Quest’estate due pezzi del New York Times sull’Italia hanno finito per riscaldare gli animi già provati dalle temperature record, e per un motivo uguale e opposto. Il macrotema è lo stesso: l’overtourism, che anno dopo anno si allarga sulla penisola, minacciando ogni borgo appena più pittoresco della media.

Se da anni gli studiosi più attivi sul tema denunciano gli aspetti negativi della turistificazione eccessiva delle città, oggi la riconosciamo come il pesce in quel saggio di David Foster Wallace che non si è mai accorto dell’acqua finché qualcun altro non gli ha chiesto com’era. E l’acqua in Italia è sempre più calda, e affollata.

Al centro del fenomeno, nel nostro paese c’è spesso uno degli elementi che più ci caratterizza nell’immaginario collettivo: prodotti gastronomici e piatti tipici. 

Dalla mortadella al fusillo

La giornalista Ilaria Maria Sala ha raccontato sul Times di come Bologna, la sua città natale, da meta tutto sommato di nicchia negli ultimi anni si sia ritrovata invasa da turisti («I voli low cost, gli affitti brevi e i social media hanno cambiato tutto»), e sempre più legata a uno dei suoi prodotti più tipici, la mortadella. Sempre più negozi indipendenti hanno chiuso durante la pandemia, lasciando spazio ad antiche salumerie che, come racconta Sala, sono catene e non così tanto antiche.

Il sindaco di Bologna Matteo Lepore ha risposto con un post su Facebook, in cui si è detto indignato per la rappresentazione della città come un «magnificio di mortadella», ha evidenziato i punti di forza e le eccellenze come la Cineteca, e ha riconosciuto che ci sono zone come via Orefici decisamente turistificate, ma da «sindaco progressista» è sua intenzione tutelare il patrimonio non solo gastronomico del territorio.

I problemi sollevati dall’articolo non riguardano soltanto l’utilizzo sfrenato di un prodotto identitario, e sono stati ripresi anche da Lepore nella sua risposta: come in (molte) altre città italiane, gli affitti brevi hanno tolto dal mercato immobiliare gli appartamenti per studenti, portando a un aumento degli affitti insostenibile.

Basti pensare che le immatricolazioni nell’anno accademico 2023/2024 sono state circa 26mila, con una flessione in negativo degli studenti che arrivano dal sud Italia, calati del 15 per cento: il rettore Giovanni Molari ha detto all’edizione locale del Corriere della Sera che questa diminuzione è, in parte, dovuta proprio al costo degli alloggi. Nel frattempo, sotto l’articolo condiviso dal New York Times, alcuni commentano piccati: agli europei fanno schifo i soldi? Preferiscono tenersi le loro «economie stagnanti» invece di accogliere i turisti?

In certi casi, in effetti, sì. All’inizio della stagione, un altro articolo della testata statunitense, questa volta sulle bellezze nascoste del Cilento, aveva sollevato numerose preoccupazioni. La giornalista Nina Burleigh era approdata nella regione armata di una guida intitolata Secret Campania: nel pezzo racconta le nuotate nella baia, i giri con la sua Fiat Panda, le rovine storiche.

La zona, scrive, non è popolare come Capri e Positano, eppure «qui lo stesso sole e lo stesso mare si possono trovare a una frazione del costo». I commenti degli italiani sotto il post di Instagram del giornale erano sul tenore: «Non prendeteci anche il Cilento». «Dopo la pandemia ho visto un aumento del turismo di prossimità, quello esperienzale, in alcune zone più interne del Cilento», spiega Claudio Sannino, guida ambientale escursionistica di Metadventures, un’agenzia che organizza viaggi ecosostenibili. «Allo stesso tempo vedo che i paesi sulla costa sono proprio saturi, sono in difficoltà a gestire il numero di visitatori».

Per Sannino, il rischio che vivono le località della costa è di essere considerate «interscambiabili», dove ogni specificità viene persa in nome della vacanza «mare, musica, discoteche».

