon, con la sua falsa neutralità, si schiera di fatto a favore dell'estrema destra. Non dovrebbe mai più giocare per una squadra basca in vita sua».

La scena politica nei Paesi Baschi

Ad aprile il Partito nazionalista basco, in alleanza con il partito socialista, ha perso quattro seggi. E la sinistra indipendentista di Bildu, erede dell’ex braccio politico dell’Eta, a tredici anni dalla fine della lotta armata, lo incalza. Dal voto è emerso il Parlamento più «sovranista basco» della storia e Bildu, che ha conquistato i giovani non ancora nati negli anni delle stragi, spingerà il Pnv chissà dove. Tuttavia, i giovani baschi sanno anche guardare altrove. E il calcio, come sempre, è uno strumento, una bussola per capire la direzione. È nei più giovani che prevale la passione per una nazionale piena zeppa di giocatori da amare.

A cominciare da Nico Williams, simbolo del Bilbao. I suoi genitori attraversarono a piedi il deserto, la madre era incinta di Iñaki, il fratello maggiore. I due giocano insieme nell’Athletic, sono l’orgoglio nazionale basco. Anche de La Fuente, che è nato ad Haro e fa accendere un cero prima di ogni partita, è un basco acquisito. Ha giocato undici anni proprio con la maglia del Bilbao e da quelle parti lo adorano. Tutti ci credono, spagnoli e baschi. Una vittoria contro la Germania di Toni Kroos (per lui potrebbe essere l’ultimo ballo, il centrocampista del Real Madrid a fine Europeo si ritira) non farebbe che aumentare l’amore verso questa squadra piena di mix e di contraddizioni.

L’EurolegaUn’utopia solo fino a pochi anni fa. Il calcio non c’entra. Non sempre, almeno. Nel 2019 ci furono proteste per le finali di Eurolega di basket. «Questa non è né la Spagna né la Francia. È il Paese Basco». «Autonomia nei Paesi Baschi». «Euroleague Mafia». Erano solo alcuni degli slogan dei contestatori contro l'organizzazione della final-four di Gasteiz. «Non ci interessa un evento sportivo gestito sotto la bandiera della Spagna e che nega la nostra identità nazionale», diceva il comunicato di protesta. Intanto le autorità imponevano il divieto di manifestazioni nel centro storico della città. Nel 2020, quando Bilbao fu candidata come sede per l’Europeo itinerante poi vinto dall’Italia, il deputato generale di Bizkaia, José Luis Bilbao, dichiarò che se la squadra di calcio spagnola avesse giocato allo stadio San Mamés ci sarebbe stato «un problema molto serio di ordine pubblico e di sicurezza dei cittadini». Per poi aggiungere che sarebbe stato necessario uno spiegamento dei «carri armati in strada». L’emergenza sanitaria legata al covid portò l’Uefa a fare dietrofront (pagando anche un indennizzo di 1,3 milioni di euro), e alla fine fu scelta Siviglia. Oggi la nazionale spagnola, quella piena di baschi, la guardano un po’ tutti. Chi con indifferenza, chi con un sorriso. L’importante è fare festa.

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