Lo sport va di fretta, cambia, elimina quella che era una delle sue caratteristiche, il fascino dell’attesa: un evento dopo l’altro, senza sosta, nell’anticipo continuo di quel che verrà. Gli atleti guadagnano e allora meritino i loro guadagni, dicono i padroni del circo. Oggi e domani, in poco più di ventiquattro ore, e a meno di 100 giorni dalla fluviale cerimonia di apertura di Parigi, l’atletica offre un antipasto che equivale a un pranzo in un ristorante stellato, andando a poggiare su tutte le sue dimensioni: pista, pedane, strada, marcia.

Il compito di aprire tocca a Xiamen, città costiera della Cina meridionale, un tempo, quando era una delle zone franche in mano al commercio britannico, nota come Amoy. È l’apertura della Diamond League, finanziariamente sostenuta dal Wanda Group dai giganteschi interessi in campo immobiliare, alberghiero e della vendita al dettaglio, uno dei serbatoi (cinesi) da cui può attingere World Athletics, la federazione internazionale che pochi giorni fa ha voluto tracciare un segno indelebile: 50.000 dollari da consegnare a ogni campione olimpico di Parigi, per un totale di 2.400.000 dollari di premi. È la prima federazione a far questo passo e a sentire il presidente lord Sebastian Coe, è soltanto la premessa: a Los Angeles 2028 un assegno toccherà a tutti e tre gli occupanti del podio. Non è un mistero che Coe corra per il trono del comitato olimpico internazionale e questa può essere una mossa nella complessa strategia per la scalata.

Sebastian Coe - EPA

Le scarpe dei miracoli

I tempi in cui pochi dollari rimediati giocando a baseball (Jim Thorpe) o rimborsi spese troppo generosi (Paavo Nurmi) equivalevano alla cacciata dal’Eden dei dilettanti sono molto lontani, così come gli 8 dollari di diaria degli anni Settanta. In un evo neanche tanto lontano, il 20 aprile era la data che un atleta sceglieva per il primo assaggio, senza particolari ambizioni, giusto per verificare la condizione e valutare il lavoro invernale. Il meeting di Xiamen – e a seguire quello di una settimana dopo a Souzhu – ha un cast simile a quello dei classici appuntamenti (Zurigo, Bruxelles) della seconda parte di stagione. Con Armand Duplantis, lo svedese volante, con la sfida sui 100 tra Christian Coleman e Fred Kerley e nell’alto tra Mutaz Essa Barshim e il neozelandese Hamish Kerr che si è spinto al coperto a 2,36 e con una serie di gare di mezzofondo di spessore assoluto.

Il giorno dopo, sulle strade di Londra, tra Greenwich e Buckingham Palace, un gruppo di qualità tra gli uomini (gli etiopi Tola e Geremew, il kenyano Kamworor) e soprattutto un raduno mai visto prima, e non ripetibile ai Giochi, tra le migliori maratonete di tutti tempi: dieci hanno un record personale sotto le 2h17’30”, guidate dall’etiope Tigist Assefa, che l’anno scorso a Berlino si lasciò alle spalle i 42 km e 195 metri (o ,come dicono a Londra, le 26,2 miglia) in 2h11’53”, prestazione che suscita l’invidia non solo dei corridori del fine settimana. Un esempio di neanche molti anni fa: il sudafricano Josie Thugwane diventò campione olimpico a Atlanta 1996 in 2h12’36”.

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Le scarpe con solette di carbonio e schiuma che favorisce le spinte avranno anche fatto miracoli (due, tre minuti in meno?), ma non c’è dubbio che nelle specialità di resistenza il gap tra uomo e donna si sta sempre più restringendo. La prima maratona olimpica femminile risale giusto a quarant’anni fa, quando a Los Angeles 1984 vinse Joan Benoit.

Con un nugolo del genere di amanti delle andature forti, e con l’aiuto delle scanditrici di ritmo, l’obiettivo degli organizzatori della classica londinese (che in questi giorni ha toccato e superato la barriera dei miliardo di sterline raccolte per scopi benefici) è centrare il record mondiale in una gara “solo donne”, primato che la kenyana Mary Keitany ottenne in 2h17”01 nel 2017 proprio nella capitale britannica. In pericolo anche il 2h15’25” con cui, sempre a Londra, nel 2003 e con l’aiuto di “lepri” di genere maschile, Paula Radcliffe diede una svolta molto secca alla distanza.

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La nascita della “marciatona”

Quasi in parallelo temporale, i marciatori saranno di scena ad Antalya, sulla costa mediterranea della Turchia per una Coppa del Mondo che ha al centro della scena la grande novità dell’Olimpiade parigina, la staffetta mista sulla distanza della maratona. La Marciatona?

Abolita la drammaticità – e la durata, televisivamente disastrosa … – della 50 km, decapitata dopo breve esistenza anche la 35 km, si trattava di scovare qualche idea per non far sentire marciatrici e marciatori figlie e figli di un dio minore dell’atletica. E così è nata questa staffetta a coppie (un uomo e una donna) che, come già capita nello sci di fondo e nel biathlon, si alternano su frazioni, la prima di 12,195 metri, le altre di 10 chilometri. L’arrivo, sotto la Tour Eiffel.

In Turchia Antonella Palmisano Massimo Stano, Alvaro Martin, Maria Perez, olimpionici i due azzurri, campioni mondiali in carica i due spagnoli, evitano la gara individuale per concentrarsi sulla nuova arrivata tra le 48 specialità dell’atletica, guardata con una certa riluttanza dai conservatori. In palio, più che la Coppa del Mondo, il passaporto olimpico e soprattutto l’ipoteca sull’oro olimpico, quello cher da qualche giorno vale 50.000 dollari.

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