Nell’interno, tra borgo e borgo cambiano dialetti, tradizioni: il flusso di turisti lì è ancora basso, e si riescono a organizzare attività con gli abitanti del posto. «Con delle signore di Felitto abbiamo preparato il fusillo tipico, di questi tempi c’è anche la sagra». Ma il timore che pure le tradizioni finiscano per diventare solo un prodotto da commerciare rimane. Soprattutto man mano che feste di paese e sagre diventano sempre più frequentate da visitatori. 

Pochi giorni fa, è toccato anche a un’area della Sardegna considerata remota dai viaggiatori d’oltreoceano, il copione è lo stesso. Pezzo del New York Times che ne cita le meraviglie, gli abitanti preoccupati che chiedono di non essere invasi. Ma grazie ai social, ogni scoperta si può diffondere in modo esponenziale in ogni caso.

I casi scuola

Prima di Bologna, prima delle regioni «nascoste», c’erano le spiagge salentine prese d’assalto, le Cinque Terre che adesso non piacciono nemmeno più agli influencer, come il duo statunitense The Dorcys che si è lamentato proprio per la ressa. E c’erano le città d’arte: Firenze, Venezia, oggi portate come caso principale contro il turismo.

La creator di origine canadese @almostfiorentina, che vive a Firenze da diversi anni, ci lavora e ha comprato lì casa, e spesso condivide sui social il suo amore per la città, recentemente ha condiviso sul suo profilo l’idea di trasferirsi. Ha dato alcune motivazioni, e una di quelle era che Firenze era troppo piena di gente: «Mi dispiace, perché prima di essere residente ero turista anche io. Ma in centro non ci si può andare», spiega in un video.  La popolazione è di circa 360mila abitanti: secondo l’Istat, nel 2022 sono passati per le strutture ricettive della città più di sette milioni di persone, almeno 20mila turisti al giorno.

E poi c’è Venezia, caso scuola dell’overtourism. Il numero di chi risiede effettivamente sull’isola è sceso sotto i 50mila. Se si considera che nel 2022, per l’Istat, i visitatori erano quasi 11 milioni, vuol dire che ogni giorno più della metà degli effettivi residenti affollava le calli, famosamente strette, della città lagunare.

Quest’estate è stato introdotto il biglietto d’ingresso di cinque euro e l’obbligo di registrazione per arginare il turismo cosiddetto mordi-e-fuggi, quello che incastra in una giornata tutto il visitabile e non si traduce in guadagni per alberghi e simili. La misura è stata osteggiata con gli ormai celebri striscioni «Venezia non è Disneyland». Per il momento le casse comunali sono state rimpinguate, ma il disincentivo non è stato così dirimente nel far diminuire i flussi turistici.

Flussi turistici che a Venezia, come a Napoli o in Sicilia, spesso vogliono nutrirsi di alcuni prodotti specifici diventati famosi anche all’estero. Così le cicchetterie diventano ubique nella laguna veneta e le friggitorie partenopee si moltiplicano. 

Le misure

Ansa ha condiviso un report di Jfc per cui il 49 per cento degli italiani è favorevole a misure che limitino il turismo. Oltre all’aumento di tasse di soggiorno e al ticket veneziano, le diverse città e le località marittime più frequentate si sono organizzate con slot di prenotazioni, prezzi aumentati per l’accesso ai lidi.

In questo modo, le maglie andrebbero a intrappolare i turisti con minore disponibilità economica o quelli che, come scrive anche il Post nell’analizzare le possibilità di un turismo sostenibile, non possono permettersi di viaggiare fuori stagione perché vincolati da obblighi lavorativi e famigliari.

All’estero c’è chi prova a premiare i viaggiatori «buoni», che collaborano con la comunità, come a Copenaghen, e c’è chi, come a Barcellona, preferisce lanciare un messaggio chiaro a suon di pistole d’acqua sulla folla. In Italia, ci sono dei creator che condividono i loro posti preferiti senza il geotag, o chiedendo alle loro community di non andare in massa per non rovinare il luogo.

Una preghiera che ricorda quelle sotto i post del New York Times o della testata di turno che ha scovato un tesoro. Solo che, senza una cultura che tenga conto degli abitanti e delle identità dei luoghi, nascondersi non serve a niente.

